Attilio Lapadula … un trampolino bianco e amaranto …

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E’ stato appena pubblicato da Edilazio il volume “Attilio Lapadula, architetture a Roma” curato da Luca Creti e Tommaso Dore che raccoglie i materiali conservati presso l’archivio Lapadula …

qui di seguito il testo di una nostra breve nota introduttiva:

Attilio Lapadula appartiene alla generazione dei nostri padri, a quella generazione che aveva poco più di vent’anni quando si progettava l’E’42 e poco meno di trenta quando, finita la guerra, si affacciò alla professione in quella Roma fertile e stracciona, vitale e gaglioffa, opulenta e disperata che oggi, dopo più di mezzo secolo, ci riappare nell’alone e nella lontananza mitica di un tempo magico e straordinario.
Troviamo qui un giovane architetto, ormai romano per adozione, che dà forma ai sogni di rinnovamento di un’intera generazione e che pur non rinnegando mai la sua disciplina, amplia e contamina la dimensione specifica dell’architettura con incursioni determinanti nel campo della piccola e della grande scala, dedicandosi con uguale impegno al design e all’urbanistica, insieme.
Di questi anni felliniani, fu inaugurato nel cinquanta, l’impianto del Kursaal ad Ostia Lido che, con il suo trampolino bianco e amaranto, diventerà l’icona stessa del sito. Capace di sostituirsi nell’immaginario domenicale dei romani alla presenza già forte e massiva del Roma (il grande impianto cupolato eratto da Giovan Battista Milani sul modello termale e spazzato via dagli ultimi eventi bellici), il Kursaal, cui contribuì per gli aspetti strutturali lo stesso Pier Luigi Nervi, fu opera capace di sintetizzare, attraverso la forza plastica del suo profilo, il senso di uno straordinario landmark territoriale. Sostituendo definitivamente l’ipotesi littoria della grande porta classica che i propilei di Alfio Susini avevano preconizzato come litoranea anticipazione dei fasti piacentiniani dell’E’42, l’audace astrazione del trampolino-emblema con le grandi K stilizzate e racchiuse nel cerchio, si stampa nella memoria collettiva di quegli anni e si colloca come indispensabile riferimento iconografico degli incipienti Cinquanta. La cifra stilistica di quel progetto al pari del “dinosauro” di Termini, delle grandi strutture di Nervi, delle palazzine dei Luccichenti, di Monaco e di Moretti si costituisce quale punto di partenza ineliminabile per qualsiasi riflessione sul dopoguerra romano cui Moravia, Fellini e Flaiano daranno, altrimenti, forma letteraria e cinematografica. Tra le architetture di questi anni, sicuramente da segnalare, anche la grande villa Angiolillo sull’Appia antica che nella sua, un po’ stentorea, ascendenza Wrightiana ben testimonia della diffusa deriva americaneggiante di tanta parte della cultura coeva inflenzata dall’assiduo magistero zeviano.
Ma saranno le infinite realizzazioni di arredo commerciale a definire il più vero luogo di espressione di un architetto cui la piccola scala, invece di inibire, parve schiudere più audaci prospettive espressive. Quante le opere furono realizzate da Lapadula in questo contesto? Impossibile elencarle tutte, decine, forse centinaia di piccoli e più cospicui interventi, a dar forma e struttura, a definire spazi, simboli e figure che fanno parte, a buon diritto, dell’immagine stessa della città. Di quella città che, nella sua dimensione quotidiana e commerciale, intima, familiare e consueta ormai ci apparteneva collettivamente, giorno per giorno, e di cui purtroppo, altrettanto quotidianamente cogliamo le perdite e le assenze sempre più numerose. E’ questa l’immagine sobria e coltivata di negozi famosi, di bar, ristoranti, trattorie, pizzerie, ottici, alberghi, che hanno segnato il percorso della nostra infanzia e poi più oltre fin quando, come per un’amnesia improvvisa, in una incrociata dissolvenza sono cominciate a scomparire le immagini familiari di una città affabile e domestica per essere sostituite da quelle che si fanno schizofreniche, sempre meno simpatiche, umane, decorose e decenti.
Tra gli infiniti punti di riferimento il Bar Mokambo, il Caffè Berardo e l’Aragno, il Ristorante Capri e il Cubo, l’Ottica Vasari, tutte opere nelle quali il progettista si è spesso avvalso della collaborazione degli artisti della sua cerchia che poi lo affiancheranno anche in opere di più ampio respiro. Le architetture di questi anni vivono quindi una speciale e assai vitale simbiosi con quanto le arti plastiche e figurative stavano proponendo al momento delle grandi polemiche tra astrattisti e neorealisti e Lapadula sembra partecipare con naturalezza a quel mondo quasi a far da sponda alle disseminate ricadute di quelle ricerche di allora, spesso assai poco comprese ed apprezzate, che popolano invece, con discreta continuità, le opere del Nostro.
Insieme ai negozi anche la partecipazione a mostre importanti, come l’Esposizione Agricola tenutasi nel ’53 all’EUR, a conferma della qualità di una ricerca spaziale di grande respiro condotta in sintonia con la sperimentazione di artisti come Basaldella, Fegarotti e Lazzari.
Saranno poi i prestigiosi concorsi e gli incarichi per l’arredamento delle grandi turbunavi, fiore all’occhiello della flotta transatlantica di bandiera, a consentire a Lapadula di dialogare ulteriormente e in forma ben più cospicua e articolata con artisti come Afro, Leoncillo, Turcato, Picone, Lazzari, Parisi, Novelli, Accardi, Sanfilippo, Scordia, Trotti, Virduzzo, Sadun, Conte, Montanarini, Perilli, Uncini, Matta, Buchicchio, Russo, etc. solo per fare qualche nome. Si tratta degli arredi sontuosi di questi lussuosi alberghi galleggianti che concludono una vicenda di grande qualità e interesse e che aveva visto gli architetti italiani, per più di mezzo secolo, tra i primi nel mondo.
Tra le opere dei primi anni ci piace però ancora ricordare un piccolo, ma assai significativo intervento, nel cuore della città, sotto i portici della Galleria Colonna, quella piccola ma esemplare vetrina-agenzia del quotidiano romano Il Tempo, che pare voler anticipare sintetizzandoli alcuni degli elementi linguistici ed espressivi che resteranno determinanti nella poetica dell’architetto. Si tratta di uno spazio esiguo, ma strategico che Lapadula affronta dinamicizzando con corpi sinuosi e fortemente plastici gli elementi di arredo fisso e mobile e che induce una ricca metamorfosi comunicativa ad uno spazio altrimenti afono e privo di espressività cui si aggiunge la straordinaria invenzione di un cinegiornale incorporato nell’allestimento e che si proietta direttamente sulla strada quasi a voler anticipare, e di quanti anni, l’immediatezza della comunicazione televisiva di massa.
Ma Attilio Lapadula non è stato soltanto un grande architetto di interni, che se questo fu, per molti anni, il suo ambito professionale prevalente, altrimenti cospicue sono le sue numerose realizzazioni edilizie, sia in ambito residenziale, che terziario. Sue numerose “palazzine” di grande compostezza e qualità, anche nel dettaglio, spesso sofisticato; sue le sedi del Ministero della sanità e dell’IMI all’EUR ove il tipo del grande blocco per uffici evolve verso l’applicazione diffusa di un’industrializzazione assai in voga sulla piazza romana tra i sessanta e i settanta; sua un’intensa collaborazione con uno degli imprenditori di maggior successo nel contesto capitolino, come Alfio Marchini, che porterà alla realizzazione del prestigioso Hotel Leonardo da Vinci e del Residence Garden; sue ancora altre e numerose realizzazioni per conto di congregazioni ed ordini religiosi tra le quali il complesso di San Lorenzo da Brindisi che costituisce l’episodio più corposo e cospicuo.
Ma, a fianco di una pur così consistente attività professionale e di sperimentazione linguistica non va dimenticata l’attività didattica nella scuola romana di architettura che lo ha visto impegnato per oltre quarant’anni nell’ambito della ricerca teorica da quando Plinio Marconi lo chiamò, appena laureato, ad affiancarlo presso la cattedra di Urbanistica nell’ormai lontano 1940. Tra i numerosi ed importanti studi scientifici affrontati all’interno di questo specifico ambito di ricerca ci piace ricordare, tra i numerosi altri, un volume che sicuramente merita di essere considerato come un pionieristico contributo alla storia urbana della nostra città e del suo ambiente, quel “Roma e la Regione nell’epoca napoleonica; contributo alla storia urbanistica della città e del territorio”, pubblicato da I.E.P.I. nel ’69, che costituisce un caposaldo nella storiografia urbana capitolina facendo luce su un ambito, all’epoca del tutto inindagato, e che ha anticipato, di decenni, i successivi studi relativi ad alcuni degli argomenti cruciali nella dinamica urbana degli ultimi secoli.”

GM 12.06

P.S. tutti i nostri più affettuosi complimenti a Filippo Lapadula per la cura, l’attenzione e l’intelligenza con le quali, in tutti questi anni, ha silenziosamente e laboriosamente vegliato sulle sorti dell’archivio di famiglia …

grazie Pippo …

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6 risposte a Attilio Lapadula … un trampolino bianco e amaranto …

  1. Lorenzo ha detto:

    Attilio La padula…quello del trampolino……che non è quello della palazzo della civiltà del lavoro all’eur….quello è Ernesto….e poi c’è ancora il terzo fratello, Emilio….
    Dunque attilio è quello del cerchio, Ernesto quello del quadrato.
    Meglio riprecisarlo (non si sa mai magari qualcuno oggi non c’era) per assicurare a tutti sonni tranquilli….

  2. emanuele arteniesi ha detto:

    Mi sembra che non si tratti solo di un cerchio. Io me lo sono sempre chiesto di chi fosse quel trampolino. Si vede spesso anche nel cinema in bianco e nero.
    A proposito di tutti quegli interventi che contribuirono a formare l’immagine della città di cui parla Muratore, luoghi spesso così classicamente sobri, eleganti ma anche familgliari. Molto è documentato dal cinema italiano. Per esempio in ” Boccaccio 70″ c’è una scena ambientata in un centro sportivo simile. Ho ricontrollato pensando che si trattasse del Kursaal.
    Ma ora sono altri tempi.. D’altra parte sono nato nel 1975 quando Pasolini disperava tra le dune , forse di Sabaudia, nell’elogio a una certa civiltà italiana..
    .. e “Boccaccio ’70”, un filmetto, come le architetturine dei Lapadula, era firmato da Monicelli, De Sica, Fellini e Visconti

  3. paolo ha detto:

    boccaccio 70 nn lo definirei proprio un filmetto……………

  4. emanuele arteniesi ha detto:

    Certo che non è un filmetto. Volevo dire che è una produzione, di quelle a episodi, dove i grandi registi usavano più mestiere che ispirazione..
    Comunque complimenti zombies.. sogni d’oro

  5. Bruno Filippo Lapadula ha detto:

    Grazie a te Giorgio,
    pipo (sic) perché di madre veneziana

  6. Ezequiel LaPadula ha detto:

    ciao Quico pubblico sa che la nota … io sono un parente di Ernesto, Emilio Atilio .. e mio nonno è stato il suo fratello John altri … non vedo l’arquitectuta Argentina e Quico contatto saluti surinfinito perdono per il mio italiano …

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