Andrea Di Martino su: IPERURANIUM … CHE PAURA…
“Inutile accapigliarsi su questioni del tutto secondarie (tipo se è mejo cor finocchietto o cor rosmarino). Di Ariccia o no, la porchetta era (e resta) un’istituzione anzitutto italiana. Vista l’esterofilia dominante (soprattutto in architettura), cerchiamo di difendere quelle poche istituzioni italiane che ancora ci restano. Er “Maxxi” se potrà pure “cinesizzà” (tanto pe’ quello che vale…). Ma la porchetta no (a prescindere dagli aromi di base). Gli unici fattori (loro sì), davvero immutabili, sono la tecnica e il grado di cottura. Una qualsivoglia alterazione (non solo da parte dei cinesi), di anche uno solo di questi fattori, sarebbe una (maxxi) truffa. Vigialimo su questo, piuttosto che accapigliarci su questioni (lo ripeto), del tutto secondarie. Grazie. Saluti italici




D’accordo, ma solo se affrontamo la questione dar punto de vista de li valori nazionale … cioe come farebbe ‘n francese … non so … ‘n inglese …
Ma semo italiani… e sai quanto questo sia difficile …
Qui stamo però a parlà de questioni che riguardano la “qualità” … e io nun dico che non ce ne possa essere anche in qualcos’altro che non abbia conquistato sur campo er core de tutti noi così come ha potuto fare il mitico Porchettone di Ariccia … peraltro l’unico porchettone che possa fregiasse oggi der Titolo de Prodotto IGP.
Porchetta d’Ariccia nun è solo un titolo …
… me dici pochetta? … ar massimo er maialone cotto e speziato …
… nun me viene ‘n mente gnente …
me dici Porchetta d’Ariccia?
… me torna alla mente er Bernini…
… me metto a pensà alle tonnellate de peperino usato pe’ costrui er famoso ponte …
… a li matti e disperati che se buttaveno de sotto …
… sorrido pensando al famoso detto me butto dar ponte d’Ariccia co ‘na porchetta ‘n braccio …
… penso pure a li Papi, ali Chigi … ‘ssina ammazzali ! … ma me viè voglia de richiudeme dentro a le mura …
… me ricordo le fraschette … che ormai ‘n ce stanno più … e la strada che facevo da regazzino che quanno poi fermannoce a Lariano , da zi’ Irma, te compravi ‘na bella pagnotta calla calla de quer pane pesante e grigio dentro, co ‘na crosta intorno bella scrocchiarella co’ ancora li pezzetti de carbone …
Cioè …
… Parlanno de la Porchetta de Ariccia parlamo perciò de ‘na storia e de un vissuto che sta tutto dentro la panza de quer maiale … quasi n’agnello … e che appartiene a tutto ‘n “territorio” che se vole difende dalle “contraffazioni” interne ed esterne.
Quindi chi vole tajà’ la prima fetta e anche l’artre lo deve fa’ … e senza paura … e nimmanco ipocrisia … perchè tanto chi piccolo e chi grande semo tutti peccatori …
ma lo deve fa su ‘na Porchetta d’Ariccia …
… co tutto er rispetto pe’ Alberto Lu Porchettà’ …
… che ‘n po’ de storia pure lui l’avrà …
ammazza oh! …
… me viè quasi da piagne …
Andre’ … me te pensavo co più core …
SDS
No, su quest’ultimo punto ti sbagli di grosso. In realtà il mio cuore mi impone di schierarmi sempre e comunque con chi rivendica con orgoglio le proprie origini, giacchè ritengo che ognuno abbia il diritto (e finanche il dovere) de difendese (a casa sua) le tradizioni sue, non foss’altro perchè si tratta di un patrimonio di Storia e cultura la cui esistenza può essere garantita soltanto dalla continuità della memoria, non certo da un un qualche automatismo di natura ereditaria (tipo un titolo bancario, pe’ capisse). Sono dunque commosso di fronte al tuo senso di appartenenza ad un luogo, perchè, in fin dei conti, è proprio quello che detemina quel concetto di genius loci che è stato fin troppo travisato (ma solo da certi architetti). Al riguardo, basterà ricordare che anche la questione del come doveva essere la cosiddetta “casa di Adamo in paradiso”, ovvero un’altra di quelle questioni su cui gli storici dell’architettura si sono accapigliati (vedi la disparità di vedute tra Bianchi Bandinelli e il Giedion sulla precedenza dell’organico sull’astratto in epoca preistorica), a conti fatti, è una questione del tutto secondaria, perchè non tiene minimamente conto del fatto che l’omo servatico, prima ancora de costruisse ‘na residenza fissa, ossia ‘na casa propriamente detta (“astratta” o “organica” che sia), ha esplorato la natura alla ricerca del luogo più adatto. Ed è appunto in questa scelta (che viene prima dell’architettura), l’origine di quello che ho definito come il senso di appartenenza ad un luogo: proprio quello che hai espresso tu relativamente alla specificità di Ariccia, e quindi della sua porchetta, in quanto sublime interazione tra natura e cultura, prima ancora che mera espressione di arte culinaria (che è comunque parte integrante di una cultura). Ma allora che ciazzeca la (pur legittima) rivendicazione dell’IGP (per giunta ottenuto solo nel 2011) con l’italianità della porchetta? Non a caso, se vai a leggere la relativa voce su Wikipedia, è riportato che essa è un prodotto tipico dell’Italia centrale, ma la cui tradizione si perde nella notte dei tempi, quindi definirla italiana in senso lato, significa soltanto sottolineare il fatto che nessun luogo d’Italia in particolare può rivendicare la paternità della ricetta originaria. Nulla di più. Che poi la certificazione IGP sia garanzia di qualità superiore, non sarò certo io a negarlo, ma non vedo neppure come tale concetto si possa mettere in relazione con l’oggetto iniziale della mia replica, ovvero l’opportunità di aromatizzare la porchetta in un modo piuttosto che in un altro. Per quanto mi riguarda, dubito fortemente che questo sia il principale metro di giudizio su cui si basa la certificazione IGP della porchetta. Se fosse così, allora dovremmo riconoscere alla cittadina di Ariccia il monopolio della produzione, ma al di là di tutto, tale monopolio non lo abbiamo riconosciuto neppure ai milanesi nella produzione del panettone, pur sapendo (per certo) che lo hanno inventato loro. Buone vacanze (archicefaliche o no) :)
Pingback: PARLAMO DE LA STORIA … DE ROMA … | Archiwatch
Pingback: LA CASA DI ADAMO IN PARADISO … | Archiwatch
…e poi quanti sanno, fuori dal Lazio, che l’Amatriciana prende nome da un nobilissimo e antico paese pieno di storia e anche di arte e di cultura? E che questo paese è Amatrice, una volta sul confine dello Stato Pontificio e quindi di importanza strategica e politica? Mica solo i pecorari ci vivevano, allora! Amatrice vale una visita, e tra l’altro ad Amatrice ho mangiato una gustosissima “amatriciana” senza pomodoro, ho visto affreschi medioevali in chiese piccole ma preziose pur se severe, ho visto anche l’Orfanotrofio di don Minozzi che custodisce opere di artisti importanti che vi lavorarono dagli anni ’40 del ‘900 fino ad ora. e poi a fine giugno ho visto la neve nei canaloni delle montagne intorno: non ci credevo, e invece era proprio neve e non una cava di pietre varie (io sempre che penso bene…)