Case popolari ad Arezzo …

Da Pietro Pagliardini: …

“Caro Professore
le mando una cartolina con una storia sintetica, estrema e parziale dell’edilizia popolare ad Arezzo. E’ la mia sintesi, ovvio. Ci sono, per ciascun periodo, esempi migliori e peggiori e questi mi sono sembrati solo più rappresentativi.
Non aggiungo alcun commento: le immagini sono abbastanza eloquenti.
Non cito nemmeno gli autori anche perché in un caso lo ignoro e in almeno due casi sono molteplici, qualcuno molto noto, e non voglio fare torto a nessuno dimenticandoli. Ma poi… gli autori passano, l’opera resta ed è questa che conta, nel bene o nel male.
Cordiali saluti”
Pietro

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6 risposte a Case popolari ad Arezzo …

  1. ettore maria mazzola ha detto:

    Caro Pietro,

    è la storia di tutt’Italia!
    Le case popolari realizzate fino al 1926 però sono quelle meglio riuscite … non era ancora stata messa in pratica la legge sui governatorati che poco alla volta massacrò l’ICP

  2. LdS ha detto:

    difficile giudicare dalle cartoline… ma anni 90 è quella che preferisco. con quel portico mi sembra la più aperta alla strada, pronta ad accogliere attività, la sua imponenza è attenuata da logge e terrazzi “irregolari”. quella degli anni 30 è elegante e rimanda a tempi in cui, grazie al costo della manodopera, ci si poteva permettere il surplus, ma quel basamento chiuso e quasi da fortezza sembra ben poco predisposta a colloquiare. le altre non mi sembrano dei disastri…

    robert

  3. Pietro Pagliardini ha detto:

    robert, nel portico ci sono cantine e credo garage. L’edificio è in zona periferica, all’inizio era diventato un luogo malfamato poi, col tempo, probabilmente per l’impegno di tutti gli abitanti e anche del quartiere, è molto migliorato. La foto che ho fatto è la più clemente: nel lato nord è annerito dall’umidità.
    L’edificio anni ’30, che pure non passerà agli annali della storia, è invece uno dei più ambiti commercialmente in città. E’ in pieno centro lungo il principale asse ottocentesco in direzione est-ovest, gli appartamenti sono bellissimi, al piano rialzato è popolato da studi di avvocati e commercialisti, dentisti e uno storico laboratorio radiologico, necessita di pochissima manutenzione. Abitarvi è considerato segno di prestigio. Anche il villaggio INACASA anni 60, che all’origine si trovava praticamente in mezzo ai campi, è stato inglobato in città ed è caratterizzato da una piacevole scala umana. E’ opera di G.K. Koenig e l’edificio di quattro piani è di Gamberini. Degli altri non ricordo. Nasce proprio come villaggio, piuttosto chiuso in sé attorno ad una strada che forma un anello nella cui parte centrale ci sono quelle casette a due piani con le scale coperte da tettoia, opera non certo memorabile di Koenig, tuttavia dal carattere piuttosto intimo. Come si vede c’è qualche accenno vernacolare specie nella parte centrale. Anche questo ha perduto la sua connotazione di edilizia popolare. Nella zona, popolata di casermoni privati anni 60/70, spicca per una qualità tipologica e abitativa decisamente superiore.
    Gli altri, inevitabilmente, portano il marchio di case popolari, in specie quello degli anni 70: vi sono circa un centinaio di alloggi, a ballatoio, un po’ di brutalismo di provincia, i pilotis deserti anche se pulitissimi. Gli edifici formano una linea spezzata uniti dai corpi scala intorno ad un giardino. Siamo nella scuola del Corviale, tanto per capirci. Quello degli anni 80 è posto in zona pregiatissima, voluto dallo storico sindaco di Arezzo Aldo Ducci, socialista a capo di una giunta di sinistra per svariati mandati. Volle fortissimamente quell’edificio accanto ad altri di pregio, probabilmente con una vena vagamente punitiva, affacciati in un bel parco urbano di 8 ettari. Scelta comprensibile la sua, solo che concentrando in quell’aggeggio non piccolo i casi più disperati, per anni un giorno sì e l’altro pure vi stazionava la polizia. Con gli anni la situazione è migliorata. Adesso si ritrova in una zona ottima, davanti al polo scolastico progettato da Gregotti e nel quartiere più ricco di servizi e di verde della città. Rimane quell’edificio a tunnel con pannelli di tamponamento prefabbricati e senza gronde che costringono a manutenzioni considerevoli. Come si vede la tinteggiatura è recente.
    Dimenticavo: quello che ti piace è un Karl Marx Hof (molto rivisitato). Questo per dichiarata volontà del suo progettista.
    La mia considerazione è che molte scelte delle passate amministrazioni si sono dimostrate alla lunga giuste, anche per l’attenzione che vi è stata a dotare la città di servizi di una certa qualità (da tempo ce li sogniamo) se non fosse per gli architetti che ci hanno messo del proprio per sfogare proprio nell’edilizia pubblica, che dovrebbe essere l’esempio, in assenza di ogni controllo e in mancanza di committenti, le idee più modaiole e astratte apprese in quel luogo di perdizione che si chiama università di architettura.
    Ciao
    Pietro

  4. LdS ha detto:

    pietro, come mi insegni tu che la forma non segue la funzione, bastano pochi decenni per trasformar ‘na stalla in ristorante di lusso :-)

    robert

    • Pietro Pagliardini ha detto:

      Io ti posso insegnare solo che quegli edifici non potranno avere vita lunga e quindi sarà dura accada quello che è accaduto agli altri. Davvero il Karl Marx Hof è malconcio e non solo per l’intonaco! Potrà diventare però un ambiente per girarci un film sulla catastrofe post atomica. E’ sempre qualcosa, comunque.
      Ciao
      Pietro

  5. LdS ha detto:

    cazzarola pietro, mica solo la densificazione m’insegni. se non ci fossi tu! :-))))))

    robert

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