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certo che anche A.R. ne faceva di porcherie
Egr. Artù, ho l’impressione, per la castroneria che hai scritto, che la spada ti sia calata sulla testa…
Ma “il non conoscere” è di moda prima del “deliberare”, così einaudianamente…
Me ne farò una ragione, consolandomi con un gelato (alla Renzi).
Saluti.
MAURO
Eh sì, Artù: hai proprio ragione. Rossi divenuto archistar è stato poi ben diverso da quello delle origini. Ne ho scritto nel 2006: “Varrà, dunque, la pena di richiamare la specificità della cultura architettonica italiana sviluppatasi (soprattutto in ambito milanese) già dagli anni Sessanta attorno al tema del radicamento nei caratteri insediativi ed espressivi dei contesti urbani e territoriali, in contrapposizione all’omologazione espressiva sovrimposta (oggi caratterizzata dai mirabolanti e divaricati stilemi linguistici personali, piuttosto che dai canoni un risorgente International Style di cui non si scorge traccia; ma questo poco importa), che si manifestò nelle polemiche sulla “ritirata italiana dall’architettura moderna”, fomentate da un articolo di Reyner Banham su Architectural Review a partire dalla casa realizzata a Matera da Giancarlo De Carlo e presentata al Convegno CIAM di Otterlo nel 1959 dalla delegazione italiana e nella sapiente “risposta al custode dei frigidaires”che Ernesto Nathan Rogers vi contrappose in un editoriale di Casabella-continuità1.
Quella specificità si sviluppò negli anni Settanta e Ottanta soprattutto nella Facoltà di architettura di Milano da parte degli allievi di Rogers e Bottoni. E che altro diceva in quegli anni il titolo del libro in brossura di Aldo Rossi — L’architettura della città —, prima che questi fosse rapito dall’adorazione dei fans nell’empireo del divismo internazionale sostenuto dall’editoria in carta patinata?”
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Presumo che la dicitura “a New York” si riferisca all’ultimo Rossi, quando aveva il suo studio in quella città, piuttosto che all’opera in questione (che in realtà si trova a Toronto). Comunque, se si escludono le (poche) scenografie di cartapesta, nonchè il maxi orinatoio di Milano, ossia quelle operazioni fin troppo strumentalizzate dai detrattori del Maestro (quelli che ancora si affannano a farci credere che la sua opera, in fondo, sia tutta lì), a mio modesto parere l’ultimo Rossi (quello degli anni Novanta), ha fatto cose interessanti, prima fra tutte il progetto per il palazzo del cinema di Venezia, che forse avrebbe meritato di vincere quel concorso (e magari anche di essere realizzato). Provate a confrontarlo (anche mentalmente) col dispendiosissimo progetto di Moneo che risultò vincitore (e che per nostra fortuna rimase sulla carta)…
Vuoi mettere un mare così a NYC! Il titolo recita “Aldo Rossi a New York” poiché le immagini arrivano da lì (o meglio, da qui) ed anche, come giustamente ricordavi, perché il progetto proviene proprio dallo studio americano di Rossi. Riguardo l’interesse sulle opere dell’ultimo Rossi concordo in pieno.