Gregotti sta alla Pirelli come Piano sta agli Agnelli …
sembra un’equazione … fa anche rima e si potrebbe chiuderla lì …
ma quello che ante-Sgarbi e post-Savoia era il Vittorio “nazionale” …
compie de ‘sti tempi ottant’anni … e allora tutti all’osanna … al Santo Subito …
per Lui che ha fatto e disfatto Milano … che è stato inchiodato per decenni alla Triennale, manco fosse Ponti o Muzio … e pure alla Biennale, ché quando sbarcavi a Piazzale Roma pareva che già stavi a casa sua … e poi le riviste ché si nun le dirigeva lui … se nun je davano quarche cosa (manco fosse Boeri …) je veniva male … je pijava er coccolone … e tutti a pecoroni … bravo il Vittorio … chissà che scriverà Vittorio? … chissà che penserà Vittorio … e allora lui daje a scrive … scrivi, scrivi … nun s’è mai visto nessuno che ha scitto tanto … ‘na media di un tomo l’anno … almeno, … ma poraccio … quanno se scrive troppo la gente nun se ricorda gnente … manco li titoli … sempre furbi … paraculissimi … ma dentro sempre le stesse pippe … (manco Purini, che poi è un po’ fijo suo …) che a quarcuno che l’aveva letti … je pareva aria fritta … fritta bene per carità, coll’ojo bono, de’ prima spremitura … ad arte … per architetti di qualità … fina, finissima … pe’ l’artri (che se l’erano solo comprato er libro, pe’ fa li fighetti e non l’avevano manco sfojato …) un genio … il Verbo … la Vera Voce narrante del contemporaneo … con le sue crisi, i suoi crucci, i suoi tormenti, le sue ambasce, le sue “probblematiche” … maddeché? … e poi sempre sulle pagine che “contano” de li gionali che “contano” … de li padroni che contano (li sordi)… l’intervista semestrale delle firme più gettonate … oppure a scrive de che? … gira, gira, sempre de sé … che la prende sempre alla larga, storia, arte, filosofia, design, architettura, e poi zac … arriva sempre a bomba … ar dunque … ché, ar centro de tutto … der monno intero c’è sempre lui … e l’affari sua … ché gratta, gratta … resta sempre ‘n’industrialetto cispadano … c’ha studiato, … ma che nun sprecherebbe mai ‘na riga, ‘n’aggettivo, ‘n verbo, ‘na virgola … senza interessi … l’universo intero … tutto dentro er muro della fabbrichètta …
Novara-Pechino e ritorno …
Mi ha fatto sempre impazzire il Gregotti pensiero … sono quarant’anni che mi perseguita … più leggero della “Rocchetta” … che è sempre meglio l’acqua del rubinetto … almeno sa di qualche cosa … magari anche di merda, ma è sempre meglio del gnente … del distillato del nulla …
Sarà puro un genio stò Gregotti, per quarcuno, … ma per me resterà sempre (corpa dell’imprinting … come l’ho visto la prima volta sulla copertina di Vogue Uomo (o qualche cosa del genere), così me resta imperituro … anche se so’ passati tanti anni … era una rivista che mandavano, il primo numero, in “omaggio” all’architetti … così se sentivano tutti fighetti dopo il sessantotto … dopo l’eskimo d’ordinanza … e quello, er Vittorio, che stava furbo sulla copertina colla pelliccetta di scimmia pelosa (avete capito?) … sulla copertina patinata … il Vittorio, dentro l’orango … che più radical-chic nun se poteva, …
ma se lo chiappavano l’animaliste … se lo magnavano …
povero Vittorio tutta sta fatica … pe’ gnente …
mi resterai sempre in mente … dentro la scimmia … povera bestia …
comunque auguri … per i prossimi cento libri …
e poi ha costruito quanto nessuno al mondo, … 80 … ma è ancora una promessa … di chi si può dire altrettanto? … manco un metro cubo … per la Storia …
ma per l’occasione … presi dal dubbio … magari abbiamo esagerato … ci siamo andati a rileggere alcuni passi dello “storico” saggio che Manfredo Tafuri scrisse per uno dei tanti “eventi” gregotteschi, … la consacrazione dell’indimenticabile progetto per l’Università delle Calabrie … 1979 …
era il Manfredo furioso, reduce dai fasti delle utopie a scrivere:
“ Si badi bene: sulla scala geografica Gregotti riversa per intero il suo combattuto rapporto con la storia. La modernità egli scrive … procede a una “radicale revisione del tempo storico”, in cui “i fenomeni si appiattiscono in un concreto formale dentro cui si deve operare per scavo, annidandosi sino a forare lo spesso strato delle cose e degli eventi verso una nuova condizione di conoscenza”. Tuttavia quella medesima revisione porta per lui a condizioni di “quasi-sospensione del tempo storico”: verso una storia concepita come una serie di configurazioni successive e discontinue in attesa di significato. Chi dà significato è il voyeur che si annida nello spesso strato delle cose e degli eventi …
Gregotti, in fondo, ha ben cura di evitare frustrazioni. Il medesimo disincanto con cui aveva partecipato alla breve stagione “neoproustiana” viene da lui eretto ad argine contro gli ottimismi della città-territorio …
Il rapporto geografia-architettura non può esaurirsi per Gregotti in una nuova gestione dell’inesistente, né in una stategia sulla disegnabilità infinita dell’ambiente. Piuttosto, si tratterà di individuare “una strategia del discontinuo e del circuito … fondando sulla diversificazione” …
Forse siamo un po’ invecchiati, ma la prosa barocca di Tafuri non ci persuade, anzi … ci pare indulgere arzigogolando stucchevole e sostanzialmente … priva di senso, … ma, evidentemente, gli anni passano per tutti … e cerchiamo, qualche pagina più avanti, qualche cosa di più concreto, magari sullo Zen …
“ … la meccanica che presiede la morfologia complessiva è quella di una geometria stupefatta dei risultati del proprio rigore …
Un “troppo costruito”, dunque, proiettato come meteora staccatasi dal corpo urbano e condensatasi sotto l’incombere di un paesaggio minaccioso … intento a porsi come grande segno territoriale, ma anche a sottolineare che neanche a tale scala è lecito abbandonare lo strumento dell’allegoria …
Allegorico è il suo difensivo rapprendersi …
La compattezza del quartiere ZEN è anche quella del sintagma che si chiude in se stesso per individuarsi, farsi riconoscere come sistema strutturato, i cui segni fanno parte di un alfabeto inedito …”
Chissà se i palermitani sono ben consci di vivere in una “geometria stupefatta”, in “un’allegoria” difensiva o magari in un “sintagma” inedito … ci vorrebbe qualcuno che che glielo va a raccontare …
Ma veniamo all’Università cosentina …
“ … tendendo un filo d’Arianna sospeso nel vuoto, Gregotti si installa nell’alta valle del Crati. L’ambizione di raggiungere un’architettura fatta di pure relazioni sembra qui soddisfatta: ciò che rimane dell’oggetto, nell’ambiente naturale non abita; in esso, è piuttosto “spaesato”, sentendosi costretto a stringersi dappresso all’unico riferimento che in quell’ambiente è accolto come eco solidificata di una parola da sempre pronunciata dal coro delle colline e delle valli: la linea sicura e indifferente che scavalca ogni incidente naturale e si fa forte del proprio consistere come puro segno. “ …
boh? …
se questi sono i progetti migliori dell’architetto migliore … commentati dal critico più fico che c’era sulla piazza …
forse è meglio ‘na casa abusiva de’ Mastropippa all’Osteria del Finocchio … piuttosto che tutte ‘ste seghe mentali …
non c’è poi da meravigliarsi, quando qualcuno parla di “cattivi maestri” …
ma il vero problema è tafuri o gregotti?….il problema è chi queste cose-lo zen, l’università della calabria, le pensa, o chi a queste cose dà una sostanza che non hanno…?il problema è gregotti pessimo progettista (ce ne stanno tanti no?!) o gregotti cattivo maestro?
Riguardo “la geometria stupefatta” da raccontare ai palermitani, una volta la trasmissione delle “Iene”, occupandosi di questi alveari umani, e` andata ad intervistare prima l` architetto dello Zen e poi gli abitanti…. il primo, ammonendo che noi non sappiamo come si fanno le cose in Italia, diceva orgoglioso che i secondi dovevano andar fieri delle loro abitazioni…. i secondi ridevano del primo e neanche rispondevano…..
La sua prosa un pò gaddiana un pò alla Belli è molto efficace nel tratteggiare la boria di questi personaggi.
Difficile trovare qualcosa di peggio di Tafuri che scrive su Gregotti: distillato del nulla mi sembra una definizione calzante. Forse lo batte solo Toni Negri in “Impero”, o Cesare Battisti nei suoi cosiddetti romanzi gialli…
“Formidabili quegli anni”… Ma quando finiscono, si può sapere???
tre anni fa mentre preparavo, insieme ad altri 11 colleghi, la tesi, Gregotti era a Bari per un incontro sull’architettura organizzato dal prof. Moschini e tutti abbandonammo i nostri computer e ci riversammo nell’aula magna gremita di fan…
a dire il vero a Bari, in facoltà, non tirava molto G., ed infatti ricordo che qualcuno storse il naso e boicottò l’evento…
cmq era come essere ad un incontro gratuito con Vasco Rossi, nel senso che non ti fa impazzire ma trattandosi di una star non si può mancare…
ero in seconda fila e mi rimasero impresse le sue grandi mani e soprattutto il suo megaprogetto in Cina per una nuova città di trecentomila abitanti desiderosi, affermava G., di grandi case e lui li stava accontentando…
provai un pò di smarrimento nel vedere un intervento di tale dimensione e l’entusiasmo di G. mentre parlava del suo progetto e dello sviluppo mostruoso della Cina e ci suggeriva di fare un pensierino all’ estremo oriente…perchè lì c’è molto da fare…
a fine conferenza mi feci autografare la locandina dell’evento…
si può dire che Gregotti è un maestro “a grande scala” …
ed in Cina trovava tutto lo spazio per realizzare le sue macroarchitetture domatrici della natura, come i vecchi tempi…
tanto figuriamoci se un colosso economico che viaggia come un treno si ferma a pensare a preesistenze storiche o contesti naturali come fa qualcuno qui in europa.
Vi ho scoperti ieri, mi piacerebbe un vostro commento:
http://www.lastampa.it/Torino/cmsSezioni/cronaca/200709articoli/4570girata.asp
La Torino bocciata
Dal Palafuksas al Valdo Fusi, il giudizio critico di 123 architetti
Da Piazzale Valdo Fusi fino al Palafuksas: «Ecco gli esempi d’interventi da non seguire»
ALESSANDRO MONDO
TORINO
La pedonalizzazione di piazza Valdo Fusi. Alzi la mano chi non se lo aspettava, bocciata senza appello come uno dei peggiori progetti realizzati a Torino negli ultimi 10-15 anni. Bocciatura condivisa da un nutrito pacchetto di architetture più e meno illustri: dal Palafuksas al Palazzo di Giustizia, passando per il Mazda Palace, è una strage. Nemmeno Atrium, simbolo per eccellenza dei Giochi, sfugge alla ghigliottina.
Promossi e bocciati nella Torino postolimpica. Le pagelle saranno rese pubbliche oggi alle 18 al Circolo dei Lettori di via Bogino 9, durante il dibattito organizzato in collaborazione con l’Ordine degli Architetti, il Comitato Giorgio Rota, il Circolo L’Eau Vive e il Politecnico. Titolo: «La nuova Torino piace?».
Stando ai risultati dell’indagine conoscitiva, commissionata dall’Ordine e realizzata da Luca Davico e Silvia Crivello (Comitato Giorgio Rota) intervistando un campione di 123 architetti iscritti in provincia di Torino, si direbbe che no, la nuova Torino per molti versi non piace affatto. Questione di qualità progettuale, ma pesa anche il modo con cui le «new-entry» soddisfano le esigenze di chi le abita e si rapportano al tessuto urbanistico circostante. Senza riguardi per le opere «griffate», predilette dall’amministrazione cittadina e proprio per questo prive di giustificazioni. La riprova del malessere che, a un anno dal Congresso mondiale dell’Ordine degli Architetti, serpeggia nella categoria: messa per la prima volta in condizione di dire la sua, divisa nelle valutazioni (vedi il Palavela), tendenzialmente critica sullo sviluppo urbanistico della città e sulle scelte che lo ispirano.
Non a caso la prima stroncatura, in questo caso chiara e netta, non riguarda architetture singole ma chiama in causa Spina 2 – già censurata nelle sue realizzazioni dallo stesso Cagnardi, il progettista del Piano regolatore – e Spina 3: due delle principali aree di trasformazione di Torino, due idee di città che secondo molti intervistati hanno tradito lo spirito iniziale. Se il 32,5% esprime un’opinione complessivamente favorevole su Spina2, il 43,6% mostra il pollice verso.
Nel caso di Spina 3 il giudizio diventa ancora più severo, con un 65% di giudizi negativi e appena il 14,6% di quelli favorevoli. Molti edifici costruiti sulle spine sono anche citati come esempi peggiori degli ultimi 10 anni, superati nelle valutazioni critiche solo dal rifacimento di piazza Valdo Fusi. Come spiega Davico nell’«Ottavo Rapporto annuale su Torino», realizzato dal Comitato Giorgio Rota e presentato oggi insieme all’indagine, «una tipologia edilizia particolarmente criticata è quella dei grandi complessi di tipo condominiale: su sette progetti del genere nessuno ha raggiunto la sufficienza». Vale per la qualità progettuale, con punteggi insufficienti su 11 dei 26 progetti considerati. Idem per l’inserimento delle nuove strutture nel contesto: 12 quelle che non superano l’esame.
Questo non significa che sia tutto da buttare. Dal Lingotto al centro commerciale di Parco Dora su via Livorno, dall’Iveco in corso Giulio Cesare al Palaisozaki, sono diversi i progetti che si conquistano valutazioni positive. E comunque, precisa Davico, «serve un’assunzione di responsabilità non solo da parte del Comune, in termini di progettazione urbanistica, ma anche da parte della categoria». Come spiega Riccardo Bedrone, presidente dell’Ordine, «molto resta da fare: esistono margini per migliorare».
Resta la sensazione che nel ridisegno di ampie parti della città, occasione unica per Torino, si assista ad una deriva. Per dirla con Bedrone, «comincia a farsi consistente il timore che, se la proverbiale organizzazione dei torinesi saprà garantire il puntuale rispetto delle maggiori scadenze, nonché una formale correttezza e trasparenza dei processi, non è affatto scontato che gli esiti di tali processi siano in grado di ridefinire il volto della metropoli e di renderla più vivibile». Torino è un cantiere aperto: guai ai compromessi al ribasso.
Nella facoltà di Architettura a Roma, la Sapienza, dove ancora sono studente, per fortuna Gregotti non si studia.
Quest’anno sono andato in Portogallo, e sono andato a visitare il Centro Culturale a Belèm, realizzato appunto da Gregotti.
E’ una cosa spaventosa. Da fuori non si riesce a capire neanche dove sia l’ingresso, muri di mattoni alti chiudono la vista sia sul paese che sull’oceano, sembra che stai passeggiando ai piedi di un carcere.
La muraglia cinese è più clemente con il paesaggio. Non ho mai visto una architettura cosi fortino, cosi intrappolata al suo interno, che ti esclude ogni visuale su ciò che è il paesaggio circostante.
Per fortuna a Roma non si studia Gregotti.
Marco
una cosa che mi è rimasta in testa…tempo fa in un video in aula magna a vallegiulia, per il decennale della mediateca, interviste a gregotti, de carlo, aymonino. si parlava dello ZEN, del Villaggio Matteotti e del Gallaratese…e se de carlo alla domanda di perche fosse riuscito l’esperimento villaggio matteotti rispondeva testualmente: perche non è stato completato nella sua interezza, servizi compresi ,ed ha cosi avuto modo di saldarsi realmente al resto della città…a gregotti, quando gli fu improvvidamente chiesto il perche del fallimento del progetto zen, rispose testualmente : perchè non è stato completato nella sua interezza…
ora invece io mi chiedo, chi mai potrà sciogliere questo nodo?!?!?!
p.s. premesso tutto quello che ha fatto o che sta realizzando, fallimenti passati o futuri, le sue “grandi mani sull’architettura” e sul territorio…
cmq preferisco il linguaggio di Gregotti ad quello di altre stars contemporanee…
Gli scritti di Vittorio Gregotti sono stati sempre alquanto criptici. Ma bisogna riconoscere un merito alla sua direzione di Casabella per aver diffuso la problematica delle aree industriali dismesse e i concorsi di riconversione che connotarono quella stagione, in cui si teorizzava la fine dell’espansione urbana e il ritorno alla città consolidata, nel suo insieme, tra antico e nuovo.
applauso, applauso, applauso; anche se da “settentrionale” ho dovuto fare uno sforzo per comprendere la “romanesca” ironia.
Certo che a parlar male di Gregotti oggi ci danno dentro un po’ tutti. Quando lo criticavamo negli anni settanta (io lo facevo sulle pagine di ArteContro per la Biennale del 1976) la critica allora non era permessa e si passava per passatisti. Era lui il socialista da salotto che dettava la legge, e non solo in architettura ma anche nelle arti visive, dove l’avanguardia era già diventata appannaggio del mercato newyorkese. Allora le scuole di architettura ancora ne celebravano la dmensione teorica. Il “territorio dell’architettura” era in tutte le bibliografie dei corsi di composizione e chi citava “l’architetura della città” era guardato come un povero cristo. Tutto ciò è cosa nota, ma è la rima su Agnelli e Pirelli, e i loro architetti, che a me non piace lasciar correre. La vita e le opere del Renzo ci hanno consegnato quella grande lezione di architettura che il novarese non ha saputo darci. L’ultima mostra del genovese alla Triennale ci ha fatto capire quanta distanza esiste tra chi ha sempre nascosto la sua vanità dietro toghe accademiche o sotto la cipria dei salotti, e che invece sa ogni volta stupirci con la meraviglia della architettura. Di parolai poi, come delle mosche cocchiere, non so se riusciremo mai a liberarci: ne nascono ogni giorno, così tante che io un po’ rimpiango il turpiloquio del Manfredo nazionale così crudelmente messo a nudo che pare riflettersi dentro un’intera generazione. Insomma, vorrei dire, che a parlar male c’è sempre una grande soddisfazione, ci si compiace un po’ troppo. Perché invece non cominciamo a parlar bene di qualcuno? Questa sarebbe la vera scommessa…. io credo. Proviamo a raccogliere i cocci di questa avventura che ha attraversato l’Italia degli ultimi trent’anni. Proviamo a rimettere in piedi qualche esempio da mostrare ai giovani o qualche sorpresa da indicare ai vecchi. Lo so che è un lavoro infame e si rischia di bruciarsi le penne, ma questo è l’unico modo di prendere posizione.
Ciao a tutti
Attilio Pizzigoni
Tafuri e Gregotti. Io, giovanissimo architetto, ho avuto la ventura di conoscerli e di poter discutere, con entrambi, sulle forme e sulle teorie del nostro mestiere. Uomini affascinanti, dagli occhi sagaci, d’intelligenza rara e superba, di cultura fine e sconfinata, ma (uno sguardo d’intorno!), … maestri esiziali per l’architettura contemporanea.
Grazie davvero ad Attilio Pizzigoni per questo intervento, ma il suo auspicio finale è stato l’insegnamento di una vita di Gian Carlo Leoncilli Massi (provare per credere, in un suo libro del 1996 “L’Etrusco torna a scrivere”, Alinea, Firenze, sono pubblicate svariate lettere e piccoli saggi contro la nomenklatura gregottiana, tafuriana, etc), e come di lui di moltissimi altri docenti suoi coetanei che oggi sono sostanzialmente, o letteralmente, scomparsi. E sicuramente le penne se le sono bruciate al 100%.
Grazie a loro esiste oggi una piccola pattuglia di architetti che quel bacillo critico e intellettuale lo ha tenuto vivo e cerca di farlo conoscere, sviluppandolo nella ricerca universitaria e nella professione, in condizioni del tutto precarie, illogicamente volontaristiche, roba da assistenza agli anziani, roba da servizio civile quasi, prestati all’università di stato e così via.
Cocci ne abbiamo raccolto e “riciclato” a tonnellate, facendo quel lavoro infame che giustamente ricorda Attilio Pizzigoni. Io credo che a qualcuno sia servito.
Insieme ad un gruppo di amici e colleghi stiamo pubblicando una rivista gratuita in solo formato elettronico, Ordinè, che si occupa di composizione architettonica e che cerca di far conoscere ad un numero maggiore di persone il lavoro e la ricerca che abbiamo svolto in questi anni non soltanto contro qualcuno ma soprattutto “parlando bene di”, soprattutto riportando nelle aule della facoltà di Firenze questioni che erano state abbandonate a favore di stanchi rigurgiti del 1968 e dell’ortodossia ideologica: l’architettura del fascismo (non quella di cartone ma Terragni Moretti Libera Piacentini, che oggi ritroviamo elegantemente citata da infiniti architetti internazionali), l’architettura della chiesa e dello spazio sacro, la teoria della composizione architettonica e con essa le basi della teoria dell’arte, Loos, Wagner, Schinkel, Plecnick, insieme a Leon Battista Alberti, a Giotto, a Masaccio…
Speriamo di poter continuare, volentieri auspico un mecenate che fondi una o più facoltà di architettura private. Quella pubblica è un pò intasata e non si riesce a entrare nel corpo docente prima del 2066! A quella data sarò bello che stecchito, con le penne bruciatissime nell’inferno dei parolai!!!
arrivederci
cristiano
caro Muratore,
ha letto il polverone sollevato da Repubblica, sulla facoltà di architettura di napoli? naturalmente è tutto vero ed anche peggio! ma è una vecchia storia per la quale, io, figlio di “nessuno”, anni fa, ho dovuto lasciare la facoltà……. per far posto ai piccoli geni che hanno l’architettura nel DNA. Ne faccia un Blog….ne leggeremo delle belle!
la saluto cordialmente
paolo di caterina
………..ma cera bisogno di fare un ponte a Venezia, lungo il Canal Grande?
E il Sig. Calatrava, era davvero l’unico architetto in grado di poterlo progettare?
Ho qualche dubbio………………..!!!!!
Applaudo anch’io, car al mè Giorgio, sì, ti ghè propi rason, anca mi sun mia un fan dal Gregotti e vist ca ‘l nostar Vittorio l’è un mè paisan ta scrivi in dialèt da Nuara, tant as capisa ben cumè al tò bel ruman. Ma varda però che ves da Nuara al vora mia dì che ti sè un “industrialetto cispadano”, ricordat che chi suma cumbatù la resistenza par tri agn e pusè da mildusent nuares in mort par libarà l’Italia. E pò Nuara l’è in Transpadania, varda ben su la carta. Adès sun sicur che ti pensi: “tal chi al solit leghista!”, ma no, l’è propi al cuntrari, al me nonu l’era un anarchic scapà in Argentina e al me pà ch’l’era un cumunista l’ha fai quatr’ani da parsunè in Polonia suta i nazisti, e i gavevan mia la “fabrichèta”…
chiedo scusa per lo sfogo – che scrivo con un sorriso – ma a volte mi sembra che essere nati o avere radici, come me, in una piccola città del nord sia inteso da molti come un peccato originale, che ti identifica automaticamente con un modello negativo come quello che tu hai tratteggiato impietosamente. Purtroppo, però, ogni luogo comune cela una piccola verità, anche se parziale o distorta. I tempi, infatti, sono quelli che sono e anche Novara (di cui Gregotti si è peraltro completamente dimenticato – per fortuna, forse) è cambiata molto, naturalmente in peggio, raggiungendo vette di plastificazione berluscoide davvero poco invidiabili. In proposito, vorrei segnalare a te e agli amici che frequentano il tuo blog che è attualmente in corso nella cittadina del Vittorio uno scempio che dice molto del livello culturale della sciagurata giunta leghista – sì, mi vergogno ma è così – in carica sotto la cupola dell’Antonelli: nel contesto dei “restauri” al castello visconteo-sforzesco hanno deciso di aggiungere una torre alta 24 metri (a imitazione di quella del coevo e più noto castello milanese) più una vasta ala con funzioni di “area espositiva”. Ovviamente nessuna delle due cose è mai esistita, nè nella realtà nè tantomeno in alcun progetto. E’ già stata fatta una petizione di protesta firmata da numerosi studiosi e docenti universitari (http://www.astrea.it/castello/com-stampa29-06-07.pdf), ma i lavori non accennano a fermarsi. Vi prego di non abbandonare la gregottiana Novara al suo triste destino di decadenza culturale e architettonica.
Un saluto cordiale,
Stefano Testa
Dimenticavo: ovviamente Gregotti, insieme “ar fijo suo” Purini e ahimè a tanti altri, ha firmato una contro-petizione a favore dell’assurdo progetto novarese (http://www.astrea.it/castello/castellodinovara.htm).
Ancora saluti,
Stefano