Grassi e Stirling … travolti da un insolito, comune, destino …
Riceviamo da Pasquale Cerullo … a proposito del “caso” Stirling: …
“È troppo complesso il tema, entrano in gioco numerosi fattori imponderabili. Si ha il dovere di conservare le opere paradigmatiche perché documentano l’evoluzione. Però… la Maison du Peuple fu demolita senza tanti complimenti nel 1965, le ragioni dell’obsolescenza anche se reali furono la scusa perché il ‘mamozio’ non rendeva. Con diritto? Il diritto dei proprietari è inalienabile se non ci sono vincoli di protezione. Il milionario giapponese si fece cremare con tutto il quadro di Van Gogh, lo aveva comprato, era suo.
Però… se Giotto redivivo guardasse ora i dipinti ad olio di Luciano Ventrone o Francesco Stile, impallidirebbe. Giotto era il limite dell’arte nel suo tempo.
Isabella Guarini ha fatto l’esempio di Giulio De Luca che ha rivisto tutto il progetto dell’Arena Flegrea. Un caso eccezionale dovuto alla notevole età dell’autore. Ma qualsiasi architetto se ne avesse la possibilità in vita rivedrebbe volentieri i suoi lavori più importanti alla luce delle nuove possibilità che offre la tecnologia. Infatti lo ha fatto anche Niemeyer. La bravura sta nell’uso sapiente dei materiali e della tecnica affinata del presente, che poi diventa passato.
Poi c’è l’altro fattore imponderabile, il gusto e la moda, come quando nel periodo Rinasacimentale ci si affrettò a cancellare tutto ciò che avesse una forma del vecchio stile e di seguito il Barocco a coprire. L’unica cosa certa, è che dinanzi all’evoluzione il progresso o il regresso, i mutamenti della società, nulla si può.” …
Riceviamo da Sergio Leali … a proposito del “caso” Grassi: …
“Triste e disperante.
Uno dei pochissimi lavori contemporanei in cui alla storia, viene di nuovo data parola ed il dialogo che cresce con il presente ed il futuro è tra i più alti e profondi; viene distrutto.
La costruzione messa in opera a Sagunto ha riportato alla luce lo stato di necessità dell’architettura. La necessità di fornire alle persone ed alla società le case, i teatri, le chiese, i palazzi, ecc. che si prestino alla vita con il valore della loro identità più autentica e della loro pratica utilità.
Di sicuro non andranno persi i minuziosi disegni escutivi di questo lavoro, chissa che non possano tornare utili per tempi di miglior politica e umanità.
Il padiglione di Mies di nuovo materialmente c’è, anche il teatro romano di Sagunto di Giorgio Grassi, se mai davvero sarà demolito, dovrà essere ricostruito perchè comunque c’è con la sua esemplarità oltre che con la sua bellezza.
Sagunto è li a mostrare che oltre la stupidità e l’immodesia di tanta cultura, tanta politica, e di tantissime nuove architetture (?? !) che le rappresentano; un’altra possibilità esisite. Per ora è ancora avvolta da tante cose inutili e dannose, il sasso deve rotolare ancora prima di giungere a valle; è là che mostrerà la forma che più gli è propria.
Però che peccato e che spreco di buon senso.”
Due commenti che ci sono, particolarmente, piaciuti …
Non sono d’accordo che si demolisca, visto che ormai lo sforzo è stato fatto e sarebbe inutile spendere ulteriori capitali per demolirlo. Però francamente mi sembra esagerato comparare la Maison du Peuple con il teatro di Grassi o peggio ancora con il padiglione di Mies.
Dopo aver visitato ormai più di una decina di volte quest’edificio le posso assicurare che è difficile incontrare quella bellezza di cui lei parla.
In ogni modo la giustizia spagnola non ha deciso la demolizione per questioni estetiche del progetto, che chiaramente possiamo dibattere, bensì per una pura e semplice ragione di sensibilità storica ed archeologica. Il teatro di Grassi ha completamente occultato e manomesso le rovine del teatro romano storico, che ahimè con la pretesa demolizione non potranno essere recuperate.
La fama del progetto di Grassi, fama purtroppo solo italiana, è dovuta, gran parte, al fatto che in Italia questo tipo di operazione sarebbe stata, per fortuna, impossibile. Giorgio Grassi non si sarebbe mai sognato per esempio di fare lo stesso per il teatro di Taormina. Non mi immagino le proteste che ne sarebbero scaturite. Più volte noi italiani abbiamo applicato in spagna, in campo architettonico e nonn, le teorie che in Italia non potevamo o non avevamo il coraggio di applicare. E mi sembra giusto che un tribunale metta le cose al suo posto.
Il miglior progetto che Grassi avrebbe potuto fare per Sagunto sarebbe stato un progetto teorico, accademico, come i tanti che si fanno in Italia e per fortuna restano sulla carta.
Mi auguro che il metodo di Grassi a Sagunto trovi estimatori anche in Italia, e che si ritorni a costruire sulle rovine, quando è possibile e utile alla vita, come hanno saputo fare i nostri padri e come ci insegnano le nostre città.
Contro la “valorizzazione” dei monumenti antichi (musealizzazione con forti quantitativi di recinzioni e allarmi e passeggiatine fra le pietre) auspico che essi attraverso l’architettura vengano nuovamente inseriti nel circuito delle attività umane, per le quali erano stati concepiti da gente ben più viva di noi.
saluti
cristiano
Be io personalmente come “attività umana” trovo molto interessante frequentare rovine archeologiche. Certo può essere interessante percorrere la via Appia a 180 km/h, come oggi giorno è più conveniente, però preferisco visitarla, in quei pochi trami con resti archeologici, calpestandola lentamente con la suola delle mie scarpe.
Il teatro di Sagunto, molto prima che grassi decidesse di essere architetto, era usato come teatro all’aperto, con grande affluenza di pubblico, come d’altronde succede oggi con altri teatri del genere, Taormina, Merida etc.
Grassi a Sagunto, ha costruito un pseudo teatro romano dove in realtà già ve ne esisteva uno e funzionante.
Più che di metodo Grassi parlerei dell’esperimento Grassi, visto che purtroppo per lui, l’esperienza non la ha potuto ripetere molte volte.
Sarei d’accordo che per il nuovo rinserimento nel circuito delle attività umane, per le quali erano stati concepiti i monumenti antichi, si ritorni ad utilizzare il Colosseo per delle belle tauromachie, certo la cosa difficile sarà trovare un qualche cristiano disposto a farsi sbranare dai leoni.
Caro Gianfranco, davvero simpatico il suo intervento.
Gli edifici antichi possono essere riutilizzati e trasformati secondo le loro interne leggi architettoniche, che in genere sono così adeguate e profonde da consentire una trasformazione non distruttiva anche a secoli di distanza.
Certo bisogna saperlo fare, ma escludere che sia possibile è proprio il manifesto della nostra sterilità creativa, intellettuale, sociale.
Stiamo diventando una società di adoratori dei beni culturali che recinta il passato e lo rende merce turistica, isola spartitraffico gigante, fondale per spot pubblicitari, materia per esercitazioni di consolidamento orrendamente ingegneresche, e tanto altro ancora.
saluti
cristiano
Il padiglione di Mies il teatro di Sagunto, i temi sono diversi, il valore esemplare delle due architetture in entrambi i casi è alto, tale, anche solo per questo, da poterli o doverli considerare come monumenti dell’arte del costruire la città.
I momenti della loro realizzazione sono lontani di qualche decennio di un secolo assai turbolento.
Entrambe queste due architetture scaturiscono, pur con esiti differenti, da una reiterata ed ineludibile riflessione sulla storia.
Da una parte l’impegno conoscitivo porta l’architetto a trasfigurare l’idea del recinto aggiornandolo alla tensione di libertà che irrompe nella cultura, restituendo nel nuovo una versione coincidente ed esatta dell’aspirazione ad abitare in modo più umano di quanto non fosse fino ad allora. Il tutto poi è risultato soprattutto molto bello.
Dall’altra parte, l’osservazione porta al riconoscimento, della compiutezza e immodificabilità di un’architettura che ha raggiunto il punto di culmine; il teatro romano è definito. Se si vuole andare oltre si fa altro.
Per dare un contributo concreto a Sagunto ed alla nostra memoria la cosa migliore ora è quella di “ricostruire” il teatro, limitandosi alle cose “certe” evocandone la finitezza e la particolarità con la messa in scena dei reperti e dei ruderi che sono rimasti.
Questo mi pare sia avvenuto a Sagunto.
Questo progetto in cui sono considerate tutte le componenti del nostro sentire il teatro romano oltre che l’aspirazione di una città a riavere tra sé, nella costruzione, la parte che più la rappresenta, è la testimonianza di una modernità consapevole dei propri limiti e delle proprie possibilità.
Il teatro di Sagunto è un’architettura moderna non perché la sua costruzione è recente, ma perché ci dice qualcosa in più di quanto sapevamo; vale a dire che ora oltre certi limiti non siamo in grado di andare; salvo sfasciare la nostra carrozza come sempre in Spagna a Bilbao per esempio è già successo. Però questo è un altro discorso, ha a che fare con il marcheting con la moda con gli artisti e in fondo con il credersi chissà chi.
La buona e moderna architettura deve tenere in grande considerazione ciò che è stato fatto prima, da questa considerazione deve scaturire un giudizio e questo informerà il nuovo progetto conservando in esso ciò che di non accidentale è giunto, anche materialmente, a noi.
Un’avventura della conoscenza quindi, della conoscenza anche archeologica, anche di quella della tecnica. L’adeguatezza del progetto si misura poi sul fatto che le risposte a tutte( tutte)le molteplici domande siano al più alto grado di consapevolezza che in un dato momento si possa avere.
Se la domanda è solo archeologica la risposta è solo archeologica; se la domanda è anche d’altro la risposta deve essere corrispondente.
La risposta di Grassi a Sagunto è adeguata e completa, potrà metterci a disagio per la sua forza ma “girandoci intorno ed entrandoci dentro” le scelte persuadono anche se una inevitabile inquietudine si affaccia.
Ma il problema è quello di decidere di cosa farne della nostra storia; pensare che sia un’entità estranea alla nostra vita oppure no, o meglio che noi siamo estranei ad essa?
Che lo riconosciamo o no ciò che è stato prima di noi ci determina in massima misura, riconoscerlo ci renderebbe meno sciocchi, presuntuosi più umani e meno pericolosi anche come architetti.
Cosdiali saluti
Sergio Leali
Sagunto aveva un teatro romano: i teatri romani non si trovano ad ogni angolo; probabilmente ne erano fieri ! Grassi glielo ha nascosto sotto dei muracchioni e qualche capriatella nemmeno brutti … ma reputati insignificanti. Gli abitanti si sono “incazzati”, forse giustamente. Allora è meglio rimettere tutto come era prima. Però se stiamo ancora a discutere sull’ “opera d’arte” non compresa, vuol dire che la gente comune ha profondamente ragione quando teme gli architetti e ne sta alla larga. Così gli stessi si riducono ad operare solo quando qualche “patron” in vena di pubblicità scambia la critica compiacente di qualche rivistina per il nuovo “esperanto” . Un linguaggio non si inventa : si distilla.