ARCHITETTURA DEUS EX MACHINA
“Caro Ettore, letto tutto.
Che dire: impressionante!
Compresa la partecipazione del prete, il qualunquismo politico oggi più interessante del politicamente corretto, la rivoluzione industr… ops… artigianale, il rilancio dell’economia locale ecc…
Su tutto, la spaventosa animazione per slide della macelleria messicana dello ZEN (altro che Grattachecca e Fichetto!) e, insieme allo ZEN (almeno ai miei occhi) il massacro di cinquant’anni (100?!) di architettura contemporanea, e con essa vite, intelligenze, sogni, speranze in un mondo nuovo immaginato non certamente miserabile, come in molti paesi è (cioè Svizzera esclusa), ma solo più essenziale nella sua povertà proletaria e “povertà” non è, ne è mai stato, un sinonimo di “miseria”.
Ancora, e qui mi è dispiaciuto di più, hai inteso “giustiziare” simbolicamente con lo ZEN (indipendente dalla sua qualità in merito) un secolo di poesia di architettura moderna che non riesci proprio a vedere, comprendere, valutare proprio come non capivano i centri storici che tanto ci piacciono i Maestri del Movimento Moderno quando crudelmente li sventravano.
La nota triste e indiscutibile è che, purtroppo, lo Stato Italiano non c’era alle spalle dello ZEN di Gregotti o del Laurentino di Barucci – questo l’errore di tutti i PEEP – e non c’è nemmeno adesso. Cioè il committente mancava e manca.
Hanno funzionato solo le case popolari costruite in cooperativa dove gli abitanti sono fin dall’inizio i proprietari, vedi Casilino di Quaroni, un quartiere orripilante per quanto stupido il progetto (era già stupido il progetto di Muratori da cui è copiato) ma che nessun abitante (compreso l’amico 43) vorrebbe veder demolito.
Le dimensioni stradali della Jacobs semplificate, asciutte in forme cubiche senza decori, ci sono, mi sembra, anche nello ZEN, erano un passaggio compositivo fondamentale nella gerarchia viaria, ma non hanno politicamente funzionato. Funzioneranno se strade delle stesse dimensioni saranno graziose e alle finestre ci saranno persiane?
Perdonami ma in merito io sono ateo però ammiro la tua fede nelle possibilità dell’architettura, una fede da architetto di avanguardia di cento anni fa.
Non una fede nella scuola, nei centri sportivi, nelle biblioteche, nei centri sociali, nella po-li-ti-ca della città, ma nell’architettura della città che ne dovrebbe essere espressione anche in sua assenza.
Prima costruisco una città senza “uomini” poi, ispirati dalla sua forma, sapranno ben gestirla.
Architettura deus ex machina.
Però, caro Ettore, ti distinguo bene dal cinismo dei ben più spietati Fiorentino, Gregotti, Barucci e loro tardomoderni sodali (avevano tutti gli strumenti per valutare meglio la situazione), piuttosto appartieni alla schiatta dei VERI credenti (nell’architettura), ovvero ti metto al pari dei tuoi odiati Le Corbusier, Hilberseimer, Gropius, Oud etc. Questi sono i tuoi autentici fratelli di spirito non Giovannoni e Viollet Le Duc.
Con te e il tuo spirito di vecchio stampo ideologico modernista capiamo meglio come dovevano essere i nostri amati/odiati/invidiati maestri: quanto ci dovevano credere… Alla distanza possiamo dire: che coioni!
Mi aspetto che, all’inaugurazione del tuo primo quartiere passatista/modernista, scoppierai a piangere come Papà Corbu al primo giorno dell’Unità di Abitazione di Marsiglia per la quantità della sua/tua Fede c’era/ci sarà in gioco.
Quello che mi dispiace per te (che personcina sensibile sono!) è che, di fatto, cento anni dopo, sei, purtroppo, la dimostrazione vivente di come si possano rabbiosamente far girare a vuoto (sprecare) generosità, entusiasmo, intelligenza, voglia di fare l’architetto (anzi l’ ARCHITETTO tuttomaiuscolo e il suo indiscutibile talento) in motore ingolfato da rococòcchetto e stradine curve.
Con affetto e sincera stima,”
Giancarlo.
Leggo adesso questo tuo commento-post e mi ero perso la locandina di Ettore. Ci vorrà una riflessione un po’ più lunga del solito, e soprattutto più calma di adesso, diciamo una calma da week end per cercare di rispondere adeguatamente alle tue osservazioni non peregrine. Ci sentiamo
Pietro
“Ciao, Pietro!”
“Ciao, Paolo…Posso? Che hai preso? Un Martini?…Ragazzo? Un Martini anche a me!…..Che stai facendo, Pa’?”
“Ma niente! Stavo leggendo sul tablet. C’è una interessante discussione su Archiwatch a proposito della….aspetta che traduco!…”rigenerazione urbana” dello ZEN …..Ti ricorderai, no?…lo ZEN di Palermo?….Gregotti? Nell’articolo vengono richiamati buona parte dei grandi dell’architettura moderna e le loro utopie: Le Corbusier, Barucci, Fiorentino, Gropius…..”
“…e non dimentichiamoci di Paolo Soleri!….Certo, é vero che c’è deserto e deserto! Vuoi mettere l’Arizona con l’Ari…ZEN…a?”
“Dai! Non farmi ridere!”
“Perchè Broadacre City che t’ha fatto? Pensa che l’acro di Wright é uguale, paro paro, alla centuria romana, 4000/4900 mq!”
“Mò che é ‘sta centuria?”
“E’ la base della……Vabbè! Lasciamo perdere!”
“Ma no! Dai, scherzavo! Anzi, sai che ti dico adesso che mi ci fai pensare? L’estate scorsa ho visitato Servigliano. Non lo conosci? E’ un piccolo comune dietro Fermo, ricostruito dopo una frana che fece fuggire gli abitanti di un precedente abitato in collina. Molto interessante! La ricostruzione venne ordinata da un papa Clemente ma non so chi fosse l’architetto o forse allora l’architetto neanche c’era. Evidentemente in quei secoli d’oro erano sufficienti Magistrati, Mastri e manovali per costruire una città!. Ha una forma perfettamente studiata come buona parte delle città ricostruite nel XVI°, XVII° secolo a seguito di terremoti, smottamenti e per motivi militari…Che so? Noto, Palmanova…A Servigliano la pianta è perfettamente quadrata. Ci sono cardi e decumani, le abitazioni sono organizzate in stecche regolari che mi fanno pensare allo ZEN mentre l’ambiente urbano è scenograficamente disposto: piazza, duomo, porte civiche…. proprio come il disegno di progetto della “rigenerazione” che vedi. Insomma, Servigliano mi sembra una bella sintesi delle due opzioni in discussione. …Ti racconto un’altra cosa a proposito di Servigliano. Fu il luogo di un importante campo per prigionieri di guerra, dalla Prima Guerra Mondiale, alla guerra contro la Grecia, ai prigionieri alleati della Seconda, luogo di passaggio per gli ebrei rastrellati fino ai profughi dalmati. Non ci crederai ma la città legale e la città concentrazionaria hanno stesso orientamento, stessa pianta e baracche in legno disposte in fila come le case costruite con il fantastico mattone dei centri marchigiani”
“E con questo che vuoi dire?”
“Mah! Non so! Però la cosa mi dà da pensare”
“Vabbè! Però adesso torniamo a quello che hai detto a proposito di scenografia. Non penserai che questo disegno, invece che un ottimo architetto, l’abbia fatto uno degli altrettanto ottimi scenografi di Cinecittà? Ma sì! Quelli che ti sanno ricostruire la New York al tempo delle gangs irlandesi, la Roma pre-rinascimentale, la main street di uno spaghetti-western, un Foro Romano e, in questo caso, una piazza siciliana….certo che a vederlo potrebbe sembrare proprio la scenografia per un remake di un film che ho rivisto ieri…Già! M’hai capito, no? “Sedotta e abbandonata”! Sembra la piazza in cui Stefania Sandrelli fugge disperata seguita dal dileggio di tutti i giovinastri del paese”
“Sai che ti dico, Pie’? Che sarà il sole, saranno i Martini, ci si stanno a confondere le idee e cominciamo a dire un sacco di sciocchezze. E’ meglio che ci facciamo due passi….Ragazzo! Portaci il conto e, per favore, pulisci il portacenere che ci si è riempito di cicche!”
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Caro Giancarlo,
non so se ritenere più offensive le critiche ridicole dove mi accusi di aver fatto una
” macelleria messicana dello ZEN (…) e, insieme allo ZEN (almeno ai miei occhi) il massacro di cinquant’anni (100?!) di architettura contemporanea, e con essa vite, intelligenze, sogni, speranze in un mondo nuovo immaginato non certamente miserabile, come in molti paesi è (cioè Svizzera esclusa), ma solo più essenziale nella sua povertà proletaria e “povertà” non è, ne è mai stato, un sinonimo di “miseria””,
o se indignarmi davanti all’ipocrisia dei vari “caro” “affetto” e “stima” e falsa ammirazione per le mia tenacia.
Preferisco quindi non replicare per evitare di cadere nuovamente nel trabocchetto già visto del provocare per vedere la reazione necessaria alla “macelleria” alla Maria De Filippi che evidentemente a qualcuno piace tanto e che a me fa letteralmente pena.
Sarei però curioso di sapere quali sarebbero quelle “intelligenze, sogni vite e speranze” cui alludi.
Sono per caso quelle di Gregotti? Un personaggio che da un lato realizzava simili vergogne spacciandole come la “Nuova Gerusalemme, ovvero la città della società senza classi, libera, giusta e fraterna”, mentre dall’altro, intervistato da Enrico Lucci de “Le Iene” alla domanda: “perché se dice che è tanto riuscito e bello non ci va lei a vivere allo ZEN” la risposta fu “che c’entra io faccio l’architetto, non faccio il proletario!”
Se avessi visto da vicino le condizioni dello ZEN, e se avessi partecipato anche tu alle discussioni (che tu ritieni appartenere al “qualunquismo” ti renderesti comunque conto che, a parte le infrastrutture, i sottoservizi, e il Cortile Gnazziddi che ho salvato, lì non c’è proprio nulla che possa salvarsi.
Spero con questo di evitare ulteriori battibecchi inconcludenti e, soprattutto, le censure agli offesi piuttosto che a coloro i quali, non avendo di meglio da fare, passano il tempo ad offendere per problemi di fondo schiena (che non credo però essere i tuoi), sai a cosa io alluda.
Ciao
Ettore
Caro Galassi
Il succo del tuo commento sul progetto dello Zen di Ettore è, in sostanza, che la filosofia e l’atteggiamento che lo sottende sarebbe speculare a quello di chi un giorno ha deciso che tutta la storia della città era superata e che bisognava distruggere per ricominciare daccapo. Ettore quindi ucciderebbe il padre compiendo lo stesso suo percorso ma nella direzione opposta.
E’ interessante come ipotesi, perché sembra avere una sua plausibilità.
Per capire se e quanta verità vi sia è però necessario valutare i fatti con due criteri interpretativi: quello strettamente architettonico-urbanistico e quello relativo alla società, alle condizioni al contorno, alla politica, come in fondo tu stesso fai nel commento.
Tu segnali l’assenza dello Stato dietro lo Zen e tutti i PEEP, e che Fiorentino, Gregotti, Barucci ecc. avevano però tutti gli strumenti per valutare la situazione. Quest’ultima considerazione è parzialmente vera, ma sullo Stato sbagli perché lo Stato c’era e quello che gli architetti di cui sopra hanno fatto era esattamente quanto lo Stato loro chiedeva. C’era assoluta simbiosi tra mondo della cultura e il mondo politico: questo forniva l’ideologia, quelli fornivano le forme giuste e adeguate all’ideologia. Ovviamente le interazioni sono ben più complicate ma la semplificazione serve ad avvicinarsi alla verità. Se non la vuoi vedere perchè disturba la tua sensibilità politica, è un problema tuo.
Quando un popolo si ribella al tiranno, questo viene sommariamente giustiziato, le statue e tutti i simboli del regime che lo rappresentano abbattute. E’ sempre accaduto e sempre accadrà. E’ umanamente, e spesso culturalmente ingiusto, ma è un rito di purificazione collettivo inevitabile e inutilmente condannabile. E’ forse preferibile la messa in scena del Tribunale Internazionale, che serve a verbalizzare una condanna già data dalla storia? I nostri razionali e illuministi cugini francesi sono stati espertissimi di questi riti in più occasioni. Quell’ideologia modernista era (e ve ne sono strascichi importanti) un pensiero unico, una tirannia culturale insuperabile che, come con il tiranno, richiede un simbolico rito purificatorio per potersene veramente liberare.
Ettore semmai è timido nel linguaggio chiamando quel progetto “rigenerazione urbana”. Rigenerare significa lavorare sul materiale che c’è per stimolarlo a rinnovarsi, con l’utilizzo di un po’ di bisturi, con qualche nuova protesi e tanta medicina sociale. Quel progetto è altro dalla rigenerazione, è un lavacro urbano purificatorio. In questo senso, ma solo in questo, cioè sotto il profilo delle dinamiche storiche, sociali e politiche, nella tua ipotesi c’è del vero, ma per il resto sei fuori strada.
Ma si potrebbe realmente rigenerare lo Zen? Forse con la “fede nella scuola, nei centri sportivi, nelle biblioteche, nei centri sociali, nella po-li-ti-ca della città” come tu suggerisci? Si vede che sei rimasto figlio di quel periodo, quello dei servizi, degli standard, della quantità, quando metterli appariva già sufficiente, una variabile indipendente. Mi sembra che tu sia ancora intriso della cultura di quel periodo, di quell’insieme di politica e urbanistica che ha aggiunto ai danni della disciplina un quid plus peculiarmente made in Italy.
Credi davvero possibile modificare un progetto immodificabile con quei garage a piano terra che saranno alti i soliti 2,40 e che difficilmente potrebbero accogliere attività commerciali e artigianali normali, con quelle strade pedonali interne sopraelevate, con quel livello di degrado edilizio in cui versa? Già, perché il “moderno”, non è solo forme astratte, ma è anche scelte tipologiche sbagliate. E’una visione morta dell’abitare che non può evolvere se non come una sorta di tumore. Il purismo non tollera crescita e modificazione. E’ una architettura e una città difficilmente rigenerabile se non con la sostituzione. Sono ragionevolmente rigenerabili Corviale o Le Vele? In Francia, in Inghilterra, negli USA si passa sopra questi interventi con i martelli demolitori o con la dinamite e si rifanno. Come ha fatto Ettore. Da noi è reato di lesa maestà, in nome di un processo di beatificazione per cui Zen, Corviale, Scampia sono nostalgicamente reperti archeologici di un periodo piuttosto che luoghi di degrado.
Ma Ettore un errore lo ha commesso: si è fatto inchiodare sul disegno dell’architettura. Ma non per il fatto che ha disegnato il “barocchetto”, ma per il fatto che ha disegnato “tutto barocchetto”. Questa visione olistica è la sua utopia. Utopia non assoluta, intendiamoci, perché altrove si fanno interventi unitari e omogenei, ma perché in Italia è impossibile, per una serie di ragioni su cui sarebbe troppo lungo discutere. Lèon Krier a Novoli, ha protestato con forza non per il mancato rispetto dei suoi disegni architettonici, che non ne aveva quasi fatti, ma per il mancato rispetto del piano urbanistico. Per l’architettura aveva previsto Norme tipologiche e morfologiche e non progetti già confezionati. A Roma si è poi lasciato andare, forse illudendosi nella forza della politica.
Ettore ha peccato di ingenuità nel voler rappresentare in maniera unitaria il suo lavoro, ben sapendo tuttavia, e io ed altri ne siamo testimoni perché ne abbiamo discusso a lungo, che non voleva imporre, nel caso ipotetico di una realizzazione, anche il suo progetto architettonico. Ha voluto essere più convincente, ha voluto mostrare un prodotto che si avvicinasse a quello finito dal suo punto di vista. L’ha fatto per il cittadino palermitano, l’ha fatto per generosità, ben sapendo che pochi sono in grado di giudicare una planimetria ma tutti sanno leggere e apprezzare le sue prospettive. E così ha fornito il destro ai soliti argomenti denigratori e spocchiosi. E infatti chi guarda il suo piano? Chi giudica se quel borgo funziona al suo interno, se è inserito correttamente nella trama urbana? Nessuno, ovviamente. Ma all’estero lo guardano. Si vede che sono più stupidi di noi. Tutto ciò che viene dall’”estero” è in genere bello e giusto, anche le cose più turpi, ma quando si parla di questo argomento no, gli “esteri” non hanno cultura e noi siamo quelli bravi. Infatti le nostre città costruite dal dopoguerra in poi sono incantevoli e vive e i turisti vengono in Italia proprio per quelle.
No Galassi, ti sbagli su Ettore. Non è lo specchio di LC o di Gropius, anche se ne possiede la determinazione, lo spirito combattivo ed anche la fede nelle sue idee; Ettore non vuole violentare i cittadini, vuole ridare loro quello che lui ritiene sia stato loro tolto. La sua non è operazione elitaria e contro ma è popolare e a favore di. Si può non condividere, certo, ma altro è difficile inventarselo.
Come vedi non ho bruciato tutto il week end.
Ciao
Pietro
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