EFFETTOBILBAO …

“Caro Professore
una volta tanto faccio un po’ di pubblicità diretta e non occulta al mio blog per segnalare la piacevole sorpresa che mi hanno fatto due commenti da parte di un blogger e di un sito di Bilbao ad un post che, commentando il libro di Giandomenico Amendola, Tra Dedalo ed Icaro, e riferendomi a quello che lui scrive, mostra la fine del così detto “effetto Bilbao”.

Un chiarimento sull’effetto Bilbao
L’effetto Bilbao è finito, ma si sono dimenticati di dircelo

Leggendo i commenti e andando a visitare il sito About Basque Country se ne ricava una realtà del tutto diversa da come ce l’ha raccontata la vulgata architettonica italiana, supportata dai media e strumentalizzata da sindaci e amministratori smaniosi di opere d’impatto, tanto spettacolari quanto inutili, scorciatoie adatte a nascondere il vuoto di idee e di iniziative per il rilancio delle proprie città.
Gli amici baschi si sono mostrati stupefatti di questa cosa e secondo me non hanno, giustamente, capito nemmeno bene come sia possibile che vi sia chi pensa che una sola opera possa imprimere una svolta alle sorti di una città, e affermano che “con o senza Museo” Bilbao sarebbe rinata ugualmente. Arrivano a dire che non hanno cercato la visibilità internazionale, proprio quella che invece i nostri strateghi indicano come la soluzione dei mali e a cui affidano le magnifiche sorti e progressive. Non sminuiscono l’importanza del Guggenheim ma lo inseriscono in un contesto di scelte importanti di risanamento ambientale e urbano e soprattutto di nuova industrializzazione nel campo farmaceutico, aerospaziale, tecnologico.

Soprattutto sono entusiasti della propria città, trasudano orgoglio e senso di appartenenza e hanno una visione ottimista della vita.
Quante balle abbiamo letto sull’effetto Bilbao? Quanta disinformazione è stata fatta? Quanti giovani e meno giovani architetti sono caduti nella trappola?

Chiudo con una notazione: sia nei due commenti che nell’articolo del sito non c’è mai, dico mai, il nome di un architetto, e sì che ne hanno utilizzati di famosi!
Per me è un segno di grande serietà e intelligenza non immaginare nemmeno lontanamente che vi sia l’architetto demiurgo cui affidare la rinascita di una città.
Meditate gente, meditate!
Cordiali saluti
Pietro Pagliardini

Blog De Architectura:  http://www.de-architectura.com

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29 risposte a EFFETTOBILBAO …

  1. ctonia ha detto:

    Si, Pietro, sono d’accordo… ma… Vorrei vedere che “fine” farà quel grande ammasso di ferraglia fra trent’anni… Se resiste (non solo fisicamente, ma nella testa della gente e della città) siamo fritti, vuol dire che aveva ragione Pol Gherri! :-)
    Tocca aspettare…
    (Sarà che mi è piaciuto il grattacielo di Gehry a NY, rivestito di una camicia mossa dal vento… mah… oppure la vecchiaia mi sta facendo rinc.)

  2. biz ha detto:

    Pietro, penso che la verità stia nel mezzo. Certo, Bilbao ha avuto un programma più vasto, il Guggenheim di Gehry è stato solo un elemento (e tra le altre chicche, anche la passerella scivolosa – ma a me piace – di Calatrava ha avuto la sua parte). Ma sicuramente ha avuto un impatto forte, probabilmente determinante sul turismo a Bilbao, credo che nessuno lo possa negare. Tra l’altro, non credo che la gente di Bilbao sia più adatta di altri per giudicare questo fatto, è vero semmai il contrario.

    Però è anche vera un’altra cosa: che un Guggenheim a la Gehry va bene una volta, come unicum, non se ogni città si dota di un coso più o meno simile a quello … Peraltro, a quanto pare, il ns Frankie O. si direbbe si stia un po’ moderando, credo a causa delle cause legali (aha, il giuoco di parole …) vedi qui
    http://www.dezeen.com/2011/01/26/new-world-centre-by-frank-gehry/

    • pietro pagliardini ha detto:

      Mi sa che hai proprio ragione biz: progetto “normale”, cioè una scatola, più facilmente difendibile dalla perfidia antichista dell’acqua, e dentro si è sbizzarrito.
      Praticamente un Renzo Piano di fuori “arredato” da un Gehry dentro.
      La crisi mette giudizio.
      Ciao
      Pietro

    • Estimado Biz
      (disculpas por escribir en castellano)

      Nadie niega la importancia del Museo, mucho menos yo que fui uno de sus defensores cuando en Bilbao habia una dura oposición a su construcción.

      Lo que intento explicar es que el turismo en Bilbao, tiene una importancia relativa, no vivimos del turismo. Vivimos de la induustria, el comercio y los servicios.

      Lo que intento explicar es que el objetivo de la transformación de Bilbao no era convertir a esta ciudad un referente mundial (los bilbainos no lo necesitamos, ya que sabemos que Bilbao es la capital del mundo, aunque el mundo aun no se ha dado cuenta). El objetivo era regenerar la ciudad, hacer el 15 años lo que la dictadura de Franco no hizo en 40. Crear una ciudad más pensada para las personas, recuperar los margenes de la ria del Nervión que estaba ocupada por isntalaciones portuarias o industriales abandonadas.

      la diferencia con otras actuaciones que buscan el “efecto Bilbao” es que ene stos casos sí se busca ese efecto de prestigio internacional. Es el único objetivo, lo cuál, desde todo punto de vista, es un error
      Le recomiendo que visite el blog
      http://www.de-architectura.com
      de Pietro Pagliardini (al que le agradezco sus atenciones) Allí he colocado algunos datos que pueden ayudar a entender mejor lo que está pasando en Bilbao y el todo el Pais Vasco.

      Un saludo desde el Pais de los Vascos

      Javier Perez

  3. pietro pagliardini ha detto:

    ctonia, il problema mi sembra essere, rispetto a questa vicenda, non tanto il valore dell’opera, che tra l’altro ha una sua suggestione, ma L’USO propangandistico che ne è stato fatto, almeno in Italia.
    Proverei a fare su questo blog una ricerca di Bilbao, Gehry ecc. per vedere cosa c’è scritto.
    Ti ricordi certamente, perchè è roba di poco tempo fa, i discorsi sull’effetto Bilbao.
    A me sembra sintomatico di malafede, provincialismo, più che di internazionalità, mancanza assoluta di idee, della politica, prima di tutto, ma anche della nostra categoria e del mondo della cultura.
    Hai letto, spero, quello che dicono gli abitanti di Bilbao e quanta importanza attribuiscono a fatti sostanziali invece che affidarsi al “nome”!
    Ciao
    Pietro

    • ctonia ha detto:

      D’accordo, succedeva anche ai tempi del moderno italico, anni Venti, anni Trenta, c’erano sempre quelli che guardavano con la bava alla bocca quello che facevano gli eroi del MM, poi Terragni intanto progettava il Danteum o Sironi dipingeva i suoi quadri.
      Insomma, mica tutti se la bevevano, allora come oggi.
      ciao
      c

  4. Riccardo del Plato ha detto:

    Credo che l’intervento di cui sopra voglia porre 2 accenti preoccupanti diventati consuetudine nel nostro paese.

    1_L’espropriazione della antica identità naturale tra uomo e città. Innegabile scorgere una serie di interventi scollegati e sciatti, che mal si propongono alla identificazione dei cittadini.
    2_La mancanza di istruzione artistica-architettonica che si sente nella nostra gente. Le nostre città dal dopoguerra in poi sono cresciute con lo stile economico della palazzina, dimenticando la naturale evoluzione degli stili, del gusto, della tecnologia.

    Diciamoci la verità, tutte le nostre città sono uguali, cambiano solo i centri storici, costruiti con maggior attenzione e “carattere”.

    Vogliamo l’effetto Bilbao ?
    Impossibile, manca la progettualità, partire da un progetto completo e modulare, che cresca e si sviluppi nel tempo.
    Un edificio da solo non fa la differenza.

    Vorrei citare il caso di Barcellona, che io ho avuto il piacere di visitare prima e dopo le olimpiadi del 1992.
    Beh è stato fatto un lavoro di recupero enorme, sembravano due città diverse. Se andiamo a guardare solo l’architettura commettiamo un errore, la gente quella è stata cambiata, la sua mentalità, si è riconosciuta in una nuova città, più bella, funzionale e vivibile.

    In Italia si sprecano risorse enormi per far arricchire costruttori e politici. Si costruiscono isole nel deserto che dopo pochi anni muoiono della loro stessa solitudine.
    E la gente… ama parlar male, quindi tutto ciò diventa pane per i suoi denti.

    Ps adesso mi saltate addosso….
    Renzo Piano a Parigi più di 30 anni fa riqualificava il Marais (grazie ad una grande mr. Beaubourg), a Roma invece 20 anni dopo “c’avemo gli armadilli”. Ditemi voi che effetto Bilbao vogliamo ottenere ?

  5. stefano salomoni ha detto:

    Sig/Sig.ra Ctonia,
    se può consolarla, anche io trovo interessante il progetto per un grattacielo a NY di Frank Owen Ghery (mal comune…).
    E’ una impronta costretta, obbligata dalla verticale, non esportabile. L’énigme de l’oracle dechirichiano tradotto a distanza di cento anni.

  6. pietro pagliardini ha detto:

    ctonia, va bene, niente di nuovo sotto il sole!
    Ma insomma non è un buon motivo per non segnalare il clamoroso abbaglio, in gran parte strumentale, in parte frutto di semplice abitudine a recepire il luogo comune (ma è su questo che gioca chi ne fa strumento) preso da architetti, professori universitari, riviste e quant’altro! Una buona parte delle “politiche” urbane degli ultimi anni si è esplicitata proprio su questo equivoco: l’opera simbolo come motore di sviluppo. Vorrei sapere quante città hanno almeno provato a fare invece come Bilbao ha fatto realmente! E poi, quanti guasti ha fatto sulla cultura dei giovani architetti!
    Dovremo pur dirlo e denunciarlo, altrimenti cerchiamoci i nostri lavori, cerchiamo di riscuoterli, però smettiamola di riempirci la bocca di architettura!
    Di seguito qualche link trovato con “effetto bilbao”.
    Ciao
    Pietro
    http://www.uniroma2.it/didattica/ACALAB2/programma.html

    Fai clic per accedere a La%20Margonara%20di%20Fuksas.pdf

    http://www.unideadicitta.it/articoli-unidea-di-citta/55-marzo-2010/101-come-cambia-il-volto-della-citta.html
    http://www.architettiroma.it/archweb/notizie/9775.aspx
    http://aquilialberg.nova100.ilsole24ore.com/2009/09/effetto-bilbao-alla-triennale-di-milano.html
    http://www.arc.usi.ch/en/index/museo_architettura.htm

  7. mauro ha detto:

    http://mexilios.blogspot.com/2007/11/frank-gehry-chez-les-simpsons.html

    Per fortuna, in Italia, intanto, avevamo Terragni e Sironi….. “Umanisti classico-rinascimentali” del Razionalismo italiano, diceva qualcuno.
    Mauro

  8. Pietro Pagliardini si ostina a dimostrare da anni che l’architettura contemporanea, in particolar modo quella fatta dai grandi architetti che voi chiamate archistar, è un male per la società.
    Non ci riuscirà mai e Bilbao ne è la dimostrazione.
    Gli spagnoli ci tengono a precisare che Bilbao non è una città che vive solo di turisti, mi sembra normale, ma provate voi a trovarmi qualcuno che sia andato a Bilbao per turismo prima della costruzione del Guggenheim.

    • pietro pagliardini ha detto:

      Dal tuo commento sembra che tu ed io, antonio marco alcaro, siamo accomunati dalla sindrome dell’ultimo giapponese: io a combattere contro le archistar e tu a rimanere aggrappato al mito del pellegrinaggio a Bilbao, nonostante i baschi ti dicano altro, per giustificarle.
      C’è un aspetto grottesco indubbiamente.
      Ora non c’è dubbio che i turisti siano andati a Bilbao per il museo, o meglio per quell’edificio di grande richiamo, ma pare che questo effetto sia esaurito o fortemente ridimensionato mentre non sembra esaurita la parte strutturale dell’operazione Bilbao, come conferma il commento di About Basque Country, dei commentatori nel mio blog e i vari siti che ci è stato consigliato di visitare.
      Resta intatto il provincialismo e l’approssimazione di un paese, il nostro, che si affida ai grandi architetti, come li chiami te, come rianimatori di città ammalate. Fenomeno parallelo a quello dei comuni che decidono di giocare al superenalotto (ma almeno non gettano milioni euro) nella speranza di risanare il bilancio! Se vincono, certo, hanno avuto ragione, ma quante probabilità esistono che accada?
      Opere di archistar e grandi eventi (sempre con contorno di architetti) non mi sembra che siano la soluzione. Anche Torino, ad esempio, che pure delle Olimpiadi invernali ha saputo fare buon uso, ha evidenziato recentemente con il caso FIAT-Marchionne, quanto sia strutturalmente effimero uno sviluppo basato solo sugli eventi, sui servizi, sulla spettacolarizzazione: se fossero andati a casa 5.000 operai FIAT + 10.000 dell’indotto chi si sarebbe potuto permettere “cultura” ed eventi? Pochi, molto pochi.
      A Bilbao non hanno invece questo problema, pare, e il museo è qualcosa in più, senza il quale tuttavia vivrebbero ugualmente bene. Lo dicono loro, non io.
      Ti riconosco però il merito di essere l’unico, tra i molti “pellegrini”, che si è fatto vivo per riconfermare la sua convinzione. Gli altri sembra si siano dileguati.
      Ciao
      Pietro

  9. pietro pagliardini ha detto:

    robert, non ne dubito.
    Ti rispondo così:
    Rovereto, Provincia di Trento.
    ANNO 2006
    Entrate pro capite della REGIONE Veneto (la tua) € 13.313
    Entrate pro-capite della PROVINCIA autonoma di Trento: € 14.300 circa
    Entrate pro-capite della PROVINCIA autonoma di Bolzano: € 14.300 circa
    Una intera regione ha entrate inferiori ad una sola provincia autonoma.
    Senza voler nulla togliere all’operazione MART e all’efficienza trentina.
    Fonte:

    Fai clic per accedere a SeilVenetofossespeciale.pdf

    Nel corriere delle Alpi c’è anche scritto che alle ore 20,00 la temperatura è di 8° e ci sono nubi sparse.
    Ciao
    Pietro

    • LdS ha detto:

      pietro, guarda che io non ho fatto nessuna domanda…

      • LdS ha detto:

        ‘n attimo… c’è qualcosa che mi sfugge… se i valori che riporti sono pro-capite perchè un’intera regione che fa quasi 5 milioni di abitanti dovrebbe avere entrate inferiori ad due province che, assieme, fanno poco più di 1 milione? tra l’altro, sinceramente, pensavo che ci fosse ben di più di mille euro di differenza tra noi e i gli abitanti delle due province autonome, meglio così.

      • Pietro Pagliardini ha detto:

        La tua obiezione sulle entrate globali è giusta e io ho proprio sbagliato. Se guardi però lo stesso link, al grafico 1, vedrai che le entrate dalla Stato, cioè i trasferimenti, alle province autonome di trento e bolzano sono, pro-capite, 4 volte superiori a quelli del Veneto.
        La fonte è la regione Veneto.
        Insomma, si sa bene che le due province autonome sono ricche anche, non solo, perchè ricevono dallo stato somme ingenti.
        Quanto alla domanda che tu non hai fatto, non è raro che si comment se c’è qualcosa da dire (magari di sbagliato come ho fatto io), anche senza una domanda preventiva. Almeno mi risulta.
        Siamo fatti schizzinosi!
        Vorrà dire che la prossima volta interverrò solo se c’è un punto interrogativo.
        Ciao
        Pietro

    • Riccardo del Plato ha detto:

      mi associo alla curiosità circa il “pro capite”.

  10. isabella guarini ha detto:

    “…no vivimos del turismo. Vivimos de la industria, el comercio y los servicios” Così About Basque Country, che ci conferma l’estraneità dell’intervento al contesto socio-economico di Bilbao, che era una città metallurgica in trasformazione a causa delle dismissioni industriali. In molte città europee e italiane si è coltivato il mito della riconversione delle aree industriali dismesse in aree di attrazione turistica, sull’esempio di Bilbao, ma la ricetta non ha funzionato. Infatti, a pochi anni dalle realizzazioni, i risultati non corrispondono alle aspettative. Figuriamoci fra trenta anni o cinquanta, quando la rapida obsolescenza, cui sono sottoposti gli edifici ad alta tecnologia, avrà compito il suo ciclo. Ritorna il mito, se pur al contrario, dei grandi Palazzi delle Esposizioni Universali che dovevano servire a lanciare l’architettura dei nuovi materiali, ferro–vetro-cemento. Il Palazzo di Cristallo di Joseph Paxton per la prima esposizione del 1851 in Londra, vinse sugli altri perché offriva rapidità di costruzione e poteva essere smontato e rimontato in altre occasioni. Il suo pregio era nella trasferibilità, al tempo stesso causa della sua distruzione perché vulnerabile agli incendi, come quello del 1936 di New York, che lo distrusse completamente e per cui Winston Curcill disse che l’incendio del Crystal Palace segnava la fine di un’epoca. Invece, la caratteristica del Museo di Bilbao è la presunzione di rendere imperiture le forme che assumono le cose quando si trasformano in rifiuti.

  11. sergio43 ha detto:

    Vorrei un’opinione da parte di Isabella sulla riconversione del Centro Siderurgico di Bagnoli. Ho avuto modo di vedere in una conferenza alcune foto in cui la proposta ben si sposava con la salvaguardia archeologica di alcuni elementi del vecchio Centro. Da quel poco che ho potuto vedere credo che siamo ben lontani dal compimento dell’interessante progetto. Voglio ricordare che, quando l’Ente “America’s Cup” dovette scegliere il campo di regata tra Valencia e Napoli per la sfida del 2007, scelse la città spagnola per i miglori servizi offerti, scelta che si è ripetuta per la sfida del 2010. Se Napoli riuscisse a definire e completare per il prossimo scontro previsto per il 2013 la struttura complessa e completa di Bagnoli in modo di poter ospitare le regate e tutto ciò che gira intorno a questo evento, non pensa, Isabella, che, come per Bilbao, se ne avvantaggerebbe la città tutta?

  12. isabella guarini ha detto:

    @sergio43
    La vicenda della dismissione di bagnoli siderurgica e della sua riconversione è lunga e complessa perché s’intreccia con il disinquinamento dell’area e del mare antistante che c’è costato un occhio della fronte e ancora non è completato. L’errore basilare dal punto di vista urbanistico è stato quello di non aver fatto un concorso di progettazione per l’intera area, come una parte di città eliminando i confini della vecchia zona industriale e rendendola parte urbana integrata con il contesto. Si sono fatti concorsi separati, per il parco per il centro benessere, centro sportivo, per sottozone funzionali, che non producono effetto urbano. Si è usata la stessa metodologia applicata all’Ara Pacis e al concorso per la sistemazione di Piazza Augusto Imperatore a Roma. Inoltre, a causa del prolungarsi del costoso disinquinamento, gli investimenti, per attività turistiche, servizi e residenza, porto e infrastrutture di trasporto, variano continuamente in rapporto alle occasioni di finanziamento, com’è appunto l’America’s Cup rispetto alla quale mi permetto di esprimere forti dubbi sulle capacità salvifiche perché la conca di Bagnoli è chiusa dalla Collina di Posillipo e dall’Isola di Nisida, dal Cratere di Pozzuoli, il mare e la densa edificazione del Quartiere popolare di Cavalleggeri e Fuorigrotta. È vero che il mare sarebbe l’unica via di facile accesso, ma non ci sarebbe l’entroterra necessario per lo svolgimento dell’American’s Cup.
    A dimostrazione della separatezza con cui è pianificato il territorio, c’è da riflettere sulla proposta di riconversione dell’area Sofer di Pozzuoli, a pochi passi da Bagnoli, per farne una scuola di Vela con la stessa aspirazione dell’American’s Cup. Tante monadi senza porte e senza finestre che appestano l’aria!
    Per Pozzuoli vedere il sito:

    Per Pozzuoli visitare il sito:

    http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:YLIBKasvnikJ:corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/cronaca/2009/19-maggio-2009/progetto-waterfront-nuova-pozzuoli-nascera-macerie-sofer-1501371223216.shtml+progetto+area+sofer+pozzuoli&cd=2&hl=it&ct=clnk&gl=it&source=www.google.it

  13. sergio43 ha detto:

    Ringrazio Isabella per la cortese e puntuale risposta e per il link allegato. Pensavo, ingenuamente, che l’operazione Bagnoli, cui aggiungo il progetto per Pozzuoli che non conoscevo, potesse essere, con le dovute differenze, qualcosa di simile a quanto è avvenuto a Barcellona nell’occasione dei Giochi Olimpici del 1992. Tutto ciò mi convince che uno dei più bei titoli della nostra letteratura é “Il mare non bagna Napoli” della Ortese, il mare inteso come motivo di stimoli e di speranza..

  14. isabella guarini ha detto:

    Per molto tempo, dopo Barcellona, politici e architetti, quelli che contano, hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica l’esempio delle Olimpiadi di Barcellona del 1992, perché il grande evento offriva la disponibilità di finanziamenti pubblici straordinari, che per Napoli rappresentano la continuità con quelli che si avvicendano dall’Unità d’Italia all’Unione Europea. Interventi straordinari che si sostituiscono all’ordinario senza soluzione di continuità. Devo dire che, prima del 1992 e del 2000 anno dell’Euro, l’esempio più acclamato dalla cultura architettonica accademica era l’IBA, Internationale Bauausstellung, di Berlino, sotto l’influsso della rivista Casabella. In sintesi, Napoli ha sempre estrapolato dagli altri contesti le modalità che consentissero profonde trasformazioni con l’intervento pubblico. Il terremoto del 1980 offrì l’occasione tanto attesa, poi il bradisismo di Pozzuoli del 1982/83, ma le applicazioni dei modelli tanto decantati non hanno dato i risultati attesi. Così negli anni novanta si passò a Barcellona per il viatico delle archistar.

  15. pietro pagliardini ha detto:

    Cara Isabella, mi pare di capire tu voglia dire che ciò che agli altri, in un modo o nell’altro, riesce, a noi non riesce mai.
    Indubbiamente Berlino post-muro e Barcellona post-olimpica sono migliorate, come pure è trasformata in meglio Bilbao. Berlino però è solo la punta dell’iceberg di colossali investimenti nella Germania ex comunista, ed è un caso davvero unico al mondo che verrà ricordato nei libri di storia come una svolta epocale.
    In Italia forse qualche giovamento l’ha avuto Genova dalle Colombiadi perché in qualche modo è stato riscoperto il rapporto con il mare, grazie all’acquario e alle altre opere di Renzo Piano, ma per il resto non so se Genova abbia risolto i suoi problemi legati alla de-industrializzazione. Anche Torino ha saputo dare un’immagine diversa di sè, grazie alle olimpiadi invernali, rispetto a quella che aveva cucita addosso di città operosa ed operaia ma alquanto tristanzuola. Però la sua sopravvivenza (e non solo sua) resta, a quel che sembra, legata alla FIAT, cioè al lavoro e agli investimenti industriali.
    Insomma l’architettura, ma direi la qualità urbana, ha certamente il suo ruolo, non foss’altro per i residenti e per l’orgoglio e lo stimolo che offre loro il poter vivere in una città godibile e ambientalmente risanata, ma affidarsi solo a questa mi sembra pura demagogia e presunzione da architetti (e da amministratori disinvolti). Questo, invece, ci hanno sempre voluto far credere. Basta rileggersi qualche titolo di giornale e di blog del recente passato.
    In fondo siamo sempre all’annoso problema se l’ambiente urbano, l’organizzazione dello spazio sia la causa del degrado sociale oppure, all’inverso, se possa “risolvere” il degrado sociale, se la forma della città possa dare la “felicità” e migliorare i rapporti sociali.
    Io sono convinto che la qualità urbana sia un fattore necessario ma non sufficiente, cioè una città degradata induce e favorisce comportamenti asociali e disagio, ma una bella città non garantisce il contrario, può solo creare le condizioni di base, l’ambiente giusto, perché ciò accada.
    Io porto sempre il paragone dei figli: è facilissimo sbagliare e peggiorarli, ma è difficilissimo farli diventare migliori.
    Ciao
    Pietro

  16. salvatore digennaro ha detto:

    A proposito del libro del Prof. Amendola che non ho letto, ma da quello che dice Pagliardini, l’autore mostra delle perplessità su operazioni di marketing urbano come quella di Bilbao.
    Da questo deduco che Amendola sta rivedendo le proprie posizioni, infatti essendo stato il mio insegnante di Sociologia urbana, ricordo l’entusiasmo con cui, circa 12 anni fa, ci parlava proprio di Bilbao, degli architetti americani come stars e sopratutto degli shopping-mall di 4° generazione come le nuove piazze dell’occidente. A volte assistevamo alle lezioni con un pò di angoscia causata dalla sensazione di vivere un “ritardo culturale” incolmabile nella nostra periferica provincia pugliese e di essere fuori dal sistema.
    Cambiare idea, di fronte all’attuale scenario, è segno di intelligenza.

    • Pietro Pagliardini ha detto:

      salvatore, non farmi attribuire ad Amendola pensieri che forse non ha. Io mi sono limitato nel mio blog a riportare alcuni passi del suo libro in cui dice esattamente questo:
      “Gli stessi casi di Glasgow e Bilbao, sin qui ritenuti esempi da manuale di esplosione di creatività urbana, vengono oggi riconsiderati criticamente. Le crepe che si sono aperte nelle loro economie dopo una felice ma breve stagione di crescita stanno mostrando come la creatività di per sé non sia sufficiente se non innesca un processo sequenziale, cumulativo e tendenzialmente irreversibile di innovazioni produttive, organizzative e politiche”.
      Non dubito affatto che precedentemente abbia affermato quanto tu dici perché si intuisce, da altri passi del libro, che ha una visione della società che definisco “modaiola” e metropolitana, per farla breve. Però se ha cambiato idea, in tutto o in parte, dimostra, come dici te, intelligenza e attenzione verso la realtà.
      Ciao
      Pietro

  17. isabella guarini ha detto:

    Caro Pietro, ti ringrazio per aver messo in evidena ciò nel mio post era latente. Infatti, non penso che la semplice qualità urbana, in senso edilizio, possa risolvere le questioni sociali. Eppure, in molti volevano convincerci della identità tra etica ed estetica, nonostante la storia mostri continue smentite. Non dobbiamo dimenticare che alcuni interventi di risanamento e ristrutturazione urbana, vedi il Risanamento di Napoli, sono stati causa di ulteriore degrado sociale e corruzione.
    Tuttavia, fino a un certo punto le opere e le grandi trasformazioni urbane sono state considerate di pubblica utilità perché servivano ad assorbire mano d’opera in esubero e a risvegliare l’economia per un tempo lungo. Invece, l’architettura globale dei nostri giorni, tende a trasformare la pubblica utilità in inutilità,a causa della rapida obsolescenza tecnologica, architettonica e simbolica.

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