PIETRO BARUCCI & LUCIO PASSARELLI … DUE PROTAGONISTI DEGLI ANNI SESSANTA A ROMA …

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PIETRO BARUCCI …

Da un’abile e assai coltivata elaborazione di tutte queste tematiche prevalenti prende forma e sostanza il vero capolavoro di Pietro Barucci: il Centro Direzionale di Piazzale Caravaggio a Roma.Vera e propria, purtroppo celibe, Porta di ingresso al sistema direzionale romano il complesso di edifici, che si configurano come veri e propri propilei al mai realizzato Asse Attrezzato, sintetizza in maniera esemplare la posizione teorica e la poetica di Barucci. Troviamo qui un’attenzione alla grande dimensione urbanistica che non trova corrispettivi nel contesto romano e, insieme, un’attenzione, consapevole, al dettaglio tecnologico che tocca le più piccole scale senza scadere in artificiose leziosità decorative mentre l’articolazione dei grandi volumi terziari trova modo di alleggerire le grandi masse che si sfrangiano avvolgendosi nelle spire delle scale di emergenza capaci di affermarsi come protagoniste nel disegno dell’intero insieme. Un complesso unico per la città di Roma e che ancora, alla distanza di tanti anni, conferma della altissima qualità di un progetto, non ce ne voglia l’autore, magistralmente, “foschiniano”. Forma, funzione, immagine, valore simbolico si fondono e si stemperano in un insieme capace di resistere al tempo dando corpo ad un’architettura tanto poco frequentata dalla critica quanto, altrimenti, capace di imporsi per qualità e temperamento nella storia più profonda dell’immagine della città. Nel solco di quest’esperienza capitale e tenendo anche conto delle sperimentazioni tipo-tecnologiche portate avanti nel nuovo quartiere Tiburtino-Sud a partire dai primi settanta, trova posto un decennio più tardi, la più cospicua e complessa operazione mai promossa dallo IACP romano: quella relativa al piano di zona denominato Laurentino 38. Occasione unica per verificare lo stato dell’arte a ridosso del decennio appena concluso il Laurentino 38 rappresenta per la città, insieme alle coeve esperienze di Spinaceto, di Vigne Nuove, e di Corviale, solo per fare qualche nome emblematico, uno degli ultimi grandi sforzi di coordinamento e di sperimentazione tra architettura e urbanistica per dare forma compiuta allo sviluppo di una città che si voleva ancora “progettabile” secondo e attraverso gli strumenti della cultura “moderna”. Cultura che, secondo le diffuse aspirazioni di allora, avrebbe dovuto e potuto consentire ad una società civile di dotarsi di strumenti, di apparati, di logiche, di schemi, di procedimenti, di standard e di obiettivi tali da determinare la crescita urbana nel solco di una tradizione progettuale adottata un po’ da tutti i principali e più avanzati paesi europei.

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LUCIO PASSARELLI …

Sono questi gli stessi anni nei quali prende corpo l’edificio più noto dei Passarelli, quello realizzato per conto dell’Istituto Romano Beni Stabili, vis a vis al vecchio studio di via Campania e al minuscolo complesso De Monfort, a due passi dalle chiese di Santa Teresa e di san Camillo. Un edificio polifunzionale che ospita residenze, uffici e spazi commerciali, che ha avuto grande notorietà e la ventura di essere annoverato da Bruno Zevi tra i rari “capolavori” dell’architettura italiana del Novecento. Non è certo questa la sede per tessere ancora le lodi di un edificio notissimo cui sono stati dedicati volumi interi, quello che è certo è che esso rappresenta quanto di meglio l’architettura romana dei primi sessanta abbia saputo esprimere soprattutto per quella rara capacità di corrispondere in maniera piena ai bisogni di autorappresentazione di un’architettura dichiaratamente moderna, ma capace di farsi carico in maniera esemplare dei necessari e vitali rapporti con la storia dei luoghi, con l’onda lunga di un’idea di architettura per tanti versi capace di esprimere il senso più profondo della città e della sua stratificata vicenda edilizia. Un edificio che fa appunto sua l’idea di stratificazione e di contesto, che si misura con la memoria di un luogo segnato da millenni dal perimetro aureliano, che dialoga felicemente con le giaciture e le assialità, con i materiali e i segni di un contesto urbano complesso e altresì con i valori di uno sperimentalismo progettuale contemporaneo vitale e maturo. Un edificio che dialoga insieme con la Roma più antica, con quella che è andata crescendo dentro e fuori le mura ed è capace di aprire un dialogo con quelle opere esemplari che, anch’esse, hanno cercato, trovandolo, il modo di esorcizzare il tema della stratificazione come le non dimenticate realizzazioni di Mario Ridolfi a via Porpora e a via Paisiello. E come quest’ultimo era stato capace di sovrapporsi con rispettosa perentorietà al villino Astaldi di Foschini e a quello Alatri di Morpurgo in quelle che restano tra le due migliori tra le sue ultime fabbriche romane, così qui i Passarelli, quasi in continuità logica, metodologica e poetica con quelle paiono affiancarsi riprendendone significati profondi, suggetioni plastiche e motivi di ispirazione ancora oggi cariche di potenzialità espressive. Affacciarsi alle finestre dello studio e gettare lo sguardo attorno, soffermandosi sui dettagli di quell’edificio, è, ancora oggi, un’esperienza estetica indimenticabile e che dà il senso di una vera, magistrale, lezione di architettura.

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