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QUALCHE ANNO DOPO …
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C’è stata un’evoluzione: da una provocazione classicista ad un medioevalismo…. critico.
Comunque trovarne parecchi di Natalini in circolazione!
Pietro
Non sempre si invecchia bene!
«Negli ultimi anni, specialmente in Olanda, quando durante lunghissime discussioni pubbliche i miei progetti venivano accusati di essere progetti nostalgici,rispondevo che in italiano abbiamo un solo termine per dire nostalgia e che il termine nostalgia connota anche da noi un sentimento visto con sospetto. I tedeschi, che per quel che riguarda le idee e i sentimenti hanno un linguaggio molto più articolato del nostro, impiegano due termini per definire nostalgia: Heimweh e Sehnsucht. Il primo, analogamente all’italiano, è un desiderio di ritorno, di ritorno alla casa natale, è nostalgia del guardarsi indietro; il secondo è nostalgia di ciò che non è avvenuto, di cose non ancora apparse, è il tendere a qualcosa che pensiamo esistere e che ci attrae. Intendo nostalgia in questa doppia connotazione nelle due direzioni del tempo, così come intendo passione o desiderio, nella duplice accezione di aspirazione ideale a un mondo che intravedo poter essere e che attualmente non è, e insieme di sofferenza nel senso latino proprio di passio, patire, di dolorosa ricerca.»
Così Natalini e non sembra ci siano argomenti per negare la legittimità di una scelta poetica del genere. Il libro curato da Vittorio Savi sulla sua opera è uno dei libri di architettura che preferisco e che frequentemente, con un certo entusiasmo tra i distinguo, consiglio ai piedidolci.
Eppure cosa non convince fino in fondo?
Forse la postmodernità del suo lavoro che fa derivare le scelte dalla piega tutta ermeneutica del mi piace/non mi piace? dalla trappola sentimentale di quella nostalgia comunque sia spacciata?
Quel: “Prima facevo l’avanguardiere sulle rovine del Colosseo, poi mi sono stancato e adesso faccio il retroguardiere sulle rovine del moderno”?
Escluso come in tanti architetti contemporanei, per quanto qui camuffato da forme settecentesche (in altri lo è da forme in titanio tutte sbilenche), l’aspetto illuministico del fare, la necessaria razionalità delle scelte, escluso cioè il Moderno, si avverte la riduzione di fondo del problema umano, il deresponsabilizzarsi dall’affrontarlo “oggi”, che è il problema che ci interessa, a noi che in questa settantina di anni, non altre, abiteremo questo mondo, e su cui in altri tempi si sono interrogati e hanno risposto con la loro architettura i migliori maestri. La ‘mano felice’, il talento, diviene anche nel caso di Natalini, l’occasione purtroppo per non sentirsi in dovere di spiegare a noi, dopo che a se stesso, “Perché”.
“Chiunque può dare risposte; ma per fare domande ci vuole un genio” è il noto aforisma di Wilde. Quanto dovremo aspettare ancora, cara amata architettura natalina, per avere da te meno dimostrazioni di genialità e piuttosto una risposta? Perdio una risposta sola! Anche sbagliata, ma che sia finalmente una risposta. E’ possibile se si affronta il problema da tutti i punti di vista. La famosa risposta di Natalini con cui confrontare la mia. Altrimenti a che serve tanta fatica.