“In rete ci sono molte foto di Venzone 1976 e con un po’ di fortuna, anche se l’occhio di Google non è esattamente quello del fotografo di allora, aiutandosi con il profilo delle montagne messe a nudo dai crolli (rischiando di sbagliare facile) c’è qualche possibilità di individuare i luoghi con un giochino com’era-com’è stile “Gente” anti ’70 che pubblicava le foto del Foro Romano con la ricostruzione su carta lucida che si sollevava scricchiolando mostrando il rudere sotto La Basilica di Massenzio nuova di pacca… quanto mi piaceva!
Quello che occorre sottolineare (ancora!) è che il lavoro di Caniggia era un restauro dov’era MA non-proprio com’era. E’ stato un restauro TIPOLOGICO sostituendo tutti gli edifici fuori fase crollati (in genere tutti quelli costruiti dopo il primo dopoguerra) con edifici “contemporanei” riprogettati ridefinendo il processo tipologico locale al tavolo da disegno. Un lavoro da architetto progettista, non restauratore. Una cosa ben differente da quanto perseguito da restauratori che intendono il dov’era com’era in modo simile all’eclettismo ottocentesco come dimostrano i goffi completamenti “in stile” nei loro restauri di edifici storici che valgono quanto gli innesti moderni in acciaio corten negli interventi dell’altra scuola italiana di resturo.
I completamenti caniggiani, in assenza di pezzi recuperati e rimessi in opera, non ripropongono bifore romaniche o cornici in pietra. E questo metodo non è applicato solo alla scala del dettaglio ma anche alla scala dell’edificio con nuove architetture funzionali e nude, alla Grassi tanto per capirci, ma non per grado zero del linguaggio come questi, ma per riconoscimento e adozione del linguaggio dell’architettura moderna, quello di Pagano che è stato uno degli autori che Caniggia riconosceva a maestro.
Certo tocca studiare tanto per fare i razionalisti della storia e studiare fa fatica. Notare ad esempio l’uso diffuso di intonaci e non di pietra e garofani in stile “Heidi ti sorridono i monti” come quello che ha sciupato tutta la Val di Fassa o la periferia della lucazeviana e già citata Nocera Umbra.
Vi saluto e rimando ulteriori approfondimenti alla prossima foto, se ne trovo e se ne ho il tempo.
Ps. La professoressa mi ammazza, che dobbiamo andare avanti con l’arredo. ARGH!!”
Non amo la distinzione tra architetto progettista e restauratore, ma trovo davvero molto interessante il caso Venzone. Avrei tantissime domande al riguardo, per esempio non mi è così chiaro cosa, nel restauro tipologico, sia ammesso recuperare, nel senso di riproporre, e cosa no. Nella tipologia c’è il volume, la forma essenziale, la disposizione degli ambienti, ma anche la cornice e il cantonale (che mi sembra di intravedere in foto)…spesso è difficile distinguere l’elemento decorativo da quello strutturale o tipologico. Oppure no? C’è la possibilità di studiare qualche caso concreto? E sui materiali e le tecniche costruttive utilizzate dove si possono reperire maggiori informazioni?
Oltre al libro di Francesca Sartogo citato nel testo può essere utile, per iniziare, i testi nella nota bibliografica in fondo all’articolo di Alessandro Camiz pubblicato
QUI .
Buon lavoro.
Prima si comincia prima NON si finisce.
:G
Nelle foto postate si vedono solo cornici e bifore.
Evidentemente quanto descritto sta da qualche altra parte. Pur tuttavia queste foto rappresentano un ambiente in cui vi sono le poche e semplici cose: pochi elementi, ma cisacuno sembra starvi in modo sostanziale ed eterno anche a dispetto di terremoti od alluvioni .
Un ambiente talmente semplice e naturale che non c’è nemmeno bisogno di appellarsi ad enti di ragione (…o sentimento…) superiori.
Non c’è bisogno di scomodare alcun “concettone”; non c’è bisogno di innescare alcuna polemica: il restauro così od il restauro cosà ; quello degli sprovveduti e primitivi architetti dell’ottocento (…una vera jattura !…)
Sembra ci sia sempre stato e questo è sicuramente il miglior risultato per un architetto.
Saluto
C’è chi dice che il miglior restauro è quello che non si vede :)