IL CIELO SOPRA VALLE GIULIA …

LuigiMorettiGirasole1

Da Giancarlo Galassi: …

“Chiudo con un’ultima nota la mia recensione a puntate della monografia di Ruggero Lenci sulla Girasole, un edificio al quale ogni architetto romano è affezionato se non altro per averlo frequentato da studente nelle passeggiate perditempo intorno alla Facoltà.

Nel libro troviamo pubblicato il magnifico esecutivo strutturale portato a esempio della classicità di un Moretti ossessionato dal sintetizzare la triade vitruviana, al costo di esagerare in pilastri e in bagni pur di stabilire una campata ritmica che corrisponda alla sequenza distributiva in stile albergo: camera-servizi-camera…

Aveva ragione Luigi Moretti, come Herzog con Kinski, quando definiva Bruno Zevi: «Il mio miglior nemico». Al di là di insanabili distanze politiche, quello che ci interessa è che li dividesse soprattutto un’idea di organismo architettonico radicalmente diversa. Moretti seguiva e aggiornava, al linguaggio dell’architettura contemporanea («Il più bravo di tutti!» secondo Ricci), la Scuola Romana degli inizi, quella di Milani, Fasolo, Giovannoni, Foschini, Piacentini, una tradizione accademica, confluita tra il 1950 e il 1980 nell’insegnamento di Saverio Muratori e Gianfranco Caniggia. Un insegnamento che vuole l’organismo architettonico definito a colpi di pilastri e muri e berniniane facciate corrugate che rendono leggibile la struttura interna dell’edificio, in un aggiornamento del portato della storia in nome di un razionalismo moderno. Anche in Moretti è facile ritracciare la “leggibilità” delle piante nei prospetti ed è un aspetto profondamente reazionario a antimoderno rispetto al dettato zeviano.

 Bruno Zevi, che veniva da quella stessa accademia romana, distruggeva l’organicità dell’ “Ossatura Murale” (è il titolo di un fondamentale libro di Giovanni Battista Milani), predicata in Accademia, in nome di una nuova organicità (Lo capite che è questo il vero tema dell’architettura moderna a Roma?!) recuperata sì, ma mai con ordinati muri e pilastri che si può e si deve usare in libertà, ma con la presa di possesso esistenziale dello spazio: ricordate il ditone con cui rimescolava l’aria davanti alle sue parole per spiegarci  l’unità spaziale che si ottiene percorrendo lo spazio dell’architettura?

 Il difetto della critica tardo zeviana di Lenci e di altri suoi coetanei “critici” romani è quello di trascurare l’altra metà del cielo di Valle Giulia, non studiandola a fondo oppure fuorviati da paradigmi pieni di pregiudizio (vedi Ostilio Rossi che glissa nella sua guida su tanta architettura semplicemente bollandola come non-moderna) fino all’irrisione dei suoi sviluppi tipo-morfologici (tenuti invece in gran conto dalla Tendenza milanese, quindi ispiratori di un pezzo importante della storia contemporanea dell’architettura italiana, e proprio negli anni in cui a Roma si esercitava sugli stessi una terribile – zeviana – damnatio memoriae).

Ad esempio: liquidare il taglio della Girasole con “Rottura volumetrica della scatola della Palazzina” come fanno la Conforti e lo stesso Lenci, dice certamente “tutto” ma fa capire pochissimo della mossa del cavallo di Moretti. Per capire l’escamotage compositivo occorre aver studiato che lo pseudotipo “Palazzina” è l’evoluzione del tipo “Casa in linea” e  deriva dalla fusione delle sue testate con due alloggi d’angolo per parte (la derivazione dal Villino è soprattutto fondiario-urbanistica e meno architettonica). Questo ha come conseguenza un edificio sempre con il pieno al centro e non con un asse di simmetria che corrisponderebbe al vuoto di un ingresso (mi dispiace per gli studenti che forse mi seguono poco su questo versante terminologico specialistico ma lamentatevi con i vostri docenti).

Guardate tutte le palazzine sullo stesso lato di Via Buozzi nei paraggi della Girasole: sono tutte con un asse di specularità al centro, un “pieno”, come accade nel 90 percento delle palazzine, un problema che si risolve solamente dando una stanza in più a uno dei due appartamenti sul fronte, togliendolo all’altro, oppure “spaccando”, non senza ragioni, dalla cielo a terra, la scatola volumetrica e facendo ritornare “testate” di Linea le due parti dell’edificio eliminando fisicamente il corpo “lineare” al centro.

Ecco: mi piacerebbe che la critica architettonica romana, senza rinnegare metafore vaginali, aneddoti ortopedici e spaccature squassanti lo spazio, mi sapesse spiegare come, progettando, l’ontogenesi ricapitola sempre la filogenesi, come ancora viene insegnato in rari corsi in Facoltà (questa non la capite ma Ruggero Lenci  – che qui saluto –, sì, essendo una sua ossessione).””

Giancarlo Galassi :G

LuigiMorettiGirasole2

Abbiamo parlato de: L’enigma del Girasole. Lettura critica di un’opera di architettura di Luigi Moretti. Autore: Ruggero Lenci. Editore: Gangemi. Prezzo: € 20.00.

 

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8 risposte a IL CIELO SOPRA VALLE GIULIA …

  1. pasquale ha detto:

    Allora è così, Moretti non inventava nulla o dissacrava nulla. Restava piuttosto sul binario della tradizione portandolo avanti, attraverso una evoluzione genetica, se vogliamo rimanere sull’organismo, ma più che altro storica; il perfezionismo del linguaggio della scuola romana.

    La lettura zeviana tendeva a rompere i ponti col passato per tutte quei concepimenti architettonici fuori la scatola “tradizionale”. Invece il passato in Moretti è una la lettura obbligatoiria per capire la sua opera.

  2. sergio 43 ha detto:

    Complimenti, Giancarlo. Non é elegante eccedere ma, zitto zitto, tra me e me, mi son detto: “Magistrale!”, un intervento degno di essere una perla nell’Archiwatch del nostro Prof. Roma e la sua storia, i suoi successi e le sue crisi sono raccontati con lucidità sia per i colti che per gl’incliti. Ah!…….anche gli imbarazzi, portati poi per tutta la vita, degli studenti di allora e di oggi, se ricordo bene quelli di mia figlia..
    Ho cercato, rivoltando mezza cantina, un rotolo di lucidi, fornitici, per le sue lezioni, da Saverio Muratori. Avrei voluto regalartelo ma, dopo l’ennesimo trasloco, molto, come è normale, è andato perduto. Oppure, quando vedevo mia figlia srotolare tutte lemie memorie, dispense ed elaborati nella speranza di trovare qualcosa di utile, avrei dovuto essere più attento. Dovrò rivoltare l’altra metà della cantina. Comunque ti dò il titolo che avevamo dato a quei disegni muratoriani. Forse il Prof., te, e qualche altro potrà capire l’ironia alla Heidegger di quei ragazzacci: “ESSE PICCOLO E ESSE GRANDE”, dove ESSE é la lettera dell’alfabeto e non un ESSE’ alla Belli.

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  4. Ringrazio Pasquale e 43 per le osservazioni e i complimenti.

    Il problema di riuscire a mettere in relazione le componenti di un edificio in modo “necessario” al pari delle parti che compongono un organismo vivente, è’ questa la famosa «Organicità» perseguita dalla migliore architettura romana con modi anche diversissimi, agli antipodi gli uni dagli altri, seppure chiamata con lo stesso nome. Da una parte quella di Saverio Muratori e ultimo Gianfranco Caniggia che l’hanno teorizzata in modo “strutturalistico” (elementi – strutture – sistemi di strutture – organismo) e dall’altra quella di Bruno Zevi con le sue invarianti.

    Io credo che già diventare più consapevoli di queste due anime di cui a Roma siamo schizofrenicamente figli, studiando approfonditamente tutti e due gli autori e le loro fonti e i loro maestri (gli stessi!) e gli allievi “eretici” dell’una e dell’altra scuola (Franco Purini per fare un nome) può portare a un contributo di chiarezza e serietà per la progettazione.

    Sempre tendendo a mente che per la poesia, che è ciò che conta, ci vuole un talento misterioso, non innato, ma comunque non trasmissibile.

    :G

  5. memmo54 ha detto:

    Forse sarà opportuno spendere due parole sulla coppia di pilastri a spasso nei soggiorni.
    Un’ impeccabile dimostrazione di come ciò sia nell’ordine delle cose e perfettamente naturale.
    Anche per fornire un valido argomento ai i giovani architetti della scuola romana quando mostreranno il loro lavoro ai clienti sbigottiti e confusi.
    Saluto.
    P.s.: forse non sono informato abbastanza, tuttavia non ricordo di aver visto nelle piante di Milani, Fasolo, Giovannoni, Foschini, Piacentini, audacie simili.
    E’ la famosa “genialità” questa ?

    • Caro 54,
      sei la perfetta controparte dei vari Muntoni, Lenci, Conforti, Ostilio Rossi ecc… solo irrigidita nel “passatismo” come quelli lo sono nel modernismo, rappresentante ottuso di un’ortodossia dogmaticamente antimoderna, paradossalmente antizeviana fino ad adottarne lo stesso spirito (e lo rimproveravo anche ad altri fondamentalisti ad alta suscettibilità di questo blog), massimalisti pieni di pregiudizi in fin dei conti ottusi e sterili per la nostra disciplina.

      Quante vuoi che te ne dica? chissà che non ti convinca a riprendere in mano almeno l’ “Introduzione alla Storia dell’Architettura. Principi costruttivi e organici generali” di Vincenzo Fasolo, Edizioni Ricerche, senza data ma 195? Te la mando in pdf? C’è qualche erede che mi autorizza a pubblicarla su questo blog?

      Comunque grazie, caro il mio manicheo, per avermi fatto girare gli zebedei: fa bene di domenica mattina prima di andare a messa perché mi ricorda la pietà che dobbiamo verso i fratelli (metaforico, perché sono troppo peccatore per andarci veramente. Mi vergogno a entrare).

      La serie di pilastri che da ritmica diviene regolare nelle ultime campate verso via Buozzi potrebbe essere letta, con il linguaggio “Romano” che da Milani arriva a queste righe di un blog di un critico che nella sua storia didattica e pubblicistica e bloggarola ha cercato di non dimenticare la metà del cielo su Valle Giulia dalla quale gli altri non vogliono essere illuminati (ed ecco perché anche tu sei qui a dir male di Moretti!) proprio come fai tu con la metà delle Sette Invarianti.

      La serie di pilastri potrebbe (potrebbe potrebbe potrebbe – Moretti era troppo bravo e ce l’aveva nel sangue senza bisogno di critica preventiva) essere letta (“lettura”, pensa che parola ancora milan-fasoliana usata cento anni dopo) potrebbe essere letta come la formazione di un nodo, anzi di un polo specializzato, costruito appunto con i pilastroni della struttura (non solo con una passeggiatina zeviana in casa fino in soggiorno – soggiorno! ti dice niente etimologicamente questa parolina!).

      Il risultato ottenuto con la struttura corrisponde anche a spazi più ampi nella distribuzione e persino nella venustas delle vetrate a tutta altezza con chiusure scorrevoli in facciata (Vitruvio, Vitruvio, Vitruvio aggiornato aggiornato aggiornato cioè non più quello delle proporzioni ma quello della leggibilità – fine della Bellezza stupida e nascita della Bellezzissima logica moderna!

      Mi spiace per te, mi spiace per gli zeviani, oppure, se vi deprosciuttaste gli occhi, fortuna per te e per loro. Luigi Moretti: utilizzo dei metodi dell’architettura classica che fanno scopa degli spaparanzamenti esistenziali in poltrona, spaparanzamenti “esistenziali” che sono altrettanto reali! e qui mi spiace solo per te – oh inflessibile 54 – : Zevi su questa “possibilità” esistenziale dell’architettura aveva ragione! Possiamo impipparcene di regolarità e assi di simmetria. E con lui avevano ragione Giovanni Michelucci e Aldo Van Eyck e Giancarlo De Carlo ecc. ecc. Possiamo farne a meno ma la nostra cognizione di causa architettonica ce lo permetterà? Come sono messo a consapevolezza moderna? e nel moderno c’è anche Fasolo.

      Pensa te che cosa accade mai negli interni degli interni di un’architettura ROMANA all’insaputa di Ruggero Lenci.

      Concludo in modo sacro (sacrilego):
      Dal Vangelo secondo Matteo 11, 16-19

      «A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: 
“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto!”.

      Vai con dio, 54.

      • memmo54 ha detto:

        Dall’esterno la lettura dell’organismo non è affatto evidente. Tutto il ragionamento di coerenza e chiarezza strutturale è affidato ad alcuni moncherini di pilastro che si scorgono, a fatica, tra il basamento e la parte superiore; abbondantemente minimizzati dall’andamento a dente di sega delle facciate laterali (…decisamente diverse dalle increspature berniniane cui si fa riferimento…)
        In caso contrario non vi sarebbe stato motivo di pubblicare le piante. Queste, invece, sortiscono l’effetto opposto: si notano – e qualcuno forse apprezza – i funambolismi di alcune sperimentazioni tipologiche accostati all’immancabile linguaggio “moderno”; non senza gli inciampi dovuti ad un’idea molto disinvolta e disinibita dell’abitare: pilastri in mezzo alle stanze, distribuzione interna faticosa (…una mezza fermata d’autobus collega i servizi e la cucina…) oltrechè la “necessità” di smisurate pareti vetrate da tenere costantemente oscurate per evitare “quella deliziosa temperatura da ova sode” che immancabilmente generano a queste latitudini.
        Taccio del “taglio drammatico” (…veramente un dramma non c’è che dire…) sull’androne che separa le due unità. Dettagli…piccolezze..
        Però Moretti se lo poteva permettere e l’ha fatto in un epoca in cui si può fare tutto (… ed il contrario…) e farlo comodamente passare per un’altra cosa; tuttavia l’allineamento dei pilastri sembra troppo poco per parlare di un Moretti profondamente legato alla scuola romana (Milani, Fasolo, Giovannoni, Foschini, Piacentini ) almeno in questa circostanza.
        Moretti sarà (..stato…) anche bravissimo in qualche occasione ma non le ha azzeccate proprio tutte.
        Sinceramente dispiaciuto per aver guastato, irreparabilmente, la mattinata festiva porgo
        Cordiali Saluti
        P.S.:
        se mi erigessero “un nodo, anzi un polo specializzato” davanti alla finestra ( …che potrei anche ottusamente confondere per un pilastro….ahimè..) non sarei affatto contento: qualche dubbio resterebbe ancora ed a poco varrebbero le considerazioni che lo giustificassero con un altri assunti.

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