ARCHITETTURA BUONA COME IL PANE n.20: GIOVANNI MICHELUCCI …

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GESU’ TI ODIO

da: don Lorenzo Milani, “Perché mi hai chiamato?”, Edizioni San Paolo 2013

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 Gesù ti odio

tu non mi dovevi chiamare.

Senti come bolle

questa indefinibile voglia?

Non vedi che dove passo

infetto le tue creature?

Gesù ti odio

tu non mi dovevi chiamare.

Gesù ti adoro mi sei restato tu solo

Gesù m’aggrappo

alla tua unica mano

Gesù m’aggrappo

perché non voglio sparire

Ahi!

la tua mano è cosparsa di spine

Accidenti alle spine

della tua corona

Gesù ti odio

maledetta la tua croce

Gesù ti odio

ma non mi lasciare solo

Gesù ti odio

ma tu sai se è amore

Don Lorenzo Milani, 14 Ottobre 1950

ArchitetturaBuonaComeIlPane20_02

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5 risposte a ARCHITETTURA BUONA COME IL PANE n.20: GIOVANNI MICHELUCCI …

  1. Di ritorno nella Chiesa dell’Autostrada dopo trent’anni da quando studente mi ci aveva spedito il blogger.

    Ci sono partito da Roma pensando di recuperare l’imbarazzante e dimenticata presentazione negativa su un numero de L’Architettura dell’epoca a firma Paolo Portoghesi dalla quale deriva, a mio parere, il parere ostile di Robert Venturi comparso nella prima versione di “Complessità e contraddizione”, un parere in seguito rivisto nelle successive edizioni. Fu anche inciampare in questa venturiana ammissione di errore in forma di nota a piè di pagina che mi spinse a dare più attenzione di tutta l’opera di Michelucci. C’era qualcosa di non facile comprensione.

    Portoghesi parlava male dell’eccessiva patinatura del risultato finale conseguenza dell’estrema ricercatezza della lavorazione della pietra e del cemento armato, un’elegante messa in tiro che, a suo parere, ha vanificato il ruvido espressionismo materico del plastico di studio. Un errore che Michelucci deve aver riconosciuto visto il trattamento riservato alla successiva e più sconvolgente Chiesa della Vergine a San Marino.

    Volevo scriverne ricordando una straordinaria corrispondenza tra Michelucci e il valoroso strutturista Ivo Tagliaventi in cui questi, tutto contento, annunciava di aver ripensato la statica dell’edificio in modo da potersi eliminare il tirante (o puntone) esterno ed estremo che trattiene (o sostiene) la tenda, entusiasmo dell’ ingegnere che riceve la risposta piccata dell’architetto a difesa di quel fondamentale elemento architettonico: se in senso edile non serve ad altro che a sostenere se stesso, toglierlo farebbe crollare tutta l’Architettura della chiesa, il che, forse, può far intuire (NON spiegare in modo “chiaro e distinto”) come sia complessa e quanto differente da quella del passato, l’architettura contemporanea.

    Volevo scriverne ricordando come il primo progetto, a firma di altri, aveva la forma di una chiesa ordinaria, e come questa fosse già in costruzione al momento della convocazione di Michelucci che dall’impronta di quell’edificio, già alle fondazioni, ha tratto tutt’altro risultato.

    Arrivao a Firenze con in testa tutte queste idee precotte e che vi riferisco solo per cronaca senza farmi scrupolo di ricontrollarle sulle fonti (scusatemi se la mia memoria avrà deformato alcune cose) ma tutto diventa poco significativo nella nuova scoperta di questo edificio, della sua Verità per me in questo momento della mia vita. Chi aveva mai sentito il costante rumore di fondo de «I camion corrono lontani, mi tengon fermo le tue mani. Le fughe sono ormai finite sulle autostrade ormai ingiallite» , ma soprattutto quel buio incommensurabile in cui si smaterializzano le chiome degli alberi in cemento armato e quella trave longitudinale, sopra l’altare, scomparsa nel nulla. Un’architettura che non offre metafore per facili consolazioni: una luce dall’alto attraverso una lanterna, una finestrella, uno spiraglio… almeno una forma regolare, un cerchio, un esagono, una stella di Davide che raccolga tutto il disordine che sale da terra ecc. ecc.

    Il messaggio è: buio. Dio non è più lassù, in un “regno dei cieli”. Se ci fosse sarebbe il mare nero del Dio veterotestamentario di Qoelet, la divinità come carrucola che cade nel pozzo. Dio non da ricercare nella soluzione perfetta e definitiva, in un utopico mondo pacificato, altro da quello in cui siamo immersi ogni giorno in cui i poveri saranno sempre con noi, in un ordine fossilizzato delle cose, ma è nella via, percorsa senza requie dai Tir della vita.

    Alla fine l’unico commento appropriato mi è sembrato la tremenda e commovente preghiera di Don Milani scoperta recentemente nell’archivio della Fondazione che porta il suo nome. Su Michelucci e Milani resterà per sempre la presentazione (poi non pubblicata) che l’architetto scrisse a quel libro straordinario sul significato della scuola che è Lettera a una professoressa

    «Voi, scrivendo, non pensate a ottenere prima di tutto un risultato estetico, un’opera d’arte; ma l’opera d’arte verrà se in quel che avete pensato e scritto vi sono elementi di tale verità umana e poetica da generarla. A voi interessa che gli uomini riconoscano se stessi e i propri interessi in quel che pensate e dite.
    Così è o dovrebbe essere per gli architetti e l’architettura. Il modo è elementare e vale per tutti: si parte da delle considerazioni sui fatti della vita e degli uomini, si meditano, se ne tira fuori il senso sociale ed umano e si riportano in mezzo alla gente perché divengano argomento di meditazione e di dialogo. GM»

    Giancarlo :Galassi
    duepuntig@gmail.com

  2. stefano salomoni ha detto:

    Gian Carlo, ci sono novità su T.S.Lorenzo?

  3. Caro Stefano,
    dopo aver contattato sotto gli spintoni di Archiwatch (un paio di anni fa?) il sindaco di Ardea perché si interessasse di Casa Pitigliani alla quale intanto era stata demolita la capanna antistante ed erano stati fatti alcuni lavori di consolidamento piuttosto “rustici”, questi aveva mandato i vigili a chiedere chi la occupasse. Del resto era molto interessato a rivalutarla per farne una cappella laica per i matrimoni. Ma pare che le persone che la abitano (eredi? non so) ne hanno pieno titolo anche se è su terreno demaniale. Quindi tutto è rimasto fermo. Spero solo che non la demoliscano in caso di ruspa selvaggia a Tor San Lorenzo. Quel piccolo edificio tutto tetto sta all’architettura di Michelucci come il padiglione dell’Esprit Nouveau o Barcellona alle architetture di Papà Corbu e Mies. San Pietro in Montorio a Bramante. I teatrini a Rossi e Purini a… ecc. ecc. Perché qualcuno non si fa un giro a fare foto nuove? A me non regge il cuore e, come avete letto sopra, soffro troppo in questo periodo a “tornare”. Paura di quel che posso trovare.

    Tornando alla Chiesa dell’Autostrada.
    Per chi ha letto la prefazione alla Lettera che vi ho linkato e conosce l’edificio, Michelucci sta parlando ai ragazzi di Barbiana proprio del lavoro fatto a Campi Bisenzio. Scrittura collettiva in architettura.

    Sulla preghiera di Don Milani del 1950, che non riesco a togliermi dalla testa da oltre un mese, vi traspare un modo di rapportarsi con l’Assoluto in cui il priore riesce, meglio di tanti, a fare “ai mezzi” delle proprie possibilità e limiti. E’ infatti molto simile alle sue ultime parole sul letto di morte (morì a 44 anni per leucemia) che erano un pensiero per i suoi ragazzi: «Ho voluto più bene a voi che a Dio, ma spero che egli non faccia caso a queste sottigliezze e metta tutto nel suo conto»

    Buona domenica e grazie.

    • sergio 43 ha detto:

      Scusa, Giancarlo, ma un sacerdote, come ogni cristiano, invece di esaltare il proprio operato di carita’, non dovrebbe piu’ umilmente cantare al Signore nel silenzio del proprio cuore di essersi affidato al suo insegnamento che l’evangelista Matteo riporta nel capitolo 25: “Tutto cio’ che avete fatto al piu’ piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me”?

  4. stefano salomoni ha detto:

    Caro Gian Carlo,
    ti ringrazio molto per la tua risposta.
    La “Paura di quel che posso trovare” è certamente condivisibile.
    Due giorni fa sono passato vicino al litorale, ma giunto al bivio di Campo Selva, invece di proseguire in direzione di Torre San Lorenzo, ho preferito volgere verso Ardea. La forza dell’inconscio (o del ciclista con poca autonomia).
    Tutto nella normalità anche lì: il Colle di Manzù circondato da fabbricati degni di un horror americano (“Le colline hanno gli occhi”, gli assessori no), la rupe tufacea rutula (sottoposta a “lavori di consolidamento” eseguiti da Spider Man) definita nel perimetro dagli ormai storici e improbabili casamenti, nostri Partenone.
    Quando all’altezza del vecchio cimitero vedo aperta, per la prima volta nella mia vita, la chiesa di Santa Marina! Un capolavoro: anno 1191, navata unica con ninfeo del II secolo d.C., di quelle cose che pretendono la genuflessione.
    Quindi: proporrei a te e agli impavidi incursori archiwatchiani, una visita presso Santa Marina.
    Dopodiché, rendez-vous al “Michelucci Point”.
    Con panini e coraggio al seguito.
    Ciao.

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