Passeggiando … commossi … tra le rovine del Moderno romano …

Luca Nicotera … reduce da una commovente … passeggiata romana … tra Del Debbio, Costantini, Moretti, … Hadid e … De André … così ci scrive: …

“Carissimo Professore, le scrivo per raccontarle un’esperienza.
Sono stato colpito da una particolare forma, da me stesso scoperta, di sindrome di Stendhal. La sua particolarità è che si manifesta in forma triplice ma univoca al tempo stesso (non sono affetto da visioni divine, per ora). Una parte colpisce l’emisfero sinistro del nostro cervello a seguito dello stupore provocato da un’opera architettonica straordinaria; un’altra lede l’emisfero destro quando, nello stesso tempo, ci si trova di fronte a persone non comuni che amano profondamente quell’architettura; quindi la terza, che non fa riferimento alla bellezza mozzafiato di un oggetto artistico quanto alla sua alterazione, e che, colpendo un po’ più in basso, si manifesta attraverso un giramento dei cosiddetti quando si scopre che l’architettura di cui sopra è incessantemente maltrattata, e che alla meritevole ma impotente persona di prima vengono gli occhi lucidi per l’amarezza.
Chiarisco.
Il corso di “Scienza dell’architettura e della città” della nostra facoltà organizza delle uscite settimanali chiamate “camminare Roma” organizzate dall’arch. Lucio Zappalorti all’interno delle lezioni di storia dell’architettura contemporanea della professoressa Barucci (camminareroma.blogspot.com/). Siccome possono partecipare alle sole uscite anche studenti degli altri corsi, ne ho approfittato subito. Sorvolando sull’assurdità del perché o percome una materia come storia dell’arch. contemporanea, all’interno di quel corso, sia opzionale e non obbligatoria, le vorrei parlare dell’uscita di venerdì al Foro Italico, con la visita, tra l’altro, del palazzo del Coni di Del Debbio e dell’ex palestra del duce (ecco la motivazione per il primo stadio della mia sindrome). Ad accompagnarci, la persona responsabile del secondo livello di psicosi stendhaliana, Paolo Pedinelli, autore, da non architetto, di una stupenda lezione di architettura. Forse perché parlava di Del Debbio, Costantini e Moretti; forse perché ha citato De Andrè; forse perché, attraverso le sue parole, oltre ad illustrarci l’esistente ci faceva anche”vedere” quello che oggi non si può vedere più, le prospettive architettonico-naturalistiche studiate da quei giovani progettisti, le alberature che fungevano da architettura, il trampolino idraulico con le pedane semovibili delle piscine…; forse perché ci invitava a toccare con mano i marmi per apprezzarne le diverse granulosità, capaci di instaurare, la sera, un dialogo sacro con la luce della luna. Una lezione vera! Ha avuto una pazienza infinita nel rispondere alle nostre domande, che, credo, gli abbiano fatto anche piacere. Io non so neanche di preciso quale carica ricopra, so solo che aveva un sogno: fare l’architetto. Non ha il pezzo di carta, ma dentro lo è sicuramente, e molto più di tanti che esercitano la professione.
Pian piano però, iniziava a farsi avanti l’ultimo stadio della mia sindrome, per il quale, in parte, ero già preparato, conoscendo come tutti, purtroppo, la situazione in cui versa il Foro Italico. Dopo aver visitato la “H” di Del Debbio, infatti, passeggiavamo in mezzo a più o meno un miliardo di macchine parcheggiate, ci districavamo tra cancellate che delimitano spazi che non devono essere delimitati, contemplavamo le visuali che terminano con lo stadio Olimpico immaginandole senza lo stadio Olimpico (quello attuale, chiaramente) ma con quello “dei cipressi” del progetto originale, ci auto-flagellavamo parlando della casa della scherma e del progetto per lo stadio del tennis… e lentamente prendevamo sempre più coscienza di una certa amarezza per ciò che era e non sarà più, e a maggior ragione per ciò che potrebbe essere ma non è. Gli ho chiesto, per esempio, se sia in progetto di riportare le volumetrie sempre più color salmonella al rosso originario, dopo la deturpazione in occasione del “restauro” dei mondiali ’90, e mi ha risposto che c’è un progetto pronto, ma mancano i fondi. Strano però che manchino sempre per alcuni interventi e si trovino per altri!…
A questo punto il giramento dei cosiddetti era quasi al livello di guardia, ma ha raggiunto il culmine quando siamo entrati nella palestra del duce. Non sono certo io, semplice laureando come tanti, a poter descrivere la bellezza di quell’ambiente, anche perché non è qualcosa che può esprimersi a parole se non ci si trova al suo interno. La luce, parte integrante dell’architettura, che abbraccia lo spazio in modo morbido e costante per tutta la giornata… i marmi che sembrano raccontarsi attraverso sé stessi e attraverso le figure riflesse di chi vi si specchia (“immaginate il duce che tira di scherma contro un suo alter-ego riflesso dalle pareti”)… i mosaici di Severini… le statue di Canevari… la scala elicoidale che “rompe” e allo stesso tempo ricompatta l’ambiente… le porte in marmo nero… i servizi, eleganti e accurati, che prevedevano al piano terra uno spogliatoio con una parete-armadio che ruotava a seconda delle esigenze, e al mezzanino una zona per l’abbronzatura, un solarium ante-litteram… insomma, un’opera che lo stesso Mussolini ritenne troppo raffinata per la sua persona, tanto da non usarla mai. Ebbene, oggi questo spazio straordinario è adibito a sala conferenza: decine di poltroncine a soffocarlo; una controsoffittatura lignea pesante che offende il solaio che doveva riflettere la luce artificiale verso il basso; i servizi che non esistono più, con il vano chiuso sul lato della scala da una porta in alluminio; l’altezza complessiva ridotta di un metro e mezzo, tale che la parete di fondo che doveva svilupparsi in altezza (grazie anche alla feritoia laterale) sembra quasi espandersi in larghezza, e, ecco il culmine dell’afflizione, sempre sulla parete di fondo, due bei buchi per il proiettore (!), più altri quattro già richiusi ma le cui tamponature rimangono ben visibili. Era proprio quello il momento in cui il dottor Pedinelli aveva gli occhi lucidi di chi ha talmente a cuore quello spazio da sentirne propria la ferita. Beh, quegli occhi lucidi hanno rappresentato una lezione ancora più grande di quella ricevuta fino a quel momento. E, in tempi di “supernomine” di personaggi di vario genere (come da post precedenti), volevo almeno rendere merito a chi la disciplina sono sicuro che la ami con tutto sé stesso.
Personalmente, ma credo a nome di tutto il gruppo, gli auguro di continuare a lavorare alacremente (ha catalogato più di 200 tipi di tesserine di mosaico dalle pavimentazioni esterne, sta facendo studi sui sotterranei…) e di realizzare il suo sogno che ci ha rivelato coltivare, ma che per rispetto non rivelo. Ringraziandolo della lezione.

P.S.: Mi perdoni la lungaggine. Il giro si è concluso con la visita al MAXXI (come dire, dalle stelle…), dove non abbiamo potuto accedere al cantiere. Ora qui entriamo nel campo soggettivo del gusto di ognuno, ma per la mia sindrome (della quale sono sicuro non essere l’unico sofferente) è stata la mazzata finale.
E guardandolo, poi, ripensavo agli sprechi, ai fondi di cui parlavo prima, che non si trovano per alcune cose e si trovano per altre… alle sue lezioni in aula quando ci parlava della palazzina Astrea in via Jenner dello stesso Moretti, realizzata invece con pochi soldi, ma comunque capolavoro assoluto…
E a quel punto, allora, altro che sindromi: a uno non rimane che chiamare un’ambulanza!
Saluti”

L. N.

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2 Responses to Passeggiando … commossi … tra le rovine del Moderno romano …

  1. Claudia Giuliani ha detto:

    Complimenti per la lettera!!!….è stata scritta con il cuore di chi sa apprezzare la vera architettura…e grazie per aver dato voce anche a tutti coloro che pur apprezzando allo stesso modo queste bellezze non hanno avuto il coraggio di esprimerle in una lettera così bella e così carica di passione per l’ architettura…

    Claudia Gialiani
    Architettura Valle Giulia Cds. S.A.C.

  2. Cristiano Cossu ha detto:

    Mi associo ai complimenti. Aggiungo che ancora sto cercando di capire perchè qualcuno abbia ritenuto di chiamare un corso di laurea in architettura “Scienza o scienze” dell’architettura… Sono duro di comprendonio, questo lo so. Ma mi viene in mente soltanto il Zichichi di Maurizio Crozza, “eravamo io, francoviach… si prenda una ics… l’atomo, no, si prenda un atomo…”.
    ciao
    c

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