DELLA EDILITÀ’ LXIII
È instituito nella Reggenza un collegio di Edili, eletto con un discernimento fra gli uomini di gusto puro, di squisita perizia, di educazione novissima.
Più che l’edilità romana il collegio rinnovella quegli «Ufficiali dell’Ornato» della città che nel nostro Quattrocento componevano una via o una piazza con quel medesimo senso musicale che li guidava nell’apparato di una pompa repubblicana o in una rappresentazione carnascialesca.
Esso presiede al decoro dal vivere cittadino; cura la sicurezza la decenza la sanità degli edifizii pubblici e della case particolari; impedisce il deturpamento delle vie con fabbriche sconce o mal collocate; allestisce la feste civiche di terra e di mare con sobria eleganza, ricordandosi di quei padri nostri a cui per fare miracoli di gioia bastava la dolce luce, qualche leggera ghirlanda, l’arte del movimento e dell’aggruppamento umano; persuade i lavoratori che l’ornare con qualche segno di arte popolesca la più umile abitazione è un atto pio, e che v’è un sentimento religioso del mistero umano e della natura profonda nel più semplice segno che di generazione in generazione si trasmette inciso o dipinto nella madia, nella culla, nel telaio, nella conocchia, nel forziere, nel giogo; si studia di ridare al popolo l’amore della linea bella e del bel colore nelle cose che servono alla vita d’ogni giorno, mostrandogli quel che la nostra gente vecchia sapesse fare con un leggero motivo geometrico con una stella con un fiore con un cuore con un serpe con una colomba un boccale, sopra un orcio, sopra una mezzina, sopra una panca, sopra un cofano, sopra un vassoio; si studia di dimostrare al popolo perché e come lo spirito delle antiche libertà comunali si manifestasse non soltanto nelle linee, nei rilievi, nelle connettiture delle pietre, ma perfino nell’impronta dell’uomo posta sul l’utensile fatto vivente e potente; infine, convinto che un popolo non può avere se non l’architettura che meritano la robustezza delle sue ossa e la nobiltà della sua fronte, si studia di incitare e di avviare intraprenditori e costruttori a comprendere come le nuove materie – il ferro il vetro i cementi – non domandino se non di essere innalzate alla vita armoniosa nelle invenzioni della nuova architettura.
da Sergio De Santis
Bello come il Cantico dei Cantici nel frattempo che il Telegiornale mostra paesi interi costruiti lungo gli argini dei fiumi ridotti a fango e disperazione. Dov’era “il colleggio degli Edili eletto con un discernimento fra gli uomini di gusto puro, di squisita perizia, di educazione novissima”. Ci sono solo magistrature, sindaci, assessorati, impresari, professionisti che invece di dare del matto o anche educare il committente di tali oscene proposte, son ben felici di assecondarlo. Pochi (neanche tanto), maledetti e subito. Lascia stare le leggi, la natura! Ma la legge condona, la natura no.
Posso raccontare un mio fatto personale? 40 anni fa l’autostrada esproprio’ una fetta del mio paese tra cui la casa dei nonni. Il comune, in deroga al PR, concesse una lottizzazione per gli espropriati nella parte bassa litoranea dove sfociava il grosso torrente chiamato “lu fossu de la Torre”. Mi ero molto impressionato sentendo di una lontana esondazione del fosso in cui erano morte due vecchiette. Allora dovendo ricostruire la casa di famiglia mi premurai di costruire su pilotis. Fui l’unico. Tutti gli altri costruirono, come dir loro di no?, scavando per garage, sale hobby, uffici, zone giorno livello giardino. Passa qualche anno e arriva un grosso nubifragio e l’acqua del torrente ripercorre le vie naturali. Sale hobby, garage? Tutte ridotte a piscine! Solo io mi salvo. Vedevo la disperazione dei miei vicini. Partecipai agli aiuti e tacqui. Come poter dire loro: “Ve l’avevo detto”
Stupendo, grazie.
papaveri papaveri nei campi di grano…
grazie.