ARCHITETTURA BUONA COME IL PANE n.18: TEATRINI DELL’ARCHITETTURA …

ArchitetturaBuonaComeIlPane18_01  TEATRINI

 Franco Purini: Teatrino scientifico, Roma 1979;

Aldo Rossi: Teatro del Mondo, Venezia 1980

 Problema: “Progetta un edificio in muratura di lato 6 metri”. Lo svolgimento era alquanto funerario ma in realtà non erano precisate destinazioni funzionali, la frettolosa indicazione quale “Cappella” era tanto per inquadrare il tema: non c’erano vincoli liturgici tipo “altare su un lato” o “battistero al centro” e nemmeno indicazioni stilistiche, il candidato era libero di escogitare da sé le soluzioni linguistiche che, per ingenuità e dilettantismo, si approssimavano parecchio allo storicismo. Non c’era altro da fare che portare a terra il peso proprio dell’edificio realizzato con la tecnica costruttiva più semplice, quella che vincola alla maggiore continuità gli elementi portati e quelli portanti, rendendoli indistinguibili se si sfumano le volte nelle pareti oppure tenendoli separati esaltando i nodi di attacco che è poi “IL” problema caratteristico dell’Architettura.

Su questo genere di didattica scoppiò il putiferio nel 1963 e la didattica venne interrotta (Cinquantenario! Cin cin!) perché questa esercitazione veniva data agli studenti del primo o secondo anno a Valle Giulia nel Corso di Composizione di Saverio Muratori. La lezione era non dimenticare che la scuola romana nasce dall’unione di Ingegneria e  Belle Arti:  la Costruzione è l’Architettura.

ArchitetturaBuonaComeIlPane18_02Nel 1979, ma i primi studi risalgono all’anno precedente,  Franco Purini costruisce la sua personale “cappella 6 metri per 6” che, seppure non in muratura, è però muratoriana per il grado di appartenenza alla scuola romana come intesa prima.

Una piccola architettura di fatto effimera, i suoi materiali sono quelli della scenografia (tubi innocenti, praticabili, spezzati), ma non lo è per concezione. Le pareti sono di spessore esiguo (ma non sono spesse pochi centimetri anche le facciate della Girasole?) e realizzate con materiali economici che non devono resistere al tempo, ma, partendo dagli oggettivi limiti di questi dati, nel Teatrino Scientifico la Costruzione è l’Architettura.

La sua struttura, di cui la sezione prospettica ne  vanta bene la presenza, non è una componente irrilevante: nella sua semplicità, povertà e provvisorietà è progettata con tutti i crismi dell’ingegneria seppure adeguati alla ristrettezza di quegli attribuiti. E’ in una struttura spessa circa un metro che si sale ai piani superiori, si cammina, ci si affaccia dall’alto su uno spazio interno, uno spazio  “interno dellesterno dellinterno” che, astrattamente aggiornato, non potrebbe essere più romano.

 Nel 1980 Portoghesi e Rossi hanno certo ben presente il precedente di Nicolini e Purini ma possono fingere di dimenticarlo perché i loro intendimenti sono completamente diversi. Aldo Rossi costruisce la non-veneziana ma arcirossiana “architettura in prospettiva inversa da icona russa”, la sua “chiesa armena”, la sua “cabina dell’Elba a Chieti” (capite lo spiazzamento?!), il suo poetico e unico mondo interiore a cui poi troverà, per far contenti i benpensanti, le necessarie giustificazioni colte, le fonti di ispirazione a posteriori (ma non certo l’Estate Romana dell’anno prima!) tutti quegli indispensabili e stordenti richiami ai teatri provvisori veneziani, al carnevale ecc. ecc.

Confrontate via Sabotino a Roma con Punta della Dogana: è Venezia che diventa rossiana non Rossi che si fa veneziano. Rossi si fa scudo di una teoria dell’Architettura della Città di cui Purini non ha bisogno perché è quel tutto-interno della sua architettura che dimostra appartenenza al luogo. Aldo Rossi, come farà in seguito altre volte in giro per il mondo, costruisce un pezzo di sé stesso. Io, tutte le mattine, per farmi il caffè, accendo il fuoco sotto a una versione da cucina del Teatro del Mondo. E ogni volta la grande architettura mi fa compagnia.

La struttura “ingegneresca” del Teatro del Mondo è una vera opera provvisionale, un abborracciato telaio da hollywoodiano villaggio western, utilissimo a far stare in piedi, per poche settimane, una meravigliosa poesia.

 Come abbiamo cominciato questa panetteria, così continuiamo, cioè trovare indizi che dimostrino la profonda natura impoetica dell’architettura romana. Questo non vuol dire che sia architettura meno valida: gli architetti romani non scrivono poesie ma romanzi.

ArchitetturaBuonaComeIlPane18_03Soggetto: Giorgio Muratore

Sceneggiatura: Gian Carlo :Galassi

[duepuntig@gmail.com]

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10 risposte a ARCHITETTURA BUONA COME IL PANE n.18: TEATRINI DELL’ARCHITETTURA …

  1. ctonia ha detto:

    Gran pezzo Giancà, chapeau

  2. Andrea Di Martino ha detto:

    “Rossi si fa scudo di una teoria dell’Architettura della Città di cui Purini non ha bisogno perché è quel tutto-interno della sua architettura che dimostra appartenenza al luogo” (cit.)
    Coerentemente col pensiero espresso dall’articolo, partimo pure dar presupposto che la teoria dell’Architettura della Città sia solo un postulato della scuola rossiana mentre quel “tutto-interno” dell’architettura puriniana sia un autentico assioma di una (non meglio precisata) scuola “romana” (di cui Purini, a quanto pare, sarebbe un degno interprete). Ma allora se po sapè pe’ quale motivo la sagoma dell’arberello posto a “coronamento” dell’edificio nun corrisponde ar classico arberello de pino? Ahò…de essenze “romane” più “romane” der pino, io francamente nu’ ne conosco… A ‘sto punto, come cittadino dell’urbe ciavrò pure diritto a ‘na spiegazione. O no?

    • sergio de santis ha detto:

      si … non meglio precisata …
      vabbè và …
      e certo che come cittadino dell’urbe c’hai diritto …
      però … er punto secondo me è … che … la situazione qua è … è più ciociara che romana …
      poi er pinetto nun va bene … è n’albero che non se presta a esse’ rappresentato piccoletto … er pino … pe’ quello che semo abituati noi a vedè ne le campagne o su le creste delle collinette intorno a a Roma … o nei quadri dei romantici … so’ alberi forti .. forti … co le radici che spaccano tutto …. e che se adatterebbero male alla gracile espressione de ‘na scatoletta … è robba più tenera … più … da bacca o da fioritura … ecco da fioritura …
      e te dirò pure, … che per quanto se ne possa dire … er teatrino galleggiante … invece … tutto me sembra tranne che abborracciato

  3. Angiolino Imperadori ha detto:

    Si, ottima lettura, chiaro, essenziale senza inutili orpelli, prosa milanese e poesia romana……ribaltiamo il mondo!

  4. MAURO ha detto:

    Giancà, mi hai migliorato la giornata, e per questo ti ringrazio…bellissimo testo.
    A proposito della “grande architettura che ti fa compagnia ogni mattina”: ogni giorno, o quasi, passo davanti al cimitero di San Cataldo a Modena e ho la sensazione che la stessa grande architettura mi faccia compagnia.
    Spesso ci vado a camminare: pura poesia.
    Quanto ai tubi del telaio del Teatro del Mondo, che hai definito “opera provvisionale”: da quando il sisma ha colpito le case e i monumenti della Bassa in cui vivo, non riesco ad abituarmi ai tubi che “sostengono” gli edifici.
    Sono lì a ricordarci il carattere effimero dell’architettura (e della vita), lungo filo conduttore che unisce la poesia di Rossi da San Cataldo al Teatrino. Andata e ritorno.
    CIAO
    MAURO

  5. stefano salomoni ha detto:

    E risulta, caro Giancarlo, pure impoetica (e aggiungo: innocente, se non addirittura infeconda), tutta quella incomprensibile solfa sull’essere giunti a soluzione ‘un anno prima’, ‘prima di’, ‘precedente a’…arzigogoli da Giochi della Gioventù, forse poco adatti alla “misurazione” o, più semplicemente, alla comprensione della qualità di un’opera (condividi?).
    Complimenti per la pagnotta.
    Saluti Innocenti.

  6. Sono andato a ripescare questa
    casciolata dell’estate scorsa e si nota come i 6 tubi innocenti verticali, che formano il telaio di ciascuna facciata, lasciati a vista nei prospetti che non si vedono nelle proiezioni ortoganali qui pubblicate ma si intravedono di scorcio nella prospettiva, siano montati in serie ritmica, esilissimi pilieri, analoghi a quelli di una delle facciate della Casa del Farmacista, esattamente modulati in corrispondenza delle parti piene tra le cinque finestre.

    E’ anche toccante, nel progetto, quel pino che attraversa tutto l’edificio e lo inchioda sul posto, lo rradica al suolo, gli fornisce fondamenta profonde in modo ben differente dalla soluzione flottante del teatrino rossiano, un pino che non c’è ed è a malapena evocato dalla chioma dell’alberello in copertura (che del resto mi sembra finto – forse la struttura non avrebbe retto il peso della fioriera?), un pino marittimo dalla corteccia crettata che tornerà nella duplice facciata Purini-Thermes della biennale di Portoghesi dell’estate dopo.

    Insomma un architettura da poco ma che, se si sta ad ascoltare quel che dice, ne dice di cose! Romanzo.

  7. massimo di ha detto:

    Mi permetto di aggiungere una terza via, sebbene non esattamente effimera, a quelle molte ben indicate da questa pagnotta. Nè poesia nè romanzo ma fotografia, che pur sempre racconta. Anzi proprio dalle fotografie (di Ghirri) ben si fa raccontare: il teatrino di Varano Marchesi di Zermani, 1983-84. Non sotto le luci della ribalta delle due capitali, ma immerso nella nebbia della provincia. Isolato ma pur sempre parte di una comunità come in tutti i paesi sotto i 20000. Struttura prefabbricata ma rivestita in mattoni, quale migliore inserimento nel contesto della provincia della produzione? Che usa la geometria anche un po’ per alienarsi. A suo modo, una forma strutturale cava come quelle qui sopra. Una fotografia sul cui negativo uno potrebbe leggere un sacco di cose, ma magari anche niente.

  8. Caro Pettinari (rispondo qui perchè il thread è da questa parte),
    la domanda è giusta, ma scrivo male e quindi capisco i tuoi dubbi. Però non mi sembra di aver posto limiti all’una o all’altro. E’ solo che le cose mi tornano meglio, ovvero io cambio di più, se sospendo (tengo sospesa) la mia credulità in modo diverso quando leggo “Infelicità senza desideri” (ovvero leggo il romanzo e inciampo nella poesia) oppure “Canto alla durata” (leggo la poesia e inciampo nel racconto), tanto per citare due capolavori di un autore su cui mi sono costruito e che, del resto, cito nell’ultima sfornata (ero e sono così tarato che anni fa il secondo testo, il poema, lo recitavo tutto intero a memoria portando a spasso il cane – negli sguardi degli altri raccoglitori di merda: ecco il solito matto che per strada parla da solo).

    In altre pariole mi sono reso conto che cercavo in Rossi cose di cui Rossi non aveva, con tutta sincerità, intenzione ingannato da una sua relazione al progetto farcita, come da manuale del diligente architetto, di riferimenti storici, di teoria della città (che intorta ancora parecchi brocchi che la pensano scientifica – per la cronaca è un romanzo e solo questo rivela che è nata a Roma pure quella!), un gustoso buonissimo condimento per incontrare il plauso intellettuale della casta, tipo finti schizzi fatti a progetto finito (ne ricordo alcuni di omissisis -riposi in pace- che incatuamente ne pubblicò su una sua monografia poche pagine prima delle foto da cui erano lucidati… quanto ci ridemmo!).

    Per questo insisto su ‘sta prorità Nicolini-Purini, non che è quella che conti Salomoni, ma insisto solo perchè non vengono mai citati da Portoghesi-Rossi quando è smaccato il riferimento, altro che il Ponte di Rialto (che viene invece citatone).
    Lo svolgimento del tema teatrino è diverso? bene! Urrà! ma che problemi hai a ricordare, nella bolgia culturale che richiami, quei due autori più giovani di una generazione che sono evidentemente “IL” riferimento? (le generazioni in architettura vanno di 10 anni in 10 anni – più o meno la differenza di età tra studenti e loro assistenti all’università e Portoghesi è stato professore di Purini).

    Comunque queste discussioni sono sconvolgenti per me. Vi giuro che solo dopo le vostre osservazioni ho visto il pino marittimo “guardiano” del disegno puriniano, e ho capito i telai di tubi innocenti a vista sulle facciate non pubblicate che confermano alcune cose dette sopra sulla struttura che tiene su l’accrocco, struttura trattata in modo molto differente rispetto a Rossi che, giustamente, per quel che gli interessava dimostrare, se ne frega bellamente.

    Quindi la mia riconoscenza verso tutti è smisurata.

    In particolare un blogger coglie addirittura il tema di un prossimo panino di cui ho già discusso con qualche interessato, ma in merito non dico altro… se no non lo scrivo più.

    Una cosa divertente. Questa 18a pagnottella, insieme ad almeno altre tre, è stata impastata con Muratore dieci giorni fa o forse più ma, avendo altro da fare ho trovato una notte insonne solo tra martedì e mercoledì scorso. Ebbene, mi è stato raccontato oggi che, il giorno prima della sfornata, si sono affumicati in Aula Magna a Valle Giulia proprio su Saverio Muratori e scuola romana, tanto che alcuni mi hanno fatto i complimenti per il tempismo mettendo AW a ruota delle discussioni della conferenza (che era su Louis Kahn).
    Ma vedi te… è un mondo serendipico!

    Baci.

  9. Gianni Accasto ha detto:

    I corsi di Muratori erano al quarto e quinto anno della facoltà di Architettura. I corsi di progetto erano
    Elementi di Architettura e Rilievo dei Monumenti I e II
    Elementi di Composizione
    Composizione Architettonica I e II.

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