sergio 43 su: “FUORI DI QUESTO VI E’ SOLO CATTIVA LETTERATURA” …
“Sono sicuro, Maurizio, che ognuno dei suoi allievi conserva il ricordo delle sua disponibilita’ e attenzione, specialmente quelli con qualche difficolta’. L’anno 1968 era trascorso da poco. Il mese di ottobre di quell’anno terribile, con il decesso improvviso del mio papa’, scomparse ogni velleita “comunarde”, mi avevano posto di fronte alla necessita’ di lavorare. Per finire mi mancavano solo gli esami scientifici, “Scienza”, “Tecnica”, un altro paio, che non essendo un genio, avevo lasciato per ultimi. Ero entrato come semplice lucidatore nel nuovo mondo degli studi professionali che non mi lasciava tempo per gli studi. Erano passati un paio d’anni, la coscienza comincio’ a rimordermi e riuscii a ritagliare il tempo per tornare come studente lavoratore in Facolta’. Mi ero arrugginito di molto, prendevo disperatamente appunti del Corso di Michetti che poi non trovavo il tempo di approfondire e ripassare a casa. Un tardo pomeriggio, uscito dalla lezione, ero particolarmente abbattuto. Mi ero avviato tristemente alla fermata d’autobus di Viale Buozzi e, mentre aspettavo, vidi arrivare il Professore e fermarsi anche lui in attesa. Mi ritrassi un po’ intimidito, trovandomelo cosi’ vicino. Si senti’ osservato, mi guardo’ e fece un cenno con il capo, evidentemente aveva riconosciuto uno degli anonimi volti che vedeva dalla cattedra, azzardai un sorriso, mi feci coraggio e cominciammo a parlare. Alla fine, l’autobus tardava riuscii ad esporgli le mie difficolta’. Mi dette appuntamento nel suo studio, parlammo di tante cose, mi sciolse alcuni concetti per me inestricabili del suo corso. Mi alzai rincuorato dalla sua semplice e disinteressata generosita’. Prima di andar via mi guardai intorno, affascinato dall’elegante e ordinato ambiente del suo lavoro. Mi colpi’ la nuova lampada “Tizio” dell’Artemide che illuminava il suo tavolo. Mi accompagno’ alla porta, dopo un po’ feci il suo esame, voto medio perche’ non puoi estrarre il sangue da una rapa,misi da parte qualche soldino e mi comprai anche io la “Tizio”. Quella lampada ancora sta sulla mia scrivania e io so bene chi mi ricorda.”
Bella testimonianza, quella di Sergio 43, al quale auguro lunga vita. Una testimonianza di un tempo ormai lontano, legato alla memoria di un “servizio pubblico” che forse non c’è più, indipendentemente da quella gentilezza e disponibilità che potremmo attribuire anche a tanti docenti di oggi (e che naturalmente è ancora più apprezzabile, visto il sovraffollamento delle attuali facoltà). E’ evidente che la capacità di trasmettere non dipende solo dal proprio bagaglio culturale (che nel caso di un docente si presume sia sempre altissimo), ma anche (e soprattutto) dall’esperienza acquisita sul campo, variabile da docente a docente, ma sempre indispensabile al fine di integrare tutta una serie di nozioni teoriche con altre nozioni che potremmo definire pratiche, ovvero le uniche che fanno sì che le stesse nozioni teoriche siano immediatamente utilizzabili a livello operativo, al fine di evitare tutti quei problemi che insorgono nel passaggio dalla teoria dei modelli alla realtà della costruzione. In tal senso, la disponibilità a trasmettere serve a poco, quando si ha poco da trasmettere (bella scoperta, direte voi), ma il fatto saliente è che serve ancora meno in tutti quei casi in cui manca perfino la coerenza verso quel poco che si vorrebbe (o si potrebbe) trasmettere. Mi viene in mente il predecessore di R. Lenci alla cattedra di composizione 3: quel M. Rebecchini che amava ripetere: “Sfogliate le riviste”: un concetto che ho sentito ripetere più o meno ossessivamente da altri docenti e assistenti, quasi che le succitate riviste fossero la panacèa di tutti i mali (beninteso, di apprendimento). Ancora mi viene da ridere se penso che lo stesso Rebecchini ebbe modo di raccogliere tutte le sue lezioni in un saggio (“Architetti italiani: 1930-1990”), il cui scopo, almeno per chi sa leggere tra le righe (visibili sul retro di copertina), era quello di prevenire il disorientamento derivante dalle “molte dispersive tendenze dell’architettura contemporanea”, ossia proprio quelle che, secondo le succitate righe, trovano così ampio spazio sulle “taumaturgiche” riviste. Vi confesso che ogni volta che sfoglio quel libro (scomparso dalle bibliografie ufficiali nel 2007, quando l’anziano Rebecchini cedette la cattedra al giovane Lenci), mi rendo conto dell’ingiustizia che devo aver subìto ogni volta che ho dovuto rinunciare a qualsiasi modanatura e/o cornicione, sia pure in forma stilizzata, solo perchè vietata in quanto “ornamentazione applicata”, e quindi incompatibile con una qualsivoglia “immagine di contemporaneità”, non solo agli occhi degli assistenti di Rebecchini (con uno di loro feci le mie revisioni di composizione 3, prima di dare l’esame con Lenci), ma addirittura agli occhi dello stesso Rebecchini (malgrado la fama di “passatista” che pure si era guadagnato, non foss’altro per la stesura di quel libro in odore di “eresia”)…Eppure, se ce fate caso, qualsiasi intervento residenziale a Venezia (da De Carlo a Zucchi, passando per Gardella), presenta quantomeno le modanature stilizzate attorno alle finestre…Pare che lì, pe’ esse “contemporanei”, bastino gli (arbitrari) sfalsamenti tra le stesse, come nel caso di Zucchi, appunto, il cui intervento in laguna fu proiettato a suo tempo al mio corso di tesi in quanto “tipico esempio di contemporaneità” (malgrado il tabù delle succitate modanature)…Insomma, a Venezia sì, nel resto della penisola no…Valli a capì ‘sti docenti de oggi…Sarebbero stati un mistero perfino pe’ Freud…
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