PER TUTTI I “PEPPINI” DEL MONDO
C’è chi l’ha preso come caso emblematico dei tempi moderni, chi come millantatore, chi come genio della comunicazione.
Radiografato e poi diagnosticato in malo modo soprattutto dalle menti invidiose, forse per i suoi cinquemila seguaci su facebook o per le interviste radiofoniche o per la sua fama ultranazionale perché, come si sa, gli architetti italiani tra loro si invidiano la notorietà e i likes, non certo la bravura. Ma a tuttoggi non si capisce bene cosa abbia fatto di male, il nostro, se non usato i mezzi virtuali della modernità per autopromuoversi.
?ltra parte voglia d’ttate nella draga. e.Ingannevole? ma quale inganno.
Lo sarebbe allora anche gran parte degli architetti italiani, compresi quegli studi “ à la mode”, con i loro websites impostati come sono più sul virtuale che sul reale, straboccanti di progetti di concorso, di renderings, di fotomontaggi, di progetti proposta e di ben poche costruzioni.
Ce n’è in giro così tanta di fama costruita sul potenziale e sull’ipotetico che prenderne di mira una sola è proprio da manichei. Eppoi una propensione all’autoesagerazione, per la verità, coi tempi che corrono non dovrebbe affatto scandalizzare, basta girare sul web per imbattersi in attricette, scrittoruncoli, pittori della domenica che a legger le biografie sembrano tutti in procinto di candidarsi all’oscar, allo strega o prossimi ad una personale al MoMa.
Peppino si è inventato i progetti, si è progettato case e palazzi senza luogo, funzione e committente, anzi, il committente era lui stesso ?
Imbroglio ? ma quale imbroglio.
I disegni, i collages, i fotomontaggi, i renderings sono solo un divertente e utile allenamento in attesa della costruzione. E siccome di questi tempi di costruzioni non se ne vede l’ombra, allora tutti giù a scarabocchiare, incollare e renderizzare. E non lo può fare anche Peppino? Ma certo.
Se tutto questo gli procurerà un importante incarico vero, una occasione vera per costruire, una casa vera per un committente vero, funzioni vere per una vita vera, ben venga. Suoneremo le campane al suo talento.
“Peppino, fin qui tutto bene e come vedi sono dalla tua parte, se non altro per quella comune goliardia che ci accomuna. Ora però ascoltami, facci vedere qualcosa di vero. Siamo ormai tutti prevenuti, lo sai, siamo sgamati sul pericoloso passaggio dal rendering alla costruzione, per farci ammaliare da una seppur perfetta, artistica e realistica simulazione virtuale.
Vedi Peppino, solitamente anche in tempi di grama come questi, l’architettura, quella vera, si giudica dal costruito, si giudica nel vederla, nel viverla, nel toccarla, nell’annusarla. Tutto il resto è contorno.
Ora, ti prego, smentisci questa dicerìa moderna che siamo quello che si appare quando invece dovremmo apparire quello che siamo”.
Ma da toscano dispettoso e poco interessato alle seriosità ( tra le quali l’architettura ) mi piacerebbe pensare che Peppino abbia voluto emulare i tre discoli buontemponi livornesi che presero per il deretano il mondo dell’arte con le false teste del Modì, scolpite di notte e gettate nella draga. Quella si che fu un’opera d’arte.
Se così fosse, per me Peppino sarebbe già un mito. E gli chiederei senz’altro l’autografo, senza il bisogno di aspettare le sue costruzioni.
( tratto da “Mauro Andreini. L’ARTE DEL CAZZEGGIO E’ L’UNICA MATERIA IN CUI MI SENTO PREPARATO”
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