I PRIMI SETTANT’ANNI DELL’EUR …

E'42… il quartiere dell’E’42 successivamente ribattezzato EUR, luogo della Esposizione Universale di Roma programmata per il 1942 e mai realizzata a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. All’interno di questo quartiere, completato poi nel dopoguerra, trovano posto alcune delle architetture più significative di quella piacentiniana “idea di città” che l’Italia degli anni quaranta andava definendo in opposizione alle tendenze razionaliste ed internazionaliste contemporanee, altrove dominanti.   Si tratta di un nucleo urbano di grande respiro, organizzato secondo ipotesi monumentali, rappresentative e distributive prese a prestito dall’urbanistica classica, all’interno del quale vennero collocati edifici di notevole significato simbolico come il “Palazzo della Civiltà Italiana”, opera di Guerrini, La Padula e Romano, il “Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi”, opera di Libera, il “Palazzo degli Uffici” opera di Minnucci, i “Musei” della “Piazza Imperiale” cui collaborarono Fariello, Muratori, Quaroni, Moretti ed altri, l’edificio delle “Poste” di Banfi, Belgioioso, Peressutti e Rogers, il “Museo della Civiltà Romana” di Aschieri, Bernardini e Pascoletti, i “Palazzi” INA e INPS di Muzio, Paniconi e Pediconi, la “Chiesa dei Santi Pietro e Paolo” di Foschini.  

In quel contesto, l’edificio che doveva assumere il ruolo di simbolo della vicenda espositiva, cioè il palazzo della Civiltà, diventò occasione per portare ad estreme conseguenze la formula di astrazione dell’architettura classica, in altre occasioni appoggiatasi alla metafisicità del primo De Chirico. E di contro, nello stesso quartiere l’edificio di Libera, il Palazzo dei Ricevimenti e dei Congressi, pur affondando le ragioni delle proprie certezze negli stessi argomenti ideali, trovò altresì l’occasione per sperimentare (attraverso il gusto del dettaglio, la finezza delle scelte tecnologiche e certe sofisticatissime soluzioni, sospese tra alta tecnologia e filologia neoclassica) gli elementi di approfondimento che quell’architettura portava con sè. Sicuramente l’opera più importante di Libera, il palazzo dei Congressi testimonia la raggiunta maturità dell’architettura italiana del periodo e sintetizza in maniera efficace, nella sua figura ancipite, i punti diametrali del dibattito descritto finora.

Il capolavoro urbanistico di Marcello Piacentini, il quartiere sorto in occasione della prevista Esposizione Universale del 1942 compie quindi i suoi primi settant’anni.

Oggetto di polemiche fin dalle sue origini, nell’immediato dopoguerra furono i molti ad invocarne addirittura la demolizione per cancellare in quella cruenta damnatio memoriae  del passato regime, oltre al ricordo, anche la traccia architettonica.  E, per la verità, qualche cosa accadde in tal senso, l’edificio realizzato da Armando Brasini per l’Istituto Forestale fu abbattuto con la dinamite e altrettanto si invocava per il “Colosseo quadrato”, molti edifici furono completati e modificati in sintonia con i mutati gusti del tempo, come nel caso del Ristorante (piccolo capolavoro di Ettore Rossi, oggi quasi irriconoscibile) e molti altri spazi pubblici, come la centrale Piazza Imperiale, furono “mascherati” per sovrapporre un’immagine più moderna e tecnologica ai colonnati e alle scenografiche apparecchiature del passato regime.

Il quartiere infatti, oltre ad ospitare l’Esposizione prevista per il ’42, donde il logo vagamente futurista di “E’42”, doveva sostanzialmente testimoniare a vent’anni dalla marcia su Roma, i fasti di un potere che da tempo aveva percepito la valenza simbolica e propagandistica dell’architettura contemporanea e ne aveva perciò fatto uno dei suoi punti forti nella politica di persuasione, di consenso e di coinvolgimento delle masse popolari, come pure delle forze intellettuali, professionali ed industriali del paese.

Un quartiere “simbolo” perciò, più ancora che un quartiere “modello”, il quale sarebbe dovuto diventare, nell’idea dei progettisti e dei loro ispiratori, il punto di aggregazione del nuovo sviluppo urbano della capitale del regno e dell’impero.

Un quartiere che si collocava strategicamente tra il centro antico e i nuovi territori appena “redenti” dell’agro pontino che si spingevano oltre le città nuove di Littoria, di Pomezia, di Pontinia e di Sabaudia, fino all’emergenza magica e misteriosa del Circeo; punto di riferimento di un’imponente struttura territoriale ed urbana imperniata sulla Via Imperiale che dal Vittoriano avrebbe portato al Mare.

Con i suoi edifici, tutti o quasi oggetto di concorso e realizzati dai migliori (e spesso peraltro giovanissimi) architetti del momento, il quartiere, bloccato dalla guerra, rimase a lungo in uno stato di lunare abbandono, luogo privilegiato per il cinema romano di quegli anni difficili che vi ambientò più riprese, scene numerose, sia di soggetto neo-classico che neo-realista.

Da Fellini ad Antonioni, da Pasolini a Bertolucci, a Pietrangeli, sono stati in molti ad approfittare della naturale disponibilità di quegli spazi dall’immagine fortemente connotata, allora ancora sospesi tra l’incubo e la nostalgia, tra la memoria e la speranza.

Erano però assai pochi, negli anni sessanta, gli architetti abbastanza robusti intellettualmente e culturalmente in grado di ricordare senza un sapore di vergogna o di malinteso pudore la partecipazione a quella, invece straordinaria, avventura edilizia che pur aveva visto collaborare insieme, fianco a fianco, Libera e Nervi, Muratori e Quaroni, Muzio e La Padula, Rossi e Aschieri, Fariello e De Renzi, Pollini e Belgioioso, Minnucci e Pediconi, solo per fare qualche nome, alla più complessa vicenda architettonica europea della fine degli anni trenta.  

Tante, troppe furono le abiure non richieste, le facili amnesie, gli omissis  pretestuosi.

Ma di quell’avventura che vide lavorare insieme architetti e artisti, urbanisti e pittori, ingegneri e scultori, filosofi e palazzinari, era evidente l’impaccio e, nonostante lo sforzo e la caparbietà di alcuni tecnici valorosi, di Virgilio Testa soprattutto, il rapporto difficile e dialettico con la città storica fu comunque complesso e contradittorio.

Dal Campidoglio poi, si guardava con diffidenza e sospetto alle autonomie gestionali di cui godeva questa parte così cospicua della città, che si governava autonomamente, e secondo criteri ben lontani dalle abitudini amministrative più consolidate.

E fu così che, paradossalmente, in piena democrazia, proprio quel quartiere, simbolo pietrificato del passato regime, fu quello che meglio funzionava, che riusciva a mantenere forme di pianificazione e di controllo ambientale moderne, a funzionare secondo formule che nessuna legge urbanistica e nessuna amministrazione capitolina avrebbe saputo e voluto interpretare con altrettale coerenza e analoghi risultati.

L’EUR andò così affollandosi di Ministeri, da quello delle Poste a quello delle Finanze, a quello della Sanità e di nuove importanti strutture terziarie. Al Palazzo della Civiltà, a quello dei Congressi, ai quattro  originari Musei affacciati sulla Piazza Imperiale e a quello della Civiltà Romana (già dono della FIAT alla città, del Senatore Agnelli al Governatore di Roma), si andarono così ad affiancare le nuove strutture dell’ENI, dell’INPS, della Confindustria, della Società Generale Immobiliare, della ESSO, dell’IMI, dell’ICE, del Banco di Roma, dell’Alitalia (ora IBM), il Palazzo dello Sport, il Velodromo, il Palazzo della Democrazia Cristiana, restituendoci, nel complesso, l’ultimo quartiere romano al passo coi tempi, con le dimensioni e le vocazioni di un moderno Centro Direzionale.

Non a caso quando, ancora oggi, qualche architetto straniero in visita a Roma, dopo il canonico “bagno di storia” cerca di visitare qualche nuova realizzazione, è soltanto l’EUR l’unica destinazione possibile, a meno di non voler scadere nel folklore metropolitano e negli abissi da megalopoli mediterranea della cintura periferica romana.

L’EUR è diventato infatti l’unico centro di aggregazione di una prossima realtà metropolitana fatta di storia e non solo di vaneggiamenti tecnologici, di un futuro fatto di attenzione e di rispetto per il passato, anche relativamente prossimo, capace di rappresentare efficacemente Roma sul piano internazionale e di incuriosire utilmente una lettura colta della sua storia più recente.

E'42 a

 I PRIMI SETTANT’ANNI DELL’EUR

in E. Valeriani e F. Innamorati,

EUR Quartiere di Architetture,

De Luca Editori d’Arte,

Roma 2012.

eur de luca 2

 

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