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AVANTLARCHITECTURE ho l’orgoglio di aver ricevuto in eredità dai due rami paterni e materni, tranne la falce di uno dei Quattro Cavalieri dell’Apocalisse, tutti gli attrezzi agricoli qui rappresentati e che uso con soddisfazione quando zappetto nel giardino e nell’orto. APRESDESOUTILSAGRICOLES c’è il ricordo favoloso, per un ragazzino di città di allora, dei casali, dei portici per il riparo, per le officine, per i granai, per i tipi umani, per i discorsi, per le solidarietà, per una architettura e una distribuzione giusta e razionale in ogni sua parte come ancora giusti e razionali sono questi attrezzi così amorevolmnte disegnati. L’attrezzo più buffo é il più piccolo, quello con l’impugnatura a forma di revolver. Nel marchigiano fermano veniva chiamato “lu fittulu”. Era fatto di legno e veniva ricavato da opportune forcelle di giovani alberi. I grandi l’usavano per forare il terreno e piantarvi i semi, i più piccoli lo usavano come pistola nei giochi a “guardia e ladri” e a “caubboi”. Roba da guareschiano “Mondo Piccolo” e da bertolucciano “Novecento”.
Sto progettando una villino unifamiliare per un privato. Gli ho proposto di destinare una parte del giardino ad orto, e non per questioni di “bioqualcosa” o di “sostenibilità”, oggi tanto di moda, ma semplicemente e un po’ provocatoriamente come strumento terapeutico contro nevrosi e deliri di onnipotenza: un po’ di sano lavoro manuale, come “zappare” la terra, piantare dei semi e raccoglierne i frutti ad esempio. Le mie origini contadine marchigiane (anche se sono stato allevato a Roma) a volte le sento tutte con orgoglio, ma non rimpiango i tempi in cui i miei nonni, i loro padri e i padri dei loro padri hanno dovuto sacrificare il loro corpo (e non solo) per portare a casa un pezzo di pane. La fattoria del Mulino Bianco non è mai esistita, ma la commovente perfezione, anche estetica, di quegli strumenti, raramente la ritrovo nel design iperprogettato della nostra contemporaneità. Nonostante tutto, mi dico, va bene così. Ma si può sempre migliorare. Grazie