SEMBRA FACILE …

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pieffedue su: PURCHE’ SIA AUTENTICA …

“Mah!! I romani hanno imitato con accuratezza, e per centinaia d’anni, le statue greche e gli edifici greci; e se andiamo ai Musei Capitolini oppure a Palazzio Doria o in giro per i Fori, troviamo centinaia di esempi. Gli edifici sono splendidi, sono armonici, ispirano serenità, dispongono al silenzio e all’attenzione. Chi se ne importa se li hanno copiati. Copiare bene è un’attività meravigliosa, difficilissima. Si copia il principio, non i dettagli. Tutti gli architetti e gli scultori e i pittori del mondo classico e neoclassico hanno copiato meravigliosamente bene. Chi sa “copiare” bene può anche “creare” bene. Copiare è un’attività altamente creativa come sa bene qualunque artigiano. Ma per copiare bene creando, o meglio “ri-creando” determinati ambienti, determinate proporzioni bisogna avere “gusto”, e senso delle proporzione. Bisogna perfino saper disegnare: Ma guarda un po’.
E ovviamente ciò esclude sia i palazzinari che coloro che hanno trasformato in architettura i loro incontri con lo psicoanalista.
E preferisco un casale in campagna imitato umilmente dall’architettura settecentesca locale che un grattacielo in città imitato dalle scenografie di “guerre stellari”.
Ma ovviamente “de gustibus”….
Claudio Lanzi(ex tecnologo, ex ingegnere, ex progettista…insomma: ex)

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4 Responses to SEMBRA FACILE …

  1. ettore maria mazzola ha detto:

    caro Claudio,
    questo è ciò che scrissi molti anni fa sul falso problema del falso storico:

    Falso Storico? … Tutto falso!

    Commettere un Falso Storico in Architettura è la preoccupazione che ormai da decenni assilla il mondo dell’architettura: è questa l’accusa tipica della critica modernista nei confronti dei progetti tradizionali, ma è anche l’incubo più ricorrente di tutti gli architetti che non sanno bene da cosa questa definizione nasca.
    Un recente convegno di architettura tenutosi in una Città di Nuova Fondazione, è stata l’occasione per l’ennesimo dibattito sull’argomento, e mi ha dato la possibilità di constatare, ancora una volta, il fatto che spesso si parli di falso storico senza sapere di cosa si stia parlando, magari semplicemente per luoghi comuni o per timore reverenziale nei confronti del pensiero dei critici contemporanei.
    Al termine di quell’incontro mi sono definitivamente convinto che, per un certo tipo di persone, il fare architettura ispirandosi alla tradizione corrisponda a commettere un falso storico, mentre copiare i modernisti è consentito o addirittura auspicato. Contrariato da questa ipocrisia ho preso la decisione di scrivere questo saggio, nella speranza che si possa, una volta per tutte, chiarire il significato di questo concetto e decidere se poi è così importante.
    Perché il dilemma possa essere affrontato e risolto, bisogna innanzitutto cercare di dare una risposta ad alcune semplici domande come: Quale è il significato di Falso Storico? È davvero giusto parlare di Falso Storico? Se ci si scandalizza del Falso Storico, perché non si fa altrettanto nei confronti di quello che potremmo definire Falso Futuribile?
    Per poter dare una risposta alle precedenti domande è prima di tutto necessario operare una chiarificazione sulle ragioni, se di ragioni si può parlare, per cui il concetto di Falso Storico venne coniato e, successivamente, sulle “sfaccettaure” che esso ha assunto nel mondo del Restauro prima e della critica d’Arte ed Architettura poi.
    Poiché devo tristemente ammettere che questo tipo di discorsi – così come tutto quanto ciò che ruota intorno al mondo dell’architettura ed urbanistica – viene dibattuto solo ed esclusivamente durante convegni di tecnici, e dunque senza mai coinvolgere l’opinione pubblica che è poi la massa che deve vivere negli ambienti creati da quei tecnici, penso sia estremamente importante dare la possibilità di comprendere questo concetto, e la speculazione che di esso si è fatta, anche ai “non addetti ai lavori”: così facendo chiunque – e non solo gli architetti – avrà finalmente la possibilità di valutare se quella del falso storico in architettura è da considerarsi una “giusta causa” o, diversamente, se è solo una menzogna!
    Perché possa subito farsi chiarezza sul concetto di Falso Storico, viene utile la rilettura del testo di Cesare Brandi – Teoria del Restauro (Giulio Einaudi Edizioni – Torino 1963) e, in particolar modo, del capitolo “Falsificazione”.
    I ragionamenti in esso riportati possono risultare farraginosi a chi non è avvezzo ai “discorsi degli specialisti” poiché, troppo spesso, i teorici moderni usano un linguaggio complicato che resta dominio di pochi eletti.
    Dico questo non perché ritengo che questa fosse l’intenzione del Brandi, ma perché la letteratura d’architettura moderna, e specie le riviste di architettura contemporanea, sono colme di neologismi e di discorsi contorti necessari a chiarire l’essenza di progetti diversamente incomprensibili: alla fine, però, i discorsi risultano più incomprensibili delle immagini e gli autori ne sono fieri.
    Qualche anno fa, per esempio, un noto docente romano, mi chiese di partecipare alla stesura di un libro di architettura per il suo corso. Ero cosciente sin dall’inizio che mi sarei trovato davanti a teorie lontane anni luce dal mio pensiero sull’architettura; infatti, dopo aver letto la bozza che mi fu consegnata, leggendo frasi come “abbiamo la necessità di una disciplina costantemente da rifondare” oppure “di teorie che precedano il fenomeno ma non lo disvelino”, mi rifiutai motivando così: tutto ciò rischia di essere, ancora una volta, una teoria appannaggio di soli pochi eletti e, dunque, fumo venduto per arrosto!
    Veniamo dunque al libro del Brandi che ci guiderà alla comprensione del concetto di falsificazione.
    Innanzitutto, egli chiarisce come quello della falsità sia un mero problema di giudizio. Esso pertanto non potrà mai essere considerato da un semplice punto di vista prammatico. Brandi dice: “[…] Pertanto la falsità si fonda nel giudizio. Ora il giudizio di falso si pone come quello in cui viene attribuito ad un particolare soggetto un predicato, il cui contenuto consiste nella relazione del soggetto al concetto. Si riconosce così nel giudizio di falsità un giudizio problematico, col quale ci si riferisce alle determinazioni essenziali che il soggetto dovrebbe possedere e non possiede, ma che invece si pretenderebbe possedesse, onde nel giudizio di falsità si stabilisce la non congruenza del soggetto al suo concetto, e l’oggetto stesso è dichiarato falso”.
    Non ritengo sia necessario dare ulteriori spiegazioni sull’argomento, poiché è sufficientemente chiaro dalle parole del Brandi che il problema della presunta falsità consista nel “giudizio” che si dà di un oggetto, e dunque che il giudizio, in quanto tale, sia un problema soggettivo! … Allora chiediamoci: soggettivo di chi?
    Un ulteriore importantissimo passaggio per la comprensione del falso, è il discorso sull’intenzionalità di chi produce o mette in circolazione il falso: ancora una volta Brandi chiarisce inequivocabilmente come, a seconda di questa intenzionalità, possa operarsi una netta differenziazione tra copia, imitazione e falsificazione.
    Egli individua tre casi fondamentali:
    1) produzione di un oggetto a somiglianza o a riproduzione di un altro oggetto, oppure nei modi o nello stile di un determinato periodo storico o di determinata personalità artistica, per nessun altro fine che una documentazione dell’oggetto o il diletto che s’intende ricavarne;
    2) produzione di un oggetto come sopra, ma con l’intento specifico di trarre altrui in inganno circa l’epoca, la consistenza materiale, o l’autore;
    3) immissione nel commercio, o comunque diffusione dell’oggetto, anche se non sia stato prodotto con l’intenzione di trarre in inganno, come di un’opera autentica, di epoca, o di materia, o di fabbrica, o di autori, diversi da quelli che competono all’oggetto in se.
    Il primo dei tre casi rientra nella sfera della copia o imitazione, gli altri due individuano, a detta del Brandi, le due accezioni fondamentali del falso: “solo nella fattispecie potrà allora distinguersi il falso storico dal falso artistico, che del falso storico finisce per presentarsi come una sottospecie, dato che ogni opera d’arte è anche monumento storico, e dato che l’intenzione di trarre in inganno è identica nei due casi”.
    La Storia dell’Arte è ricca di esempi di “artisti” e dei loro “allievi”; questi ultimi si ispirarono ai loro maestri raggiungendo livelli artistici notevoli, pur fondando la loro produzione sulla personalità altrui, ebbene mai nessuno di questi “allievi” venne denunciato per plagio, per amoralità o per reato estetico, tanto che oggi abbiamo la possibilità di studiare le loro opere su tutti i libri di Storia dell’Arte: dunque quello del falso è un problema che abbiamo voluto creare noi “moderni”.
    Del resto, se il recupero della tradizione e dei canoni classici fosse stato considerato un atto di falsità, né il Rinascimento, né il Neoclassicismo sarebbero mai potuti esistere: la realtà dei fatti è che, ad eccezione del Movimento Modernista, ogni periodo della Storia dell’Architettura ha fatto tesoro della tradizione precedente ed è stato in grado di aggiungere qualcosa di nuovo. Diversamente il movimento modernista, basando la sua forza espressiva sull’azzeramento della storia, la tabula rasa, non avrebbe mai potuto convivere con una tradizione in grado di far riflettere, così l’ha rinnegata!
    A tal proposito è interessante citare Viollet – Le – Duc il quale, a proposito della incapacità di ripetere la grandiosità, o la qualità dell’architettura del passato, aveva notato “amiamo vendicarci delle conoscenze che ci mancano con il disprezzo” […] “ma sdegnare non significa provare”.
    Una ulteriore riflessione obbligatoria circa il falso, se ancora di falso possiamo parlare, va fatta circa la statuaria antica … chi sarebbe mai un certo Winckelmann senza i falsi realizzati dagli antichi romani? Eppure sì che quei falsi vennero realizzati a scopo di lucro! Molte botteghe di scultori – facendosi pagare profumatamente – eseguivano copie delle opere dei più grandi artisti greci per saziare il gusto ed abbellire le case dei ricchi senatori, imperatori, ecc.: solo grazie all’opera di questi falsari oggi possiamo apprezzare opere come il Laooconte, il cosiddetto Toro Farnese, il Discobolo di Mirone, ecc. … queste sono opere mirabili, benché copie, la gente le apprezza, e le apprezzava, indipendentemente dalle considerazioni intellettualoidi dei critici e degli storici dell’arte. Dunque chiediamoci: quale è il problema?
    Quando in antichità un edificio cadeva in rovina – la storia degli incendi a Roma è infinita – esso veniva ricostruito com’era, dov’era o, ancor di più, con un carattere ancor più forte del precedente. Templi arcaici vennero ricostruiti secondo il gusto ellenista operando dunque, secondo quello che è il pensiero contemporaneo, un crimine di falsità, ma nessuno – tranne qualche faziosa teoria ottocentesca, mai peraltro dimostrata – ha mai posto l’interrogativo se i romani furono dei grandi artisti o semplicemente degli squallidi copisti. È ovvio che essi furono dei grandi artisti, ed è altrettanto ovvio che il problema non va ricercato nel metodo dell’artista ma nel giudizio, spesso ipocrita, del giudicante, sul quale mi vorrò soffermare più avanti.
    Cosa potremmo dire della politica architettonica di Adriano, votata a ripercorrere i passi di Augusto, a tal punto da riutilizzare tecniche costruttive augustee quali l’opus reticulatum, ormai da tempo abbandonato, … che criminale sarebbe se fosse nato oggi! La sua condanna potrebbe essere così motivata: “l’uso di una tecnica e di un materiale di un’altra epoca denota un comportamento ingannevole mirato a ridicolizzare l’operato dei critici e degli storici dell’arte!” Quanto siamo caduti in basso!!!
    Per comprendere quanto possano essere distanti le posizioni della gente comune (larghissima maggioranza) e dei cosiddetti benpensanti (sparuta minoranza fatta dagli storici dell’Arte e Architettura, dai critici, dagli archeologi … fortunatamente non tutti!), cito, dal Brandi, la storia ed il giudizio relativi alle vicende del Campanile di San Marco a Venezia e del Ponte Santa Trinità a Firenze: “Il rifacimento del Campanile di San Marco, che è piuttosto una copia che un rifacimento, ma funziona da rifacimento per l’ambiente urbanistico che veniva a completare, ripropone il problema della legittimità della copia collocata al posto dell’originale, o tolto per una migliore conservazione o scomparso. Ora, né in sede storica, né in sede estetica si può riuscire a legittimare la sostituzione con una copia, se non dove l’opera d’arte sostituita ha mera funzione integrativa di elemento, e non vale per se. La copia è un falso storico e un falso estetico e pertanto può avere una giustificazione puramente didattica e rimemorativa, ma non può sostituirsi all’originale. Nel caso del Campanile di San Marco, quel che importava era un elemento verticale nella Piazza; la riproduzione esatta non era richiesta se non dal sentimentalismo campanilistico, è il caso di dirlo, così per il Ponte di Santa Trinità di cui doveva tentarsi ad ogni costo il restauro e l’anastilosi, ma non la sostituzione brutale con una copia. E ciò è tanto più grave, perché se il Campanile di San Marco non rappresentava che un opera rabberciata nel tempo, il Ponte Santa Trinità era un’altissima opera d’arte, sicché il falso che si è compiuto è ancora più delittuoso.
    L’adagio nostalgico – com’era, dov’era – è la negazione del principio stesso del restauro, è un’offesa alla Storia e un oltraggio all’Estetica, ponendo il tempo reversibile, e riproducibile l’opera d’arte a volontà”.
    Orbene la domanda è: in una democrazia, è più importante lo sbeffeggiato sentimentalismo campanilistico o la pretestuosa offesa alla Storia ed all’Estetica?
    Cosa potremmo dire delle opere di integrazione, ricostruzione e completamento, a mio avviso meravigliose, eseguite dalla bottega di Bartolomeo Cavaceppi su gran parte della statuaria romana (oggi in giro nei più importanti musei del mondo): quello suo, per i benpensanti della sua epoca, fu un gesto criminale che li offese a morte, o diversamente egli fu considerato un grande cui commissionare opere del genere?
    Bene credo di potermi fare portavoce del sentimento di tutta la popolazione mondiale ed affermare: chi se ne importa dell’offesa! Meno male che il Campanile ed il Ponte sono crollati in un momento in cui il “potere” della Carta del Restauro non aveva ancora preso il sopravvento! Provate ad immaginarvi oggi Piazza San Marco con un grattacielo “alla Foster” o “alla Eisenman” al posto del campanile, o un ponte “alla Calatrava” al posto di quello della Trinità.
    A questo punto penso sia possibile, e doveroso, procedere ad esaminare la situazione attuale, specie relativamente alla estensione indiscriminata che il concetto di falso storico – nato per problemi di restauro – ha avuto relativamente al fare nuova architettura ed urbanistica: chiunque osi distaccarsi dalla tendenza modernista e cerchi di riappropriarsi di una tradizione millenaria viene “bollato”: falsario!
    La Carta di Atene del 1931 segna un punto fondamentale per il nostro problema, e proprio per questo, considerato il momento storico in cui essa nacque – periodo in cui si inseguiva un ideale modernista basato sull’azzeramento della storia – andrebbe ripensata, sì da rivedere quegli indirizzi che, nati in conseguenza dell’orientamento di quel tempo, hanno generato il degrado urbanistico e architettonico, piuttosto che la tutela dei monumenti e dei centri storici, prevista nelle intenzioni.
    Cito per esempio il punto 8 delle “Istruzioni per il restauro dei Monumenti” redatte dal Ministero della Pubblica Istruzione Italiano nel 1938 in conseguenza della Carta di Atene: “per ovvie ragioni di dignità storica e per la necessaria chiarezza della coscienza artistica attuale, è assolutamente proibita, anche in zone non aventi interesse monumentale o paesistico, la costruzione di edifici in «stili» antichi, rappresentando essi una doppia falsificazione, nei riguardi dell’antica e della recente storia dell’arte”.
    Ebbene, in nome dei più sani principi di democrazia, ed alla luce di quelle che, grazie a questo “illuminato indirizzo architettonico – urbanistico”, sono stati i risultati di degrado ambientale, non provo alcun timore nel condannare questo articolo come apologia di reato di devastazione delle città e del territorio italiano. Grazie a questa idiozia infatti, i centri storici hanno conosciuto le offese più atroci, mentre i cittadini relegati a vivere nelle periferie sono stati trattati come delle cavie su cui “testare” i “nuovi e più avanzati modi di vivere la città moderna” … gli unici che hanno beneficiato di queste “moderne conquiste”, come è ovvio, sono stati gli speculatori edilizi e, oggi, gli psicologi, gli psichiatri ed i sociologi che, loro malgrado, sono “costretti a guadagnare” dal disagio delle povere vittime immolate in nome della presunta modernità!
    Cosa può o poteva importare al povero “cittadino incolto”, che il “colto studioso” si ritenesse offeso “per ovvie ragioni di dignità storica e per la necessaria chiarezza della coscienza artistica attuale” dalla edilizia di qualità che si sarebbe potuta produrre nei nuovi quartieri, così come nei centri storici?
    Non possiamo non disdegnarci al solo pensiero del come gli architetti razionalisti di quei tempi, accecati dal miraggio del modernismo, raggirassero gli organismi preposti al controllo edilizio presentando dei progetti “in stile” per ottenere il permesso di costruzione e poi, una volta avviato il cantiere, realizzassero ciò che essi volevano, fregandosene totalmente di quello che potesse essere gradito alla gente comune: l’assurdo è che questi “pionieri della palazzina”, invece di essere ricordati per i semplici palazzinari che furono, sono stati “divinizzati” da quelle Facoltà di Architettura che invece avrebbero dovuto aborrirli!
    Politici, presunti uomini di cultura, presunti architetti, ecc., all’indomani del conflitto mondiale, invece di promuovere il “fare architettura” promossero il “fare le case”.
    Probabilmente a quei tempi, grazie alla necessità di ricostruire ed alla crescita demografica, politicamente questo dava consensi, peccato però che chi avrebbe dovuto insegnare l’architettura teorizzò che la squallida edilizia fosse la vera architettura moderna!
    Oggi appare quantomeno allucinante pensare che nelle facoltà di Architettura si perseveri negli insegnamenti sbagliati: si rifletta sul fatto che se ad uno studente si insegna a fregarsene del genius loci e delle persone che dovranno vivere negli edifici che progetta, oppure che può fare edifici “irriverenti e dissacranti” rispetto al contesto, ecc., egli crederà fermamente in ciò che i professori gli avevano inculcato e, quando diverrà architetto proporrà, con tutta l’arroganza possibile, edifici dissonanti che contribuiranno alla perdita di ogni valore urbano e, se sarà ancora più bravo, diverrà professore ed insegnerà a fare cose ancora più orribili ai suoi studenti, per ovvie ragioni di dignità storica e per la necessaria chiarezza della coscienza artistica attuale!
    Tornando su quel famoso punto 8 delle “Istruzioni per il restauro dei Monumenti”, e sulle vergogne operate in tempi più o meno recenti nei Centri Storici, c’è da chiedersi il perché esse si siano potute compiere visto che, le Norme Generali per il Restauro dei Monumenti del 1931, al punto 6 imponevano: “che insieme col rispetto del monumento e per le sue varie fasi proceda quello delle sue condizioni ambientali, le quali non debbono essere alterate da inopportuni isolamenti; da costruzioni di nuove fabbriche prossime invadenti per massa, per colore, per stile”.
    Quarant’anni dopo, valutando i risultati degli interventi post 1931, e riconoscendo il fatto che alcuni contenuti della Carta del ’31 fossero stati disattesi, nella Relazione alla Carta del Restauro del 1972 si leggeva:” […] Né minori guasti dovevano prospettarsi per le richieste di una malintesa modernità e di una grossolana urbanistica, che nell’accrescimento delle città e col movente del traffico portava proprio a non rispettare quel concetto di ambiente, che, oltrepassando il criterio ristretto del monumento singolo, aveva rappresentato una conquista notevole della Carta del Restauro e delle successive istruzioni […]”
    L’atroce realtà dei fatti urbanistici del XX secolo può riassumersi nel tipico atteggiamento ipocrita – una “Facciata rispettosa” dietro cui nascondere altri fini – operato da chi doveva e deve tutelare sul patrimonio architettonico ed urbanistico: il Centro Storico è intoccabile! (ma non sempre!), Nei nuovi agglomerati tutto, (o quasi), è consentito basta che si rispettino gli indici di fabbricabilità!
    Analizzando gli scempi più recenti operati nelle città italiane è possibile verificare come, probabilmente in relazione al peso politico-economico del richiedente, si siano totalmente disattese alcune fondamentali indicazioni previste dalla Carta del Restauro del ’72 che, come si comprende dalla relazione allegata alla stessa, nasceva da una critica profonda dei guasti generati dalle richieste di una malintesa modernità e di una grossolana urbanistica fatti precedentemente.
    Leggiamo dunque le indicazioni dell’Allegato d alla Carta del Restauro del ’72, “Istruzioni per la tutela dei Centri Storici” e, successivamente, facciamo delle considerazioni.
    Riporto di seguito alcuni brani del testo affinché non possano essere fraintesi:
    “ai fini dell’individuazione dei Centri Storici, vanno presi in considerazione non solo i vecchi «centri» urbani tradizionalmente intesi, ma – più in generale – tutti gli insediamenti umani le cui strutture, unitarie o frammentarie, anche se parzialmente trasformate nel tempo, siano state costituite nel passato o, tra quelle successive, quelle eventuali aventi particolare valore di testimonianza storica o spiccate qualità urbanistiche o architettoniche” […] “il restauro non va, pertanto, limitato ad operazioni intese a conservare solo i caratteri formali di singole architetture o di singoli ambienti, ma esteso alla sostanziale conservazione delle caratteristiche d’insieme dell’intero organismo urbanistico e di tutti gli elementi che concorrono a definire dette caratteristiche. Perché l’organismo urbanistico in una parola possa essere adeguatamente salvaguardato, anche nella sua continuità nel tempo e nello svolgimento in esso di una vita civile e moderna, occorre anzitutto che i Centri Storici siano riorganizzati nel loro più ampio contesto urbano e territoriale e nei loro rapporti e connessioni con sviluppi futuri: ciò anche al fine di coordinare le azioni urbanistiche in modo da ottenere la salvaguardia e il recupero del centro storico a partire dall’esterno della città, attraverso una programmazione adeguata degli interventi territoriali.” […] “per quanto riguarda i singoli elementi attraverso i quali si attua la salvaguardia dell’organismo nel suo insieme, sono da prendere in considerazione tanto gli elementi edilizi, quanto gli altri elementi costituenti gli spazi esterni (strade, piazze, ecc.) ed interni (cortili, giardini, spazi liberi, ecc.) nonché eventuali elementi naturali che accompagnano l’insieme caratterizzandolo più o meno accentuatamente (contorni naturali, corsi d’acqua, singolarità geomorfologiche ecc.). Gli elementi edilizi che ne fanno parte vanno conservati non solo nei loro aspetti formali, che ne qualificano l’espressione architettonica o ambientale, ma altresì nei loro caratteri tipologici in quanto espressione di funzioni che hanno caratterizzato nel tempo l’uso degli elementi stessi […] per risanamento conservativo devesi intendere, anzitutto, il mantenimento delle strutture viario-edilizie in generale (mantenimento del tracciato, conservazione della maglia viaria, del perimetro degli isolati ecc.); e inoltre il mantenimento dei caratteri generali dell’ambiente che comportino la conservazione integrale delle emergenze monumentali ed ambientali più significative e l’adattamento degli altri elementi o singoli organismi edilizi alle esigenze di vita moderna, considerando solo eccezionali le sostituzioni, anche parziali, degli elementi stessi e solo nella misura in cui ciò sia compatibile con la conservazione del carattere generale delle strutture del centro storico […]”.
    Più avanti, chiarendo il tipo di intervento edilizio di rinnovamento funzionale l’allegato ammonisce: “é da permettere soltanto là dove si presenti indispensabile ai fini del mantenimento in uso dell’edificio. In questo tipo di intervento è di importanza fondamentale il rispetto delle qualità tipologiche e costruttive degli edifici, proibendo tutti quegli interventi che ne alterino i caratteri, così come gli svuotamenti della struttura edilizia o l’introduzione di funzioni che deformano eccessivamente l’equilibrio tipologico-costruttivo dell’organismo”.
    Che dire dunque di interventi “propagandistici” come quello dell’Ara Pacis di Roma, degli Uffizi di Firenze, della Mura di Urbino, della Scala di Milano, ecc.? Sembrerebbe esserci un doppio sistema di misurazione del rispetto e della salvaguardia: il primo è quello per i “comuni mortali”, ed è fatto di divieti spesso assurdi, il secondo è per i rappresentanti del cosiddetto “Star System” i quali, con la loro firma, possono massacrare indiscriminatamente qualsiasi luogo in nome del progresso e della ragione politica.
    Una mia amica mi ha riferito di una signora fiorentina che alla Biennale di Venezia, davanti alle immagini del progetto per gli Uffizi fatto da Arata Isozaki, piangeva chiedendosi: dove andremo a finire?
    Dunque, tornando sul concetto di falso storico in architettura, Brandi ci ha chiarito come il problema principale – in generale e non solo in architettura – sia dato dal comportamento ingannevole che l’autore dell’oggetto assume nei confronti di chi lo osserva; … abbiamo altresì verificato come, generalmente, gli unici a sentirsi “offesi” da questo comportamento, siano i “colti moderni”!; abbiamo infine potuto constatare come, tra tutte le indicazioni della Carta, siano state prese in considerazione solo le parti che facevano comodo e a seconda dei casi: Meier, Isozaki, De Carlo, Botta, ecc. sono esentati dal dover rispettare chicchessia!
    L’altra faccia del falso storico è rappresentata invece da quelle città italiane le quali, per il fatto di aver dato i natali ad architetti “moderni” o ad architetture razionaliste, hanno dimenticato tutto quanto era successo prima del XX secolo, tanto che gli architetti, i critici, e i politici locali contemporanei chiedono, o addirittura impongono, che l’edilizia prodotta dal movimento modernista venga presa come modello da seguire: così sono nati, e continuano a nascere, migliaia di interventi neo-razionalisti, neo-funzionalisti, neo-Terragniani, neo-LeCorbusierani, ecc., mentre vengono ridicolizzati, o peggio criminalizzati, gli interventi di quegli architetti che si sforzano di riappropriarsi dei canoni tradizionali che avevano guidato la storia millenaria dell’architettura e dell’urbanistica italiana.
    Ma dove e quando allora può parlarsi di falso storico? Perché il cercare di dare una casa ed un ambiente urbano dignitoso e piacevole, ispirandosi al Passato più nobile, è da considerarsi un atto criminale, mentre il copiare i presunti “grandi modernisti” – che con le loro opere e teorie sbagliate hanno causato la perdita di ogni valore in architettura – è invece un comportamento da perseguire?
    Se il problema è dunque solo quello dell’inganno, penso che nessun “architetto tradizionalista” abbia alcuna intenzione di ingannare nessuno con il suo modo di operare, semmai egli sarà mosso da un profondo rispetto dei monumenti, dei centri storici, del paesaggio e, soprattutto, degli abitanti; egli non avrà nessuna intenzione di far credere che la sua opera sia stata realizzata in un’altra epoca o da un grande del passato: egli dunque, non avrà intenzione di offendere nessuno, piuttosto egli sarà interessato a cancellare le offese che la “povera gente incolta” è stata costretta a subire da chi, con la “presunzione della cultura”, la ha ingannata facendogli credere che gli stava creando intorno una città figlia della nostra “civiltà moderna”, ed espressione del nostro tempo.
    Leggendo un qualsiasi dizionario si apprende che inganno letteralmente significa presentazione falsata della verità.
    Ebbene, la realtà dei fatti urbanistici di oggi ci dimostra come l’unico e vero inganno, sia stato proprio quello compiuto dai cosiddetti esperti i quali, con il loro modo di sentenziare, ci hanno voluto far credere che la zonizzazione, le moderne periferie, le grandi arterie di traffico nel bel mezzo dei centri abitati, le unità di abitazione, la rimozione di ogni aggiunta decorativa, ecc. corrispondevano alla vera espressione di civiltà moderna, ai veri ideali di vita, di urbanistica e di architettura.
    Allo stesso modo, nel campo del restauro, la Carta di Atene ci spiegava come (Punto V) “gli esperti hanno inteso varie comunicazioni relative all’impiego di materiali moderni per il consolidamento degli antichi edifici; ed approvano l’impiego giudizioso di tutte le risorse della tecnica moderna, e più specialmente del cemento armato”.
    La Carta dunque, esortava all’abbandono delle tecniche e materiali tradizionali, in nome delle più attuali e moderne tecnologie e materiali. La storia ci ha invece dimostrato come queste verità fossero fasulle: gli edifici “restaurati” con le moderne tecnologie e materiali non tradizionali (specie resine e cementi), sono stati in seguito gravemente danneggiati dall’invecchiamento di questi nuovi e moderni elementi introdotti sotto l’egida degli esperti!
    Chi dice dunque la verità?
    Credo senza alcun dubbio che gli unici falsari siano i teorici del falso storico, coloro i quali, con la loro “colta saccenteria”, hanno convinto, o cercato di convincere, la “massa incolta”, che il loro “sapere” li avrebbe guidati ad un futuro migliore; questa massa, ammalata di un certo complesso di inferiorità culturale nei confronti degli esperti, ha passivamente accettato questi teoremi perché “detti da chi ci capisce”, anche se poi, nel proprio intimo, ha sempre covato un senso di disgusto e di rifiuto, puntualmente tirato fuori quando era troppo tardi, oppure sottovoce in qualche discorso tra amici con i quali non c’era da vergognarsi di “non capire” l’architettura e l’urbanistica contemporanea.
    La degenerazione di queste “dottrine misteriche” dominio dei soli iniziati delle Facoltà di Architettura, ha portato oggi a realtà urbane ed architettoniche che, volutamente, si impongono in modo dissonante o irriverente e dissacrante – per usare due lemmi molto in voga tra gli architetti ed i critici contemporanei – queste realtà ci parlano una lingua che non è certo di questo pianeta, fatta di edifici contorti in cui diviene problematico il solo entrare o camminare, luoghi dove spuntoni di titanio, di vetro, di ferro si protendono minacciosi su chi osi passeggiare sotto l’edificio, ecc.
    Domanda: ma se queste realtà non esistono, né sono mai esistite, né, si auspica, mai esisteranno su questo pianeta, non sono da ritenersi un Falso Futuro? E se si, perché nessuno ha il coraggio di sentirsi offeso?
    Ai posteri l’ardua sentenza, a noi la coscienza di ammettere, finalmente, che quello del Falso Storico è tutto un Falso problema!

    Ettore Maria Mazzola

  2. Va bene va bene…
    niente di nuovo se non che Walter Benjamin anche oggi si è suicidato invano…

    Totto ok… ma, alla fine, alla Moretta che facciamo?

    Ricostruiamo gli Stabula com’erano dov’erano?
    Rifacciamo le case rinascimentali in stile cancellando la Roma del I sec.?

    O quelle ottocentesche soprelevate di due piani?

    O completiamo il progetto interrotto che demolendo pure Regina Coeli prevedeva un parco sù sù fino alla cresta del Gianicolo?

    E se scavassino un altro po’ per ripristinare il paesaggio di 10.000 anni fa?

    Insomma, quale falso sarebbe più giusto falsificare?

    Curioso come un gatto curioso, tuo

    Giancarlo

    CONFIDENTIALITY NOTICE
    Il presente reply è indegno poiché l’autore è persona terrorizzata da se stessa e in preda al panico
    [© Ettore Maria Mazzola].

    • ettore maria mazzola ha detto:

      Nota alla tua “Confidentiality notice”:
      come diceva Renzo Arbore a Giorgio Bracardi: scusi buon uomo … ma lei quanti anni ha?

  3. pieffedue ha detto:

    Beh, caro Ettore, io faccio parte della immensa schiera dei cittadini che si sentono offesi dal Falso Futuro.Anzi, io faccio parte degli offesi… morigerati. Non puoi capire cosa dicono i non morigerati di fronte ai loculi dell’Ara Pacis o alla Nuvola che porta via tanto acciaio quanto una portaerei.
    Tu sei uno dei pochi architetti che pensa che le case non vadano costruite dagli architetti per gli architetti. Così come invece io penso che gli ingegneri non devono far progetti per gli ingegneri, né i medici devono elaborare manipolazioni genetiche per far bella figura sui colleghi o gli avvocati per diventare politici. Insomma l’autoreferenzialità di “casta” è equivalente ad un disastro ambientale dilagante.

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