Da Spoleto a Urbino … Beni Culturali … addio …

mutamutamuta

Sul “caso” Spoleto e, per naturale estensione, Urbino ed altro …
Riceviamo da Sergio Bonanni a commento delle osservazioni di D’Agostino: …

“La realizzazione del complesso intervento sulla viabilità spoletina porta le firme di molti tecnici, e non conosco nello specifico a chi sia spettata la progettazione della scala. Comunque caro Salvatore, con un po’ di pazienza, riceverà quanto ha mosso la sua curiosità, per buona pace della sua grammatica. Nel frattempo, garantisco io sulla bontà strutturale del manufatto, sia sul rispetto di tutte le normative tecniche che regolano la realizzazione di codeste opere, anche se la scienze delle costruzioni non sono mai state il mio forte.
Il problema, e neanche piccolo, è l’ingiustificata violenza al paesaggio, su cui, temo, non ci possa illuminare nessuna delle carte progettuali, e tanto meno il parere della commissione edilizia, visto pure che il maggiore dei cantieri di queste grandi opere, da essa approvato, è sotto sequestro giudiziario per violazione delle normative comunali sulle costruzioni nei centri storici, e si indaga per abuso d’ufficio nel rilascio dei permessi.
L’unica relazione tecnica che ci avrebbe potuto illuminare se, ahimè non creasse più nebbia, è l’unica sfuggita all’elenco del dott D’Agostino, quella della soprintendenza. Anzi quelle della soprintendenza, una prima negativa, respingente un progetto, che, con una seconda, positiva, avrebbe accettato dopo pochi mesi(…)

No non è fuori norma caro D’Agostino, ha perfettamente ragione, il linguaggio dell’ architettura è fondamentale, ma più che quando si parla, è imprescindibile quando si progetta. Qui si è intervenuti in un contesto delicatissimo, senza curarsi minimamente di dove ci si trova, senza aver studiato il contesto, senza un linguaggio che crei un minimo di dialogo invece di soffocare quello che è li da quasi un millennio. Altro che genius loci!
Profondamente amareggiato, per chiudere faccio mia la lettera di Lorenzo Balestri sullo sfregio inferto ad Urbino, accomunata a Spoleto dall’essere danneggiata da chi è stato preposto per proteggerla” …

S.B.

La latitanza delle Sovrintendenze …

La latitanza dei Comitati di settore …

La latitanza del Consiglio Superiore …

La latitanza del Ministero …

Un paese … di onnipresenti latitanti …

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7 Responses to Da Spoleto a Urbino … Beni Culturali … addio …

  1. manuela marchesi ha detto:

    …altre Are Pacis crescono…

  2. —> Sergio Bonanni,

    il ‘caro’ o il ‘dott,’ è usato nel linguaggio del vecchio retorico dai piccoli poteri (il classico borghese piccolo piccolo descritto da Vincenzo Cerami) eviterei di usare questo linguaggio, dato che il mio intervento era proteso verso la chiarezza del processo ideativo/politico di un’opera a mio avviso grammaticalmente scorretta.
    Io non amo la polemica, anzi sono stanco di questi indomabili bisbetici (spesso in età senile) che sparano a zero solo se disturbati personalmente (vedi termine NIMBY), dopo aver partecipato (con la presunzione delle idee sacre dell’architettura, ingessando il dibattito sul nulla) allo scempio che ha cementificato l’Italia.
    Ponevo delle domande, poiché vivendo in Italia posso intuire (ma non ho la certezza) le dinamiche del processo di quest’opera.
    Il classico tecnico ‘padre di famiglia ‘ che deve pur mangiare, che dopo anni si servile attività politica, si ritrova il suo bell’incarico.
    Dopo aver abbozzato un progetto, spesso fotocopia di opere banali, il politico non può fare altro che srotolare il tappeto rosso per finanziare e far autorizzare l’opera.
    L’architetto si distingue perché conosce la grammatica e non perché la spara più grossa del’avventore da bar, vedi: cubo, fallo, brutto, storto, strano e via dicendo.
    Quest’opera è frutto della mancanza di autorità istituzionale della figura dell’architetto.
    Il ‘genius loci’ è una favola raccontata da molti timidi architetti che hanno chiuso le porte al dialogo tra architetti, per dopo costruire false città in stile ‘Old Italy’ in Cina e chiamare i loro grattacieli con il nome di un grande architetto del passato (fa molto genius loci o made in Italy).
    Qui, c’è da discutere sul sistema fondante dell’architettura italiana: ‘i furbetti’.
    Una storia lunga e forse una battaglia persa.

    —> Manuela Marchesi,
    equiparare l’Ara Pacis con quest’opera significa non aver capito niente sul male profondo dell’Italia di oggi.
    Mi sembra che scadi nel compiacimento delle solite beghe da salottobuono tra architetti del centro storico, che ‘fanno di tutta l’erba un fascio’, uno sano pettegolezzo per gingillarsi del proprio senso estetico, niente di più.
    L’architetto, ripeto, utilizza la sua grammatica come il chirurgo, l’avvocato, il giardiniere o il contadino.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

  3. manuela marchesi ha detto:

    …ma ci sono chirurghi e chirurghi, avvocati, e avvocati (Niccolò Ghedini è un preparatissimo avvocato che usa la sua “grammatica” alla perfezione per il suo “utilizzatore finale); giardinieri, e giardinieri che fanno morire le piante autoctone a favore di rarissime e difficili piante esotiche; contadini, e contadini che fanno raccolti da Terra Promessa abusando di anticrittogamici e sementi OGM.
    E allora? Quali salotti buoni e quali architetti del Centro Storico!
    E anche: quale senso estetico e niente più?
    Ho associato l’Ara Pacis alle altre maleventure italiane prescindendo dal mero progetto architettonico ma, piuttosto, inserendola nel contesto dello scarso riguardo dell’ambiente storico (e non mi si venga a dire che gli sventramenti del Ventennio sono modelli da tenere a mente…certe architetture le stiamo digerendo solo adesso…)
    Il male profondo dell’Italia di oggi è la megalomania bramosa di Archistars internazionali, è la mancanza di programmazione di interventi mirati al risanamento e non allo sconvolgimento, è nelle furbizie dilaganti che producono spese inutili, operazioni di facciata e disattenzione delle amministrazioni locali nel controllo di appalti e materiali adoperati (a Roma-Centro, salotto buono di arrognati architetti…ne potrei elencare almeno una ventina di interventi fatti con la testa nel…sacco).
    Più che per la mancanza dell’autorità istituzionale della figura dell’architetto, mi preoccuperei che avesse più autorevolezza.

  4. Cristiano Cossu ha detto:

    Noi architetti siamo complici di un processo generale che riguarda il come si costruisce in Italia, ma non ne siamo responsabili in toto, perchè molte altre figure contribuiscono agli spesso indecenti risultati finali. E viviamo in un paese dove ogni discussione ha bisogno di una parte “pre”: prepolitica, preculturale, precivile, nella quale precisare e stabilire alcuni assiomi che dovrebbero essere condivisi da tutti, e quasi mai lo sono se non a chiacchiere.
    Nell’ambito che conosco meglio, la formazione universitaria, credo si potrebbe fare molto per migliorare la situazione di cui discutiamo. Da qualche anno, le nostre facoltà “generano mostri”, che poi si coniugano felicemente con altri mostri che lav orano nelle amministrazioni comunali, o nelle immobiliari e così via.
    Per tutto il resto, non possiamo che andare a rileggere Montanelli, Flaiano, Croce, Oriana Fallaci, Vico, Gramsci…
    Sulla grammatica: d’accordissimo con D’Agostino! Ce ne fossero in Italia opere di architettura del livello dell’Ara Pacis, mentre invece sono rarissime. A me non piace come architettura e l’ho scritto con lunghe spiegazioni, ed è osceno il percorso amministrativo-procedurale che l’ha fatta nascere, ma ciò non toglie che non la si possa paragonare alla media speculazione di tutti i giorni o alle prove del nostro collega medio.
    Su Spoleto: meno male che Gian Carlo Leoncilli è morto appena in tempo. Spero che da lassù possa intervenire in qualche modo, sento già le sua urla… :-)
    saluti
    c

  5. Cristiano Cossu ha detto:

    —ma ciò non toglie che non la si possa paragonare alla media speculazione di tutti i giorni o alle prove del nostro collega medio.—
    Volevo dire: non la si può paragonare, etc etc
    ciao
    c

  6. —> Manuela Marchesi,
    senza dubbio c’è qualche deriva ‘archistar’ parola come più volte ho detto che dice tutto e il suo contrario.
    Io sono convinto che in Italia il male profondo sia:
    1) il santo cemento leggi : http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2009/06/0032-speculazione-santo-cemento-di.html
    e
    http://wilfingarchitettura.blogspot.com/2009/06/0033-speculazione-santo-cemento-di.html
    2) l’ignoranza diffusa degli architetti, che preferiscono parlare dell’erba del vicino per non parlare di se stessi. Il senso estetico assoluto è la pretesa del proprio personale gusto è un’aberrazione molto accademica. Occorre saper osservare con umiltà.

    —> Cristiano Cossu,
    aggiorno la lista dei libri, per osservare meglio l’Italia di oggi:
    Walter Siti e l’idea del borghese diventato borgataro;
    Cristiano De Majo e Fabio Viola e il loro viaggio nell’Italia che abbiamo inventato/costruito non quella dell’architettura patinata;
    Franco Arminio e la sua idea di lettura del paesaggio senza i filtri estetici;
    Paolo Rumiz l’Italia oltre i cigli della strada convenzionali;
    Giuseppe Genna l’Italia un paese che sprofonda.

    Saluti,
    Salvatore D’Agostino

  7. Pietro Pagliardini ha detto:

    Manuela, gli architetti giocano con il loro ombellico e pensano che sia il centro del mondo. La grammatica che conta è quella della città e certi edifici, come la teca, sono solo errori ortografici. Da matita blu.
    Saluti
    Pietro

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