“Caro Giorgio,
ti segnalo l’interessante articolo del collega Giancarlo Consonni, apparso su Repubblica/Milano del 9.12 scorso, in cui si confrontano i caratteri del progetto della Bocconi di Pagano e quello del nuovo ampliamento del duo nipponico (ma proprio Sanaa si dovevano chiamare, infangando anche l’immagine della capitale yemenita cara a Pasolini?).”
Sergio Brenna
Giancarlo Consonni: Bocconi l’architettura delle facili metafore
in «La Repubblica-Milano», 9 dicembre 2012
“La storia dell’università Bocconi è indissolubilmente legata alla storia di Milano. Non
solo perché la buona fama di cui gode nel mondo porta lustro alla città ambrosiana: c’è
stato anche un apporto positivo sul piano urbanistico. Dopo la prima sede di largo Notari
(piazza Statuto) del 1902, è della seconda metà degli anni trenta la scelta di portarsi oltre
«quei brutti casoni venuti su come funghi in via Bligny» (Delio Tessa, 1931), in quello
che allora era un comparto della periferia industriale. Una scelta coraggiosa e
lungimirante che ha fatto sì che quella parte di città tra i Navigli e porta Romana trovasse
una presenza animatrice, tanto più preziosa oggi dopo le dismissioni industriali e il
cambiamento radicale della topografia sociale.
La storia della Bocconi è anche strettamente legata alla storia dell’architettura moderna
italiana. La nuova sede (1937-41) è il capolavoro di Giuseppe Pagano (in collaborazione
con Gian Giacomo Predaval). Vale la pena ricordare gli elementi essenziali della
biografia di Pagano. Direttore di «Casabella» con Edoardo Persico dal 1931 al 1936 e poi
da solo fino al 1943, conduce una personale battaglia contro la tronfia retorica che il
fascismo andava dispiegando in architettura e nel rinnovamento urbano. Lo fa da fascista
convinto, ma seguendo una ricerca rigorosa sull’architettura come fatto di civiltà che lo
porterà alla fine a scontrarsi col regime e a combatterlo da partigiano. Cosa che pagherà
con la vita morendo a Mauthausen il 22 aprile del 1945. Detto tra parentesi, nella Bocconi
appena ultimata, con la scusa di vistare le opere in costruzione e i lavori di rifinitura degli
interni, si tenevano gli incontri segreti degli architetti antifascisti, allievi e/o amici di
Pagano, che lavoravano al Piano AR (il progetto di ricostruzione di Milano, in linea, per
molti aspetti, con la miglior cultura europea).
Perché richiamare questi fatti? Perché il progetto del campus aperto firmato dagli
archistar Sanaa per l’espansione della Bocconi nell’area un tempo occupata dalla Centrale
del Latte è lontano anni luce da quella storia, compresa la sontuosa spazialità che
caratterizza gli interni bocconiani di Pagano e Predaval. Si sa: nell’inseguire una visibilità
sulla scena mediatica, tra i mezzucci a cui ricorrono architetti in grave crisi di idee vi è la
metafora facile, priva di senso civile: la biblioteca-libro, il grattacielo-supposta, il casinò-
fiche, ma anche lo stadio-nido, il museo vasca da bagno ecc. ecc.
Si dirà: se anche Milano si allinea a questa moda, dove sta il problema? Allora
mettiamola così: vi piace l’idea che la città dove hanno operato Filarete, Bramante e
Leonardo finisca nel catalogo delle metafore facili, ovvero dell’assenza d’idee? Vi piace
che sul biglietto da visita della città di Ambrogio, di Beccaria, di Cattaneo e di Gadda ci
sia una sorta di replica ‘architettonica’ dell’ossessiva pubblicità di una nota marca di carta
igienica? Per non dire di altre evocazioni intestinali, difficili da rimuovere per chi guarda
la simulazione di cosa si prepara nella ex Centrale del Latte. Evidentemente sono lontani i
tempi in cui un esperto di economia come Carlo Cattaneo poteva discettare alla pari con
gli architetti che si misuravano con il problema del riassetto di piazza del Duomo.
Il recupero di un’area tanto vasta e strategica non può essere una partita che si gioca in
assenza di un coinvolgimento esteso (l’Amministrazione comunale, i cittadini, la cultura
del progetto di architettura e di città ecc.). Un coinvolgimento necessario, tanto più se
l’obiettivo è la costruzione di un “campus aperto”, dove oltretutto, nel caso specifico, da
parte della Bocconi si reclama la messa a disposizione di uno spazio pubblico come la via
Sarfatti. Prospettiva condivisibile, ma da mettere in campo con tutt’altro progetto, in linea
con le migliori esperienze di rinascita urbana dell’Europa civile.”
Bravo, bravo, bravo. Finalmente qualcuno che ha conservato la testa sulle spalle.
E mi pareva impossibile che solo qui fosse stato sbeffeggiata quella roba!
Ma chi lo ha scelto, chi lo ha approvato, questa è la domanda cui non ho risposta!
Pietro
Finalmente un articolo sull’architettura in cui Repubblica ci ha messo un po’ di impegno e sale rispetto alle solite osannanti e raglianti dichiarazioni su qualsiasi novità architettonica capitasse a tiro.
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