I MAL DI PANCIA DELL’IDEOLOGIA
Una storia di architettura: c’era una volta la Cattedrale di Capua costruita dal vescovo Landolfo nell’856 ma fondata inevitabilmente su preesistenze più antiche recuperate in parte come materiali da costruzione. Completata nell’XI secolo. Ampliata nel XV a cui risale il quadriportico antistante. Ristrutturata nel ‘700 in stile barocco. Rifatta cento anni dopo in stile neoclassico da Federico Travaglini (1814-1893). (Vi sta venendo l’ansia, eh?!) Rasa al suolo per il 75% nel bombardamento di Capua del 1943 viene ricostruita nel 1957 da Giulio Pediconi (1906-1999) e Mario Paniconi (1904-1973) in stile moderno e nei limiti vincolanti delle ristrettezze economiche del dopoguerra. Paniconi e Pediconi si inventano una filigrana romanica per un elegante tardo decò. Particolarmente inquietante il grande rosone della facciata che, insieme alle nuove finestre sui fianchi della navata, stravolge tutta l’illuminazione della chiesa, è arrivata l’illuminismo della modernità. Soprattutto, anzi, in fondo, è straordinario il disturbante profilo policentrico del nuovo arco trionfale, una sagoma che decide poi dello spazio costolato del presbiterio.
Finale: negli anni ’90, vescovo Luigi Diligenza e regnante in soprintendenza Gian Marco Jacobitti (il nome del progettista non l’ho trovato), imperante la nuova ideologia del restauro alla Paolo Marconi secondo la quale tutto si può ricostruire in architettura documenti alla mano, viene ripristinata la volta neoclassica, chiuse finestre, ridotto il rosone a rosino e inventata (sicuramente usando una stampa antica) una facciata neoromanica in intonaco sul quadriportico. All’interno un nuovo doveracomera arco trionfale a tutto sesto si sovrappone a quello pseudoparabolico di Paniconi & Pediconi (considerati forse per i buffi superlativi alla Circo Togni alla stregua di un Clown Bianco e di un Augusto dell’architettura).
Morale triste, solitaria e anche un po’ presuntuosa che se no, non c’è sugo: se c’è una cosa che Bruno Zevi ci ha insegnato è la libertà delle ideologie in architettura (lo ha predicato così fanaticamente che è arrivato al limite di fondare un’ ideologia zeviana del moderno ma è difficile essere zeviani se lo si è studiato abbastanza – e basta la sufficienza! – da capire la necessità di essere fondamentalmente antizeviani). L’ideologia è l’arte di non pensare. E’ rimettersi a schemi preparati da altri. Accomodarsi in una griglia di pensate affidabili, condivise, criticamente tranquillizzanti, imparate in accademia. E se un’ideologia è scusabile se sei un architetto romanico o rinascimentale o barocco o neoclassico (tu chiamala se vuoi: tradizione) o anche moderno (tu chiamala se vuoi: antitradizione) non lo è certamente se hai studiato da progettista contemporaneo. Precisiamo: se hai studiato! perché si può diventare vescovi o soprintendenti senza farlo.
Giancarlo :G Galassi
Bibliografia minima: L’Architettura Cronache e Storia n.34, 1958; A. Muntoni, Lo studio Paníconi-Pediconi 1934-1984, Roma 1987, pp.102 sgg. Immagini: cittadicapua.it; tripadvisor.it; prolococapua.wix.com; capuaonline.it e altri siti che non ho segnato (pietà!).
Figlio bello !
Tutta la civiltà si fonda su schemi preparati da altri !
E’ proprio “la griglia di soluzioni” , l’accademia, l’esperienza tramandata ( …sia pure formalmente..) che ci ha salvato fin’ora ( ..fino a qualche tempo addietro…)
Altrimenti, se ognuno avesse dovuto ricominciare da capo, staremmo ancora a cacciare gli orsi dalle caverne.
Immagino (.. e spero…!) che ciò sia chiaro: che si comprenda bene che siamo una civiltà e non un individuo su un isola deserta.
La favola dei nani sulle spalle dei giganti non ti dice nulla ?
Io ancora non mi capacito del fatto che le sciocchezze più efferate del summenzionato Zevi mietano ancora tante vittime.
Cerca di estrarre un succo accettabile ( ..se c’è… e questo non lo è..) dal casino che costui ha combinato: sarai e saremo in pace con la coscienza; avremo dato un ruolo anche a lui e la storia finirà lì.
Potremo passare alle cose serie
Saluto Sfiancato
Ho come l’impressione, dolce papino cinquantaquattrino, che tu non sia capace di leggere… anzi vuoi leggere solo quello che ti pare ben saldo sulle spalle dei tuoi maestri. Morti. Ma è un’impressione la mia, indegna di una tua risposta quindi trascurala e conservati in equilibrio. Girati però, stai guardando da un’altra parte e il tuo deretano scoperto da qui non è un gran spettacolo.
Piuttosto, tornando alla Cattedrale di Capua, mi è rimasta nella strozza una postilla che, se inserita sopra, avrebbe inutilmente diluito nell’acqua l’aceto del post. Nel loro stolido restauro comeradovera,Diligenza, Jacobitti e il restauratore architetto che non so chi sia e che scansa così le mie pernacchie, si guardano bene dal restaurare anche la facciata neoclassica di Travaglini sul quadriportico nonostante che anche di questa abbiano il rilievo (fatto da P&P). Troppo rischioso architettonicamente tutto quel neoclassico. E’ assai più rassicurante una ridicola mediazione romanico quattrocentesca che mantenga la ricucitura moderna del quadriportico fatta da Paniconi e Pediconi sul modello di Montecassino e che era, nel loro progetto, strumentale all’ibrido romanico-decò adottato.
ps.: per chi mi ha chiesto il pane nella madia, fare click sul Santo Scolaro
Ottima e bella la chiesa di P+P_Coni, pessimo il “restauro”, su Zevi sono anche più estremo di Memmo… Perdonami Giancà!
Non ti perdono, Ctò… sono antizeviano da sempre (a regà: me sembra de avello scritto!), rabbiosamente, ma dopo che ho capito come sono pateticamente zeviani gli zeviani e ottusamente antizeviani molti antizeviani, (le mie polemiche contro zevici e antizevosi le conosci), cioè in un modo poco differente da essere romanisti o laziali (fanatismo? fede? stupidità?) riducendo una montagna di lavoro sull’architettura a slogan, oppure limitandosi a accettare per buoni degli slogan solo perché li ha detti lo Zevi o il Marconi o il Caniggia o il Moneo o l’Etrusco di turno (“come diceva…”) ecc…
ecco, tutto il lavoro di questo blog è nel chiarire come sia facile esagerare tentando di spiegarsi o semplificare un mondo che intende solo messaggi da spot pubblicitario (i cinque punti, le sette invarianti ecc). La realtà, credo, è che si è fatto tutto molto più complicato e scopri che la verità non sta tutta da una parte. Occorre stare dalla parte di Aldo Van Eyck e di Marcello Piacentini.
Non ti perdono perché mi hai insegnato anche tu, Ettore e pure 54 con il loro passatismo, a essere antideologico. Ma hai voluto la bicicletta, devi pedalare altro che stare sulle spalle dei giganti!
Guarda come è stata ridotta una chiesa aCapua per le fisse riduttive di un soprintendente. L’Italia è piena di soprintendenti così che all’estremo opposto di Jacobitti autorizzano lo scempio di Palazzo Chigi a Formello stile Andrea Bruno (l’abbiamo stigmatizzato l’altro giorno quando nel Giugno 2011 gli facevamo i complimenti).
E’ un mondo difficile. Bellissimo ma difficile.
Ma io pedalo eccome :)
La tua lettura del caso di Capua mi è piaciuta molto. Il nome di Zevi è quello che maggiormente mette a durissima prova la mia abitudine, praticata il più possibile, del giudicare “caso per caso” e senza le briglie di generalizzazioni o automatismi. Infatti quando chiamano al telefono le gentili signore di Mancosu Editore proponendomi l’acquisto del mitico manuale “curato da Bruno Zevi”, beh, devo ammettere che mi diverto moltissimo :) Ecco, questo tanto per buttarla sul ridere: e Zevi mi fa proprio ridere.
Per tutto il resto, credimi, sono molto freddo e anti ideologico.
Lo spazio interno di P+P_Coni è una deliziosa variazione pop-“fascista”, se vogliamo, mescolata con ascendenze alla Gaudì o alla Dominikus Bohm: dopotutto, mescolanze divertenti che rendono ai miei occhi poco noioso il famoso duo di autori.
ciao
c
Mettila come vuoi ma l’architettura organica fondata da F.L.Wright, è stata la sola costruzione teorica ( e non ideologia ) degli ultimi cento anni. Nata dove la libertà era l’aria stessa dei luoghi dove cupole, colonne e archi tronfali non avevano patria. Paniconi e Pediconi.
Il duomo è l’edificio ecclesiastico più importante della città.
L’ultima veste, perduta, è quella neoclassica: da ricostruire insieme all’orgoglio ed alla speranza della comunità
Ma il duo P & P, in pieno boom economico quando ancora materiali e mano d’opera costavano molto poco, realizza:
a) una scarna navata “romanica” di goffe proporzioni (…la raffinatezza ?…) ;
b) una copertura di capriate polanceau (.. fors’anche totalmente metalliche… )
c) un presbiterio che assomiglia da vicino ad un hangar per dirigibili; in totale disaccordo con quanto prima affermato. Come se due architetti, di estrazione ed indole diversa eppur costretti a collaborare, si siano divisi il compito.
I cittadini provati dalla guerra avevano “prima” una cattedrale …”dopo” un capannone: anzi due: uno attaccato all’altro.
Forse è troppo.
Difficile stupirsi se qualcuno ha cercato di porvi riparo.
D’altronde nello stesso periodo P & P costruiscono diverse chiese di cui alcune a Roma.
Tutte raffinate, coerenti, impeccabili, fonte inesauribile di dettagli e totalmente “insignificanti”. Sembrano, infatti, fienili o magazzini di granaglie. Alla più sventurata antepongono anche un grosso carro-ponte per la movimentazione delle derrate.
Il periodo, però, è quello giusto: la tecnica italiana si fa largo nel mondo entrando a piedi uniti nella modernità e la classe operaia è percentuale consistente degli attivi: tuttavia quando, la domenica, cerca di entrare in paradiso si ritrova davanti il “luogo di lavoro”.
L’ideale per un padrone…un po’ meno per un operaio.
Saluto
P.s.:
Si comprende appieno come l’attuale momento ( ..chiesa ad imbuto, chiesa “hangar”, chiesa “concessionario BMW”.. chiesa “pozzetto di fogna”… ) abbia origini lontane: dai maestri dei maestri dei maestri….
Non sarà il caso di ragionarci un po’ ?
Eddai 54! Ma di quale boom economico vai cianciando, 10 15 anni prima?! Non fingere di cascare dal pero basso. E almeno rileggi, dopo la mia prima perculata quel che ho scritto: i limiti economici erano un vincolo!
Aspetta te lo riscrivo: non c’erano soldi dabuttare come alla fine degli anni ’80 per rifare in modo proviciale un Travaglini neoclassico già provinciale di suo!
Agli architetti, come sai, i soldi bisogna levarglieli. Guarda Petreschi, meno glie ne danno e più è bravo perché il rendimento lo costringe a limitare l’estro creativo. Proprio quel “rendimento” teorizzato prima dai moderni funzionalisti, Giuseppe Pagano ne parla su Architettura Rurale e, in epoca contemporanea, ripreso nei suoi manuali da Gianfranco Caniggia in modo così brutale fino a esiti morfologicamente indigeribili ai più. Il “rendimento” è la chiave per il progetto “buono come il pane”. Completamente smarrita, convengo con te, dalle odierne bulimiche archistar. Dai 54, non ti ci disegnare “ideologicamente” leggendo solo quello che ti pare.
Per aiutarti a capire le cose come stavano (e stanno ancora) adesso ti trascrivo qualche brano da una lettera di Mario Paniconi a Gustavo Giovannoni (lo stesso mitizzato da Ettore nostro – e tenuto in gran conto anche da me, ma naturalmente a una precauzionale distanza storica). Si tratta di una lettera del 4 luglio 1945 (è nella monografia della Muntoni – una zeviana, ma rimanga tra me e te perché se dici agli zeviani che sono zeviani si offendono – sono spassosissimi!).
Scrive allora il nostro Paniconi:
“… sono lieto di aderire al suo desiderio di conoscere in un breve appunto le mie impressioni, ricevute dopo il mio ‘pellegrinaggio’ che si prolunga ormai da dieci mesi, nelle Diocesi di gran parte dell’Italia Centrale, riguardo ai problemi inerenti alle ricostruzioni degli Edifici ecclesiastici distrutti o danneggiati dalla guerra. […] Ho avuto così il piacere di conoscere gli Eccell.mi Vescovi e i Parroci spesso ancora emozionati dalle terribili prove alle quali erano stati sottoposti e alle quali avevano saputo fronteggiare, uniche autorità rimaste sul posto con alto spirito di sacrificio e di fede. Le calorose accoglienze ricevute testimoniano l’utilità di questi contatti diretti e quanto sia desiderato un consiglio tecnico che possa essere di giovamento al ripristino delle Case di Dio.
L’Ente per la Ricostruzione degli Edifici Ecclesiastici mi aveva infatti affidato, come incarico professionale, di redigere una relazione documentata circa le distruzioni avvenute. Ho cercato di effettuare tale lavoro nel modo più organico [ORGANICO! La parola più in voga tra gli architetti della scuola romana! Ne abbiamo parlato altrove!] , lavorando spesso in collaborazione con l’Arch. Pediconi e negli ultimi anni anche con l’Arch. Rossi de Paoli.
Ho raccolto una importante documentazione fotografica e ho rilevato, sia pure in forma schematica, gran parte delle chiese distrutte o gravissimamente danneggiate raccogliendo inoltre il materiale documentario esistente sul posto, in modo da avere anche i primi elementi per eventuali studi storico-artistici [Ma tu guarda! Architetti che studiano!] . […] Espletato il mio incarico nel mese di febbraio del ’45 ho cercato di continuare per quanto mi è stato possibile, quasto lavoro, perché ritengo che, migliorato e completato, esso debba essere premessa ad ogni organica [ORGANICA!!!] opera di ricostruzione.
[Salto un lungo brano con un tentativo di classificazione dei degli interventi basato sull’entità dei danni e ricopio da mezza pagina dopo. Questa bella monografia l’ho trovata a metà prezzo su una bancarella. Kappa, come L’Erma, come altri, sta smobilitando il magazzino. Allora, torniano a Paniconi…]
La ricostruzione degli edifici più importanti dipende dalle Sovraintendenze le quali però difettano di mezzi e spesso di possibilità organizzative data la enorme mole del lavoro al quale ora vengono sottoposte (generalmente manca persino una modesta auto per poter visitare danni e lavori). […] Ma tutte le Chiese e in generale gli edifici religiosi (Episcopi, Conventi, Seminari, Orfanotrofi, ecc.) anche se non sono “monumenti nazionali” hanno un valore artistico quasi sempre notevole, per lo meno ambientale, e occorre sorvegliare caso per caso che la ricostruzione avvenga con decoro e senso d’arte e rispetto dell’ambiente. Molto spesso non è possibile rifare come prima
[Non è possibile perché Caniggia – da cui Marconi, per sua stessa ammissione dopo i primi lavori di restauro del solo Caniggia a Como nei ’60 e poi a Roma nei ’70 e quelli in collaborazione a Brescia, da cui Marconi, dicevo, ha mutuato i nodi centrali del suo metodo schematizzandolo però in doveracomera per divulgarlo (Caniggia era per il doveranonpropriocomera) – per la cronaca Marconi, dopo la prematura scomparsa dell’amico nell’87 mutua anche i collaboratori che Caniggia aveva a studio – Insomma, basta divagare, Caniggia e Marconi nel ’45 avevano 12 anni quindi il comeprima è solo pura speculazione]
e non bastano delle buone norme generiche se poi queste non vengono ben interpretate [Hai capito come erano colti questi Panipediconi?!] , né è sufficiente per garantirsi da eventuali brutture, il controllo dei progetti, perché quando il lavoro parte da presupposti errati [“presupposti” ovvero “ideologia”? Sembra che risponda alla pagnottella che lo riguarda, e bravo il Paniconi] o è affidato a persone incapaci si potranno ottenere modifiche , miglioramenti, ma l’opera difficilemente riuscirà veramente degna. […]
Non mi dilungo più, egregio professore, circa altri problemi come il ripristino di fattori ambientali ecc. ecc. e circa tanti casi concreti che occorre sorvegliare e dei quali, se a mia conoscenza, La terrò informata di volta in volta, affinché Ella possa essermi di conforto con la sua autorità, con il suo illuminato consiglio, e mi riprometto, conoscendo la Sua cortesia, di ricorrere spesso a Lei.
Con distinta stima,
Mario Paniconi
Non mi dilungo neanch’io.
Come vedi 54, c’è materiale per due infornate della mia panetteria ma la vita è breve e vado a leggermi Mindfulness di Gherardo Amedei che mi ha quasi convinto.
Un saluto,
Giancarlo :G Galassi
Mi ha scritto Alessio che forse Jacobitti non era il sovrintendente giusto almeno stando all’albo dei sovrintendenti di Caserta.
Altre fonti invece lo danno come curatore del museo diocesano nel 1992, l’anno della visita di Woytila e delle grandi inaugurazioni papali a Capua. Anche la chiesa nuova vecchia nuova? Del resto la Muntoni nel suo libro parla di chiesa tanto indigesta ai più per la sua nudità da arrivare a “rimaneggiamenti recenti”, e siamo alla fine degli ’80.
Ho provato anche a telefonare all’Ufficio Tecnico Diocesano per sapere qualche notizia al volo ma erano impegnati e non avevano tempo per i cacacazzi. Del resto il mio è un elzeviro a tema sul pretesto di un episodio di architettura straordinario, un pezzo antiideologico ideologicamente forzato (bel paradosso, eh?) e quindi di chi sia la colpa della depanicoconpediconata non è tanto importante, è l’andazzo italiano ad alto coefficiente di ignoranza che è curioso e significativo, vedi i restauri marconiani (non perchè fatti da lui ma perchè fatti senza testa seguendo i suoi manuali) in pseudo500 delle facciate anni ’10 romane. E il povero Jacobitti si salva all’ultimo momento. Forse.
Comunque chi ha notizie ce le passi che vogliamo giustiziare qualcuno. SANGUE! SANGUE!
Non mi sembra un gran discorso:
…facciamo il romanico che costa meno e fa figura lo stesso… e come buon peso aggiungiamo un presbiterio con costolature (… di c.a. immagino…) che non c’entra nulla né con quanto c’era prima e neppure con quanto appena progettato.
Borromini con tre lesenucce di stucco è diventato famoso ed i nostri maestri romani non avevano i denari per fare una cosa decente ?
Stento a crederlo
Però potrebbe anche essere andata così: non sempre c’è il capolavoro in agguato e tutto va dritto…tuttavia dilungarsi sull’abilità di P. & P. in questa circostanza sembra eccessivo.
Sul post leggo “…viene ricostruita nel 1957…” : a quanto ne so siamo in pieno boom economico. La prima congiuntura (… ovvero l’arresto è del 1962-63… ) poi riprenderà senza la forza di prima ma l’inizio è databile alla metà degli anni cinquanta,
Nelle ulteriori utili precisazioni si legge che l’incarico di valutare le opere di ricostruzione è invece datato 1945.
A quell’epoca, fino alla ricostruzione delle fabbriche, la situazione era addirittura peggiore: non si trovava uno spillo arrugginito.
Dentro i pochi getti di c.a. si trovava di tutto: reti e telai di letti, i superstiti cancelli ed altre cosette ancora.
Figuriamoci quanto potessero costare allora delle capriate in ferro. Quindi devo dedurre che alla ricognizione segue dopo qualche anno (…forse anche una decina…) l’incarico per la ricostruzione.
Quindi in epoca di boom economico.
Situazione precaria anche per amministratori a vario titolo e tecnici preposti cui difettavano i mezzi data la mancanza di ricambi; molte vetture circolavano con i copertoni imbottiti di paglia (…sic !..) : le camere d’aria non si trovavano !
In questo panorama l’unica risorsa disponibile a buon mercato erano proprio le braccia “affamate” cui le amministrazioni davano sollievo impiegandole in lavori a bassissimo impiego di tecnologia e capitali: una pala, un piccone,(… nemmeno la carriola… troppo complicata… ceste di vimini tuttalpiù…) e via.
Al sud la situazione si è protratta fin a tutti gli anni 50 ed anche oltre. Forse non erano i maestri comacini ma una certa esperienza di sabbia, di calce e di pietra l’avevano comunque: forse uguale o di poco inferiore agli operai di Travaglini.
Dubito però che si possa parlare, seriamente, di carenze di denaro: non per l’edificio più significativo; per un’edificio di minore importanza… forse…
Se ci sono fonti attendibili in attesa di essere “infornate” sarebbe interessante conoscerle.
Capire non fa mai male.
Comunque questa cortina fumogena della penuria di denaro ( …situazione di cui i nostri, beati loro.. non hanno mai sofferto…basta guardare le realizzazioni..) sembra pittosto una excusatio non petita.
Ma non è il punto principale; che invece è capire cosa si doveva fare e dove si stava lavorando.
La soluzione della navata romanica (..costa meno e fa figura lo stesso ?…) coperta con capriate in ferro d’uso industriale cui si attribuisce “raffinata filigrana romanica per un elegante tardo decò” è, purtroppo, un palliativo alle attese della comunità e della città che non la manda affatto giù.
Forse andava bene per gli operai padani, già piegati e sottomessi da un centinaio d’anni di rigido lavoro di fabbrica appena mitigato dalla speranza del sole dell’avvenir ma ai cafoni capuani no !
S’aspettavano altro.
Probabilmente, non hanno visto bene; non hanno capito oppure sono stati subornati da qualche borbone ritardatario.
Tant’è che, come leggo, la soluzione P.& P. risulta indigesta a molti; genera risentimento che riemerge intatto 30 anni dopo. (…30 anni di risentimento…un record !…ci si dimentica anche chi si è stati 30 anni prima…)
Si trattava, invece, di rispettare “il sentimento dei luoghi e della storia”; che non è un’invenzione sgarbiana o pasoliniana: si è sempre praticato e si continuerà a farlo.
Si trattava di ricostruire il simbolo; non approfittarne per sperimentare soluzioni sperimentali (…i maligni direbbero “fantasiose” …due !…non una…) perché il Travaglini bombardato, cui nessuno di noi sarebbe oggi degno di lucidare le scarpe, evidentemente, rappresentava qualcosa per questi permalosi sub abitanti di una sub regione della Campania.
Avevano qualche ragione ? O diritto a dire solo “si” e delegare qualcun altro come la gerarchia impone ?
L’ inevitabile ricostruzione della ricostruzione, per quel che posso vedere, non è affatto male e da preferirsi senz’altro all’eleganze somministrate dal duo romano che tanti meriti ha avuto (…maturati prima della guerra…) ma non è immune da tendenze modaiole.
Infine tra le caratteristiche del rendimento (…e dell’efficienza..) io metterei volentieri anche quelle che rendono accettabile, o riconoscibile, (.. a prima vista senza consultare piante e sezioni, dettagli e computo metrico…) ai destinatari che, inutile ricordarlo, non sono i critici e le riviste e neppure i libri di storia.
Perciò non correrei a storicizzare ad ogni piè sospinto.
E’ il momento di praticare l’ “ἐποχή” ; perché gran parte delle ragioni del moderno stanno per svanire con il tramonto, sui nostri lidi, della società industriale; compita, gerarchizzata, ed organizzata, come lo era Bisanzio.
Calma e gesso : qualcosa si troverà pure !
Saluto
Ripeto:
i limiti economici erano un vincolo, come riportato dalle fonti citate.
Fidati e non rigirarti nella frittata. Oppure consultate. Sono indicate nella nota in fondo.
Ma tu insisti e batti i piedi per terra tanto cocciutello che sei uno spasso!!
Magari potresti utilizzare la sua sottile arguzia per ipotizzare, che so’, che il progetto precede di alcuni anni e di congiunture la realizzazione? Come sempre. Ma è meglio che continui a arrampicarti sugli specchi che scusarti, se non altro perché sei fonte di nuove riflessioni (che aggiungo in calce).
Nel ’57 mio padre ragazzo, per la fame in provincia, scendeva dal treno a termini con il materasso sulle spalle per andare a fare il palazzinaro per Monaco e Luccichenti. A Roma e Milano giravano i soldi nell’edilizia e dalla campagna arrivano in massa, a Cesena (patria dei galattici) e Capua pure? Dimmelo tu.
Per ora, tendendo il braccio e smollando lo scroto,
cinquantaquattramente saluto.
:G
PS. Al di là delle miopie di sessantrémenonove (tanto per assimilare la “ἐποχή” di Memmo alla mia che sono mooooolto più coione e cocciuto di lui, ma siamo qui per farvi ridere a torte in faccia come i Fratelli Colombaioni) la lezione che traggo dalla nostra discussione è che è possibile ricercare e soprattutto (come mi piace ‘sta parola ultimamente, sa’ di posizione del missionario) trovare un’ “organicità” per l’architettura da restaurare più valida del comeradovera e migliore dell’ “ostentare il moderno” alla Andrea Bruno, basta lavorare in nome del “rendimento”. Bisogna essere solo bravi architetti. Ma nessuno può darvi questa patente, né Marconi, né Carbonara, né Zevi, né Muratore… E che si deve sì salire e poi scendere di corsa dalle spalle dei maestri. E stare in piedi sulle proprie gambe. E che per non sbagliare basta essere modesti e albertianamente MEDIOCRI.
Ho riletto il post che ho inviato alla ricerca degli specchi: ho trovato solo comodi gradini ed alla fine un’ascensore.
Mi sembra abbastanza chiaro; chi vuol intendere può intendere quali siano i punti a cui eventualmente replicare.
Ma di repliche non vedo traccia.
Allora fornisco io la chiave di interpretazione; perchè una spiegazione va data al fatto che si ricostruisce in modo romanico e non romano o barocco.
Di fronte alla tragedia i nostri, confortati dalla committenza, e ristretti dalle contingenze economiche pensano (…sinceramente s’intende…) che sia necessario ricominciare completamente da zero: dall’architettura Romano-Romanica; dai rudimenti di essa. Dalla semplicità delle origini. Poi qualcuno continuerà come si è sempre fatto com’è nell’ordine delle cose.
Qualche incertezza tecnologica e decorativa li devia dalla semplicità dell’apparecchio murario a vista sospingendoli verso lo scivoloso decò. Dettagli (…forse…)
Qualche ambizione o visione, od inevitabile tarlo moderno, impone, comunque, una testimonianza della attualità (…che poi è semplicità..in fondo…) concretizzati nel presbiterio.
Si rifonda si riparte da uno dei primi gradini:bene !.
Però perchè meravigliarsi se la comunità ha voluto bruciare le tappe, saltare rinascenza e barocco per tornare dov’era poco tempo prima ?
Quanto purgatorio doveva fare ancora ?
E’ questo ciò che bisognava spiegare.
Però a me va bene così: visto che come acutamente osservato la cosa non interessa, l’inclito pubblico, più di tanto.
Saluto Finale
P.S.:
a)…Quando si dice che girano i soldi nell’edilizia io sono più propenso a credere che qualcuno ci fa sopra un bel po’ di grano, piuttosto che gli operai si arricchiscano….
ma forse mi sbaglio…
b)…A corollario del l’“ἐποχή” spesso è dato trovare un diffuso scetticismo. Anzi deve trovarvisi la sana incredulità e non l’accondiscendente agiografia.
c)… Meglio una città mediocremente ricostruita per non sbagliare (…gli abitanti saranno felici di una tale mediocritas…) che essere costretti ad assistere ai funambolismi ingiustificati di qualche presunto maestro.
Grazie per l’attenzione ’54.
Saluto finale anche io.
Alla prossima meno funambolica pagnottella.
Ci crederai che non voleva esserlo?
Ma m’ha rovinato la Giulia Quaroni.
:g