
Pensieri di un collaboratore
Luisa urbanista
Parliamoci chiaro, nonostante la sua fiducia etica nei piani, non si fidava troppo sulla capacità dei piani regolatori di garantire la qualità dei luoghi. Era dubbiosa che una destinazione di un luogo fosse ben regolata solo da indici e retini colorati. Partiva sempre da un suo appunto grafico che ragionava su scale più vicine al progetto di architettura urbana e che per quanto piccolo e personale teneva in tasca, anzi, nel borsone che l’accompagnava sempre. Partivamo per lunghi e accurati sopralluoghi per capire quanto le indecenti copie cianografiche del territorio nascondevano, questo oltre a conoscere ci permetteva di rubare bei grappoli di uva pergolona che lasciandosi pilluccare si garantiva la sua sopravvivenza nel paesaggio.
Poi come non ricordare lo scavalco della duna adriatica e il ragionare sui vincoli che permettessero il mantenimento degli odori della macchia e il rumore dei passi sulla sabbia fino al mare.
Nel centro urbano poi rifletteva con sofferenza nei confronti di un’edilizia cialtronesca e interessata a ben altro che alla qualità antica del tempo. Sciatta tolleranza o forse più che altro ignoranza istituzionale.
E qui Luisa era straordinaria piccola come era e donna nel difendere le sue scelte davanti al Consiglio comunale formato tutto da maschi arroganti di una maggioranza all’opposto della sua fede comunista.
E lei incredibilmente vinceva.
Luisa architetto
Dico così per fami capire del suo come stare sul progetto di architettura. Per lei il progetto partiva sempre dalla pianta. Anche qui piccoli disegni con una penna biro un poco grossa su ritagli di carta avanzata o sul retro di un foglio già usato. E anche appunti scritti o raccomandazioni. Sembrava completamente disinteressata alla forma dell’edificio, o almeno non lo era quanto invece era interessata alla definizione degli spazi interni. In realtà i disegni erano già portatori di forme fino a quel punto alluse. In tutti i progetti di qualunque dimensione fossero arrivava Luisa con questi piccoli contributi come rilievi di un paesaggio archeologico formale di sua privata conoscenza.
Si discuteva molto durante i concorsi e volte si litigava su qualunque scelta si era fatta, lo spazio disegnato doveva essere descritto con parole in ogni minimo dettaglio. In casi in cui l’accordo non era raggiunto Luisa si isolava brontolando con il pezzetto di carta e la sua penna a biro grossa sul suo piccolo tavolo e ci lasciava litigare tra noi.
Luisa docente
Aveva formato un corso come una preziosa scatola che lei teneva saldamente e difendeva da ogni obiezione, anche invidiosa, che gli veniva fatta in sede di esame. In questo contenitore c’erano Laura, Rossana , Fulvio, Rosario, Dario ed io. Cioè di tutto un po’. Noi eravamo lasciati nella più ampia libertà. Ci si radunava all’inizio dell’anno per proporre la tematica di lavoro di ogni seminario, poi , nonostante lei ci tenesse molto ad inserirsi in fase di evoluzione del lavoro degli studenti, l’avevamo obbligata ad intervenire solo con revisioni collettive. I suoi corsi così congeniati avevano sempre confronto e discussione. Ma nonostante questa scelta didattica lei riusciva a trovarsi un angoletto nascosto o un sottoscala o una portineria nel quale lei riusciva a parlare sul lavoro di uno studente che si sentiva martoriato o incompreso da noi feroci docentini.
Devo molto a Luisa, alla sua attenzione nel dare sempre risposte precise alle domande che ti vengono fatte, allo stare sopra il lavoro con precisione e passione, all’attenzione verso il pensiero di chi collabora con te, e a coinvolgerlo nel lavoro con la dignità che merita. Devo anche molto alla sua non lezione di come si sta nella scuola al di la degli schemi dell’accademia banale e delle sue pigrizie opportunistiche.
Giangiacomo d’Ardia maggio 2022