La solita zuppa …

ARA_PACIS_MARZETTI06.09

Sergio Marzetti che, come noi, ama volare … il più basso possibile …

e, anche lui, continua a rimestare la solita zuppa dell’Ara …

ci scrive: …

“Caro Professore,
in questi giorni il suo blog vola alto, come é giusto leggendo i nomi dei suoi bloggers. Io invece non posso che volare a una quota più terra terra e continuare a rimestare, come una vecchia fattucchiera, una oramai stantia brodaglia, in questo stimolato dal gradevole intervento dell’ottima Isabella. L’Ara Pacis (e che diavolo! ancora lei!) é per noi romani oramai un indigesto “mammadrone” (A proposito! L’altro mammadrone, il Pincio, che fine ha fatto?) che ognuno sogna di risolvere secondo coscienza e conoscenza. L’altro giorno, data la mia incapacità a realizzare un rendering, ho preso una biro e il retro di una fattura e, anche se la mano non é più quella di una volta, mai stata eccezionale d’altronde, ho schizzato quello che avrei voluto realizzare se avessi avuto le facoltà della suddetta vecchia fattucchiera, alla quale faccio in ogni caso la dovuta riverenza essendo oggi, 24 Giugno, Festa di San Giovanni, il giorno dedicato a lei e alle sue sdentate sorelle.
Come, forse, si può intuire dal quasi evanescente disegno, il Mausoleo diventa esso stesso, demolita la prima teca del Morpurgo e spostata al Parco Labicano la teca del Meier, il contenitore del manifesto politico di Ottaviano. Dopo aver ripristinato il solaio dell’Augusteo, dopo aver lasciato nella giusta penombra catacombale il sottostante ambulacro con le tombe dei Giuli-Claudi, dopo aver trasportato (siamo o non siamo stati capaci di spostare su una soprastante collina i due templi di Abu Simbel? Siamo o non siamo stati capaci di rispostare ad Axum, a migliaia di chilometri di distanza da Roma,. l’obelisco etiope?) l’Ara nella sua più naturale collocazione, dopo aver ricoperta con una nuova, leggera e moderna cupola ( si hanno presenti, tanto per dire, la copertura di Botta al Mart di Rovereto oppure la copertura della Great Court della British Library ?) la nuova rotonda sala museale, che cosa fare ancora per ridare un senso all’ambiente urbano distrutto prima dai muraglioni del lungotevere e poi dalle smanie demolitorie del Ventennio, per ridare la perduta ariosità allo spazio racchiuso tra la Dogana, il Mausoleo, le due Chiese e il porto di Alessandro Specchi? Facile! Tolte le teche e liberato tutto lo spazio tra Via di Ripetta e i platani affacciati sul fiume, si forma una vasta terrazza sottopassata in galleria dal traffico veicolare. A questo punto é necessario risolvere il salto di quota tra il nuovo plateatico e il rettifilo sottostante. Anche questa soluzione é lì, a portata di mano! Si ricostruisce in faccia al Mausoleo il Porto di Ripetta, recuperando e integrando quel pò o tanto di originale travertino flavio ancora presente in loco, la fontana con la Lanterna e le due colonne.
Primo, si restituisce alla città un pezzo notevolissimo della sua storia, dialogante, con le sue rampe, con le poco distanti rampe di Trinità dei Monti; secondo, se l’Arte é soprattutto creare emozioni, chi vorrà potrà volgersi al tramonto del sole dietro il Gianicolo, altri, più romantici, potranno, seduti sulle recuperate rampe del porto, sedere e rimirare al crepuscolo quell’Isola dei Morti alla Arnold Boecklin che mi é sempre sembrato quel rudere con i suoi cipressi. Il resto della piazza rimane così, come la Storia, quella benevola con le due Chiese appaiate e l’abside di San Carlo, e quella tragica con i Palazzi Littori, ci ha tramandato. Forse sarebbe stato un intervento più moderno, più romano e, chissà!, anche più economico.
Caro Professore, questa, che poteva essere una blanda chiacchierata al bar davanti a due tazzine di caffè, é diventata una occupazione manu militari del suo spazio e della eventuale attenzione dei suoi lettori. Di questo Le chiedo scusa e La saluto cordialmente.”

S. M.

Caro Marzetti,
la sua proposta, per quanto riguarda il mausoleo mi sembra piuttosto congruente con quella di Adalberto Libera e, per quanto riguarda l’esterno, con quelle di Paolo Marconi e dellla sua Scuola …
tutte ipotesi “ragionevoli” … riprese a suo tempo, ma travolte dagli arroganti vagiti della “nuova” economia, della “nuova” politica, della “nuova” repubblica …

per quanto riguarda il Pincio … è passato un anno … altro non saprei, …

ma altri fronti si aprono, … per esempio, … lo scempio … al Policlinico …

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7 Responses to La solita zuppa …

  1. pasquale cerullo ha detto:

    Mentre leggevo il tuo schizzo letterario, immaginavo la potenziale realizzazione. Certo, di Ripetta non è rimasto praticamente nulla, ma chissene, i Giapponesi ricostruiscono i loro templi centenari di legno identici e nessuno ha mai gridato al falso, la materia è sostituibile, la forma resta.
    Peccato che la cultura del fare degli amministratori imponga che il fare sia ‘speculare’, fare per far muovere milioni di euro da una parte all’altra. E nulla cambia sotto il sole e le nuvole cangianti di Roma. Italo Insolera ricordava che la prima edizione di “Roma moderna 1870 -1970″ , del 1971, terminava così: ” A cento anni di distanza… una sola – dalla periferia al centro – è la vera legge urbanistica di Roma: il profitto dei padroni della città attraverso ogni possibile rendita parassitaria.” E nell’edizione del 1993, esordiva con una citazione di Argan: “La storia urbanistica di Roma è tutta la storia della rendita fondiaria, dei suoi eccessi speculativi, delle sue convenienze e complicità colpevoli”. A ribadire che nulla è cambiato e nulla cambierà.

  2. Carolina Marconi ha detto:

    Il recupero del porto di Ripetta è un sogno – bene fa Muratore a ricordare che è il sogno di Paolo Marconi e della sua Scuola -, un sogno coraggiosamente inserito nel concorso per la riqualificazione della piazza Augusto Imperatore, e subito sfumato per la sua difficoltà di esecuzione. Viene il dubbio che tale difficoltà si inserisca negli eccessi speculativi di arganiana memoria, che incanalano altrove gli interessi, e che quella effettiva convenienza sia stata bocciata per muovere i milioni di euro da tutt’altre parti, perché non c’è interesse politico, né, secondo me, cultura o intelligenza politica nel comprendere la validità di un simile progetto.
    Nel giurare che parlo a mio esclusivo nome, assicuro le persone sognatrici e sensibili come Marzetti che quel progetto non è stato accantonato, ed anzi va avanti, confidando in tempi migliori…

  3. Cristiano Cossu ha detto:

    Per me gli studi progettuali più seri e rispettosi di questa difficilissima parte urbana rimangono quelli fatti fare agli studenti da Massimo Carmassi (a Mendrisio e a Venezia), e quello dell’architetto umbro Andrea Piatti nella sua tesi di laurea con Giancarlo Leoncilli a Firenze. In attesa della programmata pubblicazione, potete vederli in un lungo articolo su Ordinè dedicato alla vicenda romana, che comprende anche un particolareggiato excursus “storico” gentilmente fornito dal Prof. Muratore.
    ciao
    c

  4. pasquale cerullo ha detto:

    Ah, ecco lo schizzo.
    Per pura casualità sono ricapitato sulle pagine del libro di restauro
    studiato a suo tempo.
    Avevo aggiunto alcuni tratti di penna sulla illustrazione del disegno di Yann Weymounth dell’idea di progetto di Ieob Ming Pei per l’ingresso del Grand Louvre, perfettamente identici nella tonalità di nero e nello spessore.
    L’avevo commentato con questo scritto sulla stessa pagina in alto:

    Alcuni tratti di questo disegno sono fasulli.
    Cosa è vero, cosa è falso? ciò che è falso è il vero del verso opposto.
    Non c’è nulla che sia falso in assoluto e nulla che sia vero in assoluto.
    Il restauro non potrà mai salvare l’integrità dell’opera. Questa è già stata
    falsificata (manomessa) dal tempo che l’ha corrosa, ingiallita.
    L’autore originale dopo 1000 anni, rivedendo la propria opera direbbe:
    “Questa non è più opera mia!” Non si recupera mai l’opera in sè ma il suo “stato d’essere”.
    L’opera è antica perché è vecchia, la sua vecchiaia è il presente e la sua antichità è la giovinezza del passato. L’uomo vive sempre un eterno presente.

  5. Biz ha detto:

    Peccato non sia stato realizzato così e prima che Greenaway girasse The Belly of an architect, sicuramente una ripresina ce l’avrebbe fatta.

    Meier poi non assomiglia tanto all’architetto americano del film.

  6. sergio 1943 ha detto:

    Voglio approfittare anche io di questa chiacchierata per ricordare con simpatia Paolo Marconi, allora mio giovane professore, raccontando un divertente aneddoto (anche di aneddoti é fatta la Storia dell’Architettura) che lo riguarda.
    Non mi ricordo bene l’anno ma avevano affidato a Paolo Marconi l’incarico di ridare una sistemata alla facciata del Palazzo dove era vissuta e morta Donna Letizia Bonaparte, quello di Piazza Venezia con il famoso “mignano” d’angolo.
    Ebbi notizia di questo incarico (ero uno studente troppo impegnato tra dispense, tesine e lucidi per interessarmi alla vita professionale) da una pagina in cronaca del Messaggero. Tutta la città era inorridita quando, tolta l’impalcatura del cantiere, il nobile palazzo era apparso tutto colorato di un bel “rosso simil cotto Impruneta”. Paraste e cantonali in travertino, timpani, stesure murarie! Tutto un unico colore! Lo scandalo era grosso perchè era uno dei primi interventi filologici sul colore di cui Paolo Marconi era maestro. La mattina dopo ebbi l’opportunità di vedere direttamente il malfatto perchè avevo appuntamento con un’amica all’angolo del Palazzo delle Assicurazioni. In effetti quel Palazzo color aragosta era inguardabile! Ad un tratto vedo arrivare in una corsa affannata Paolo giù per Via Quattro Novembre, mi passa davanti guardando con gli occhi stralunati il suo “mirabilium urbis”. Ero uno studente e non mi parve vero di richiamarne l’attenzione chiedendo maliziosamente: “Professo’! Ma che é successo?”. Mi guardò, ricordo ancora il suo sguardo perso e il suo volto cereo, non disse nulla e attraversò alla cieca la strada mentre il traffico proveniente da Via Nazionale strombazzava e il vigile sulla pedana fischiava irritato cercando di richiamare la sua attenzione. Macchè! Paolo scomparve nell’androne del Palazzo. Poi lo scandalo rientrò perchè logicamente si venne a sapere che l’Impresa di Restauro non aveva capito affatto il progetto o aveva voluto speculare sui tempi di lavoro. Il mio interesse per la cosa finì lì e di quello che successe dopo non ho ricordi. Adesso Palazzo Bonaparte mi sembra corretto e lo guardo sempre con piacere.

  7. paolo di caterina ha detto:

    paolo marconi! un “grande” maestro con le sue lezioni di “piccolo” restauro

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