LA BIENNALE DI VENEZIA E’ COME IL FESTIVAL DI SANREMO
“Appena il tempo della nomina delle due signore straniere alla curatela della prossima Biennale di Venezia che la gente d’architettura si scatena in dissertazioni caprine sulle due “malcapitate” e su chi sarà poi il curatore del Padiglione italiano.
Gente d’architettura, suvvìa, siate meno seri. Il Padiglione italiano alla Biennale è per l’architettura un po’ come il Festival di Sanremo è per la musica. Per entrambe grandi attese e grandi aspettative, poi il solito copione.
Il direttore artistico che si affanna nel declamare l’unicità del suo evento. Tutte le case discografiche a sgomitare per essere accontentate. I pianti rabbiosi degli esclusi. I critici che si azzannano e si avventano come formiche sulla mollica di pane, prevedendo in Mengoni il futuro Modugno e nella Amoroso la nuova Mina.
Chi a giurare che il futuro della canzone italiana stia sul ritmo jazzato di Gualazzi chi, invece, sulla scopiazzatura della mitica Amy Winehouse.
Di possibili nuovi Dalla, De Gregori, Vasco o Zucchero però nemmeno l’ombra.
Ma in fondo in fondo, dai, entrambe le manifestazioni sono innocue. Dopo la chiusura nessuno si ricorda più i cantanti e tantomeno le canzoni.
Fino al prossimo Sanremo, anzi volevo dire fino alla prossima Biennale.”
Mauro Andreini
Sulla Biennale tutto vero e condivisibile; c’è da dire, però, che il loro progetto di ampliamento della Bocconi è la sola realizzazione milanese degli ultimi decenni che non pecchi di presuntuosa autoreferenzialità e che – invece – abbia saputo esprimere una “architettura della città”. Chiedo scusa se vi pare poco, ma con questa premessa forse possiamo sperare di assistere ad un’edizione meno “autoriale” persino di quella di Aravena, che, nonostante tutta la sua pretenziosamente dichiarata ambizione di “architettura povera”, dall’autorialità autoreferenziale non mi pare sia riuscita a scrollarsi gran che.
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