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IRENE KOWALISKA … INTRAMONTABILE …
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Grazie muratorini, meravigliosa I.K. Mi seduce, mi eccito, mi e-cito, con Irene:
“…. Ad un certo punto della favola, all’inizio degli anni trenta del ‘900, a Vietri sul Mare, nelle faenzere già convertite al nuovo credo dai “tedeschiesi”, arriva il poeta, la fata, unica, sola, irripetibile, imprendibile: Irene Kowaliska (I.K.) e mette dentro le ceramiche di Vietri figure altrettanto imprendibili, la malia-maiolicata nordica.
Polacca di origine, di educazione ebrea per parte di madre, scelta polemicamente confermata successivamente in Austria, a Vienna, ove si trasferisce da ragazza, ove studia al MAK, porta con sé il mistero di figurine sole e anoressiche. In attesa, tutte al femminile. Lavora per qualche tempo nella fabbrica Pinto, non si trova benissimo perché è troppo artista, anche se disciplinata. Si mette da sola …
Di fronte ai lavori di I.K. si rimane senza parola, letteralmente in silenzio. Il bianco che avvolge le sue piccole figure coglie il silenzio di Dio. “A te solo il silenzio è lode adeguata, o Signore, o Irene”, si può dire.
Ciò sottolinea in noi la convinzione che per Vietri, tra le due guerre, è passata una sola artista assoluta, un solo poeta, Irene Kowaliska. Tutti gli altri “tedeschiesi” son bravi, son belli, son utili, ma I.K. è un’altra cosa, è un’altra “casa” Madre. Ha in sé il senso della morte (dell’arte). E della vita estesa.
I.K. lavora per sottrazione, sul minimo assoluto; inaugura una sorta di linea anoressica ceramica. Ella stessa sembra nutrirsi del niente, di niente, non cedere al minimo desiderio. Una vita, la sua, in comunione colle sue figure, fatta di poco, di astinenza, d’espiazione. Una vita mistica, per una possibile santità d’arte ceramica quotidiana. W Sant’Irene di Vietri…. (WW Giorgio Muratore, WW Archiwatch, nda 2013)
In un certo senso, spostandosi da Vienna a Vietri è come se I.K. fosse passata dalla psicologia alla magia, da Freud a Totòfreud; pur tuttavia I.K. introduce sottilmente, nella “ceramica paesana” di Vietri del suo tempo, un inedito e raffinato spazio psicologico; lo fa semplicemente, molto da artista-maga dell’est, instaurando dolcemente, attraverso oggetti colloquiali, un rapporto emotivo profondo, talvolta spinto fino all’ansia ed al turbamento, che essi poi qualitativamente trasmettono e diffondono. (come nel caso di questa riggiola: … e la barca tornò sola … o/e: stu core aspetta a tte!!, nda 2013)
Queste ceramiche “migranti” sono parte di un più complessivo “progetto migrante”. Progettare in viaggio, nel treno, colla disperazione nel cuore: penso a questo dato fisico, esistenziale, “randagio”, di I.K., che vedo così attuale, così nostro. Penso a come, materialmente, hanno immaginato e progettato queste maioliche i “tedeschiesi”, artisti che sono contemporaneamente fuori luogo ed in luogo (ceramico); sono stranieri e, allo stesso tempo, nella patria scelta, nella Terra (ceramica) conquistata, amata, come scrive la stessa I.K. dell’Italia, di Vietri a mare.”
dalla TAVOLA 9 e 10 – LA FATA ED IL FATO VIETRESE – de “CERAMICHE PAESANE VIETRESI” di Eduardo Alamaro, De LUCA editore-Salerno, 2005
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