sergio 43 su: UNA PAGINA NERA …
“Cambiano i tempi ma i metodi sembrano sempre gli stessi. Come diceva Qualcuno, “Io vengo da lontano e guardo sempre…all’indietro”. Come si veniva cooptati alla carriera universitaria ai miei tempi, anni ’70? Non ne so molto perchè dopo il 1968 dovetti mettermi a lavorare. Quando mi sistemai le cose, rientrai in Facoltà per gli ultimi pochi esami. Trovai che molti dei miei amici di allora erano rimasti nell’ambiente come assistenti volontari. Di moltissimi apprezzai la scelta perchè avevo avuto modo di riconoscerne la qualità e la passione. Di molti altri invece conoscevo soltanto l’ambizione. Me li ritrovai una mattina sul portone di Fontanella Borghese che, circondato il mio Relatore che dovevo incontrare per la Tesi, stavano questionando aspramente tra di loro. Mi fermai per capire che cosa stesse avvenendo. Praticamente era uscita una sanatoria, un “ope legis”, per cui bastava l’attestato, la firma del Professore per vedersi riconoscere il proprio diritto all’insegnamento o qualcosa che comunque ufficializzasse il loro impegno. La controversia era tutta tra coloro che si erano impegnati a fondo nell’aiuto al Docente e coloro che solo ogni tanto facevano atto di presenza ai Corsi. I primi non volevano che fosse data la “firma” a tutti, anche ai più disimpegnati, mentre i secondi, in tempi in cui l’equalitarismo faceva aggio sul merito, non riuscivano a capire la contrarietà dei primi. Da qui le voci, gli improperi, le accuse. Ancora mi ricordo i volti dei miei antichi colleghi, una volta compagni, rossi e concitati ma ancor più mi ricordo il volto sbiancato e gli occhi smarriti del mio Professore, che, vero pezzo di pane (basta che ne dica il nome e chi l’ha conosciuto ne converrà) e, diciamolo, anche un po’ infingardo, non voleva scontentare nessuno. Erano tempi un po’ violenti. Vabbè! Per me l’episodio finì lì e me ne andai. Per quel giorno non era aria di un colloquio con il Relatore. Tanti di quei colleghi hanno poi fatto una buona e meritata carriera. Solo un ultimo episodio che, anni dopo, mi lasciò ugualmente sconcertato. Ricapitai a Valle Giulia, Cercavo qualcuno e aprivo a caso le Aule. Dentro una stanza c’era un mio collega che mi era stato vicino durante “i fatti del ’68 a Valle Giulia” (boom! quanta importanza!). Insieme ad altri lo avevamo rialzato da terra perchè contuso negli scontri. Lo volevamo caricare in macchina e portarlo a un Pronto Soccorso ma con un filo di voce ci sussurrò; “Portatemi a casa!”. Da allora non l’avevo più rivisto. Bene! Quel giorno stava facendo revisione e, rosso in volto come allora, buttava letteralmente in aria i fogli e gli elaborati, senz’altro sbagliati, di uno studente che, pallido e smarrito come il mio oramai scomparso Relatore, non osava dire una parola. Fatte le mie cose, me ne stavo andando all’uscita e lo rincontrai. Ci salutammo, anche lui mi aveva riconosciuto. Facemmo una rimpatriata. Andando via però non potei trattenermi dal dirgli che i nostri famigerati “baroni” di allora non si erano mai permessi, anche di fronte ai nostri più efferati errori (i miei me li ricordo ancora!), di trattarci con tanto sgarbo. Adesso, sempre, anzi!, da ancor più lontano, leggo questi avvenimenti. E’ la conferma che per entrare in certi mondi ci vuole, oltre l’indispensabile bravura che non guasta “quasi” mai, tanto coraggio e tanto pelo sullo stomaco. Non è da tutti, certamente non da me! Per questo, tutta la mia solidarietà e apprezzamento per chi si cimenta, per passione o altro, in questo rally più periglioso della Dakar.”
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Illuminante ! Credo che poco sia cambiato se non l’altezza del pelo sullo stomaco e il livello di arroganza e di maleducazione nonché le retribuzioni . Però riflettendoci bene una cosa , sostanziale è cambiata, quasi nessuno scende più in piazza e ci mette la faccia , non in senso metaforico ma a prendere cazzotti o sberle! Tutto è più infido sotterraneo e quindi forse peggiore . _Tanta amarezza