Dopo qualche mese, Luca Nicotera ci scrive di nuovo a proposito dello stato di salute del Foro …
“Caro Prof. Muratore,
riapprofittando del suo blog le scrivo, a un anno di distanza, per riparlarle del Foro Italico. Un anno fa la palestra del duce, ora la Casa delle Armi, ma il travaso di bile è sempre lo stesso. L’unica consolazione è quella di ritrovare, oggi come allora, figure generose che con studio e impegno (parole che ormai appaiono superate in ampie sfere dell’agire umano) portano alla luce risultati meritevoli dell’attenzione di tutti.
Stavolta l’occasione per scriverle è stata data dalla recente conferenza sulla Casa delle Armi tenutasi il 26 ottobre nella sala convegni dell’Ostello delle Gioventù (in occasione dell’ottavo anniversario del Comitato per il Tevere) durante la quale è stato presentato anche un sorprendente rinvenimento all’interno del complesso del Foro.
Gliene riporto, con ordine, alcuni passi.
La prima parte della conferenza è stata riservata specificatamente alla Casa delle Armi, di recente liberata dalle sue trentennali (e incongrue) mansioni giudiziarie. Grazie al lungo e meritorio lavoro di studio e rilievo svolto dagli architetti Marco Giunta e Alessandra Nizzi abbiamo potuto “ammirare” lo stato attuale del manufatto (soprattutto per quanto riguarda gli interni). Tutti immaginano che ci sia da mettersi le mani nei capelli… no! C’è proprio da mettersi a piangere! Volutamente non scenderò troppo nel dettaglio, anche per non rubare spazio al libro di prossima pubblicazione dei due studiosi che ne rivelerà tutti i particolari (molti dei quali, tra l’altro, non presenti nemmeno nei disegni dello stesso Moretti, ma desunti dal rilievo, vista la nota abitudine dell’architetto di lavorare molto “all’impronta”, dal vero). Il degrado esterno, ormai noto, avanza inarrestabile. Le pareti bianche, pulite, lucidissime al pari dei pavimenti che un tempo venivano lavati di continuo per esser mantenuti tali, sono ormai un lontano ricordo. Le blindature della facciata dell’aula bunker hanno fatto sì che si perdessero tutti i chiaroscuri delle finestre, dando vita ad un’unica facciata di marmo e acciaio, piatta, fusa, uniforme. Le vasche esterne nel migliore dei casi sono state tranciate per aumentare il numero dei parcheggi. Il rapporto tra i pieni e i vuoti è diventato quasi inafferrabile, visto il trattamento dei vuoti. Per non parlare della famosa cancellata, che nega al capolavoro del razionalismo romano il carattere di architettura “aperta” che le sarebbe proprio.
Ma il vero problema è all’interno. Personalmente sapevo che gli spogliatoi, concepiti “a vista”, fossero stati chiusi; inoltre, avendo visto l’aula bunker più volte in tv, pensavo di essermi fatto una (triste) idea della situazione. Ma osservando le immagini raccolte da Giunta e Nizzi ho capito che ero stato (forse per un mio ingenuo errore) fin troppo ottimista. Ho accusato il colpo, come si suol dire. All’interno della biblioteca si può tranquillamente affermare, in pratica, che sia stato costruito un altro edificio! Inoltre tamponature, chiusure, bagni infilati in posti impensabili, superfetazioni ovunque, per un totale di 2000 mq di aggiunte (basti pensare che la superficie totale della Casa delle Armi è di 4000 mq, 6000 con le coperture)! Un recente libro di Carlo Melograni sull’architettura italiana sotto il fascismo porta come sottotitolo “l’orgoglio della modestia contro la retorica monumentale”. Parafrasandolo, qui potremmo affermare “la modestia dell’orgoglio nei riguardi di un monumentale oblio”. La sublime invenzione di Moretti infatti, quella di un volume vuoto, simbolico, plastico, uno spazio moderno e classico al tempo stesso, un’architettura che è il “capolavoro del particolare”, dove, per esempio, tutti i passaggi dalle chiusure orizzontali a quelle verticali sono ottenuti con curvature originali, studiate, affatto semplici (non il classico quarto di cerchio insomma…), è ridotta, quasi per una sorta di contrappasso, a un volgare magazzino, a un deposito dell’ignoranza.
Nemmeno rincuora il fatto che negli anni ’70, quando già il degrado era in fase avanzata, si sarebbe potuto intervenire per tempo recuperando quasi tutti gli elementi del progetto originale. Questo nonostante già sul finire degli anni ’60 alcuni vandali avessero rubato la maggior parte dei mobili, dando fuoco, sul posto, ad altri; nonostante la sparizione della statua del pugile, ritrovata poi nei sotterranei immersa nel fango; nonostante la pur volenterosa sostituzione di alcune lastre di rivestimento andate perdute (volenterosa ma imperfetta, visto che le precedenti lastre prevedevano un proprio alloggiamento in piombo per non farle saltar via, mentre le nuove appoggiavano su dei semplici perni di fissaggio che col tempo si sono deteriorati, provocandone lo scollamento). Non lo si è fatto, perdendo così una grande occasione, anche perché la malsana abitudine dei giornali dell’epoca descriveva la Casa delle Armi come “una palestra minore del Foro Italico”! Sembra quasi che abbia dovuto espiare il periodo storico in cui venne realizzata, in nome di una damnatio memoriae che non ha contemplato e non contempla esclusivamente questo caso. Così si è data risposta a colpe e peccati pregressi con errori e mancanze che hanno dato origine a vere e proprie eresie culturali.
L’architetto Alfredo Passeri, nella seconda parte della conferenza, ci ha fornito un po’ di dati, formulando, oltretutto, alcune sue ipotesi su quanto poter fare per recuperare l’edificio. Innanzitutto eliminare, naturalmente, tutti gli orpelli aggiunti nel corso degli anni; poi iniziare un restauro consapevole, con la scelta, che possa essere il più condivisa possibile, tra la possibilità di lasciare le tracce dei cambiamenti e quella di riportare le cose al loro posto esattamente com’erano; quindi, a seconda della destinazione d’uso, pensare anche ad un adeguato progetto di impianti che, con le attenzioni del caso, non ne snaturi la fisionomia; e via dicendo. Ad una prima stima, il totale dei costi si aggirerebbe presumibilmente sui 15 milioni di euro (mentre i tempi sono molto più difficili da decifrare). Passeri, sollecitando un processo di recupero, rilievo e restauro del moderno, ha suggerito, tra le altre cose, l’istituzione di un Ente del Foro Italico o di una fondazione di partecipazioni bancarie, avendo, le banche, il mandato specifico, nei loro statuti, di sovvenzionare la cultura. Ha ricordato, inoltre, di come si tratti di un’opera pubblica, interamente finanziata dallo Stato (mentre scrivo penso che alcune volte questa parola meriterebbe di essere scritta con la lettera minuscola…), ma anche di come i privati siano riusciti ad entrarvi in tutti i modi facendo cassa.
L’ultima parte della conferenza è quella che mi ha un po’ risollevato. C’è stata una sorpresa: la presentazione del rinvenimento, nel comprensorio del Foro Italico, di una statua, la statua di un cacciatore che impugna una carabina mentre col piede sinistro schiaccia la testa di un cervo. Il ritrovamento è merito di Paolo Pedinelli, studioso appassionato delle cose del Foro (e qui c’è la felice continuità con il mio post dello scorso anno) che nel 2001 la ritrovò in mezzo alla vegetazione, ai rifiuti e alle sterpaglie, poco distante dalla strada che i Capi di Stato percorrono per andare a Villa Madama (… quasi a corollario di un quadretto che rappresenta simbolicamente la discordanza che intercorre, spesso, tra un potere in altre faccende affaccendato e il nostro patrimonio culturale). Dalle foto che le ho allegato si può notare anche come la vegetazione, nel tempo, si sia impossessata della statua; c’è una certa differenza, infatti, tra quelle scattate dallo stesso Pedinelli il 23 marzo del 2001 e quelle più recenti. Le dimensioni sono ragguardevoli: 8 mt di altezza di cui 4 di basamento. Sembrerebbe risalire al 1936 e reca, quasi seminascosta, la firma di “Tiliakos Michele”. I meriti di Pedinelli non finiscono qui. E’ sorta subito, infatti, la curiosità di dare risposta al perché questa statua fosse stata posta proprio in quel punto. C’è chi pensa che, data la sua posizione, sia un corpo estraneo al contesto; chi sostiene che (visto l’abbigliamento che parrebbe bavarese) potesse essere un omaggio all’imminente visita di Hitler a Roma; la sua ipotesi invece, che ha convinto gli esperti presenti in sala, nasce da uno studio della planimetria del complesso del Foro. Infatti, analizzando foto d’epoca, riposizionando correttamente sulle carte la poco distante “statua della giovinetta”, tracciando e studiando una serie di direttrici (come si potrà vedere dalle immagini allegate), egli ha scoperto come la statua dovesse essere (e sia) in una prospettiva totale col Foro, con le altre statue e con la stessa Casa delle Armi, rappresentando, peraltro, il punto focale della visuale che, dai ballatoi di quest’ultima, inquadra la montagna. Non solo, quindi, un vigile silenzioso che dall’alto sorveglia Roma, ma una chiara scelta di Moretti, a ennesima conferma della sua maniacale precisione sia per quanto riguarda la sistemazione puntuale delle statue all’interno del complesso, sia per quanto concerne gli studi prospettici. Un’ipotesi che sembra ampiamente credibile, dunque. Da ricordare anche l’apporto di Francesca Di Castro e Sandro Bari, che hanno avuto il merito di aiutare Pedinelli a riportare all’attenzione del pubblico questo ritrovamento.
Inutile dire che la sua passione, così come quella degli architetti Giunta e Nizzi, è stimolante, fa guardare con più ottimismo al futuro di questo complesso monumentale (perché di monumento si tratta!) ed è un riferimento per chi ha la mia età. Luigi Moretti aveva pochi anni in più di quelli che ho io quando, più di settanta anni fa, si apprestava a creare questo capolavoro. Credo, quindi, che il minimo che possa fare un quasi architetto di oggi sia di provare a tenere alta l’attenzione su questa meraviglia maltrattata, approfittando, in questo caso, dell’ospitalità del suo blog.
D’altronde, alla fine della conferenza, uscendo dall’Ostello della Gioventù, col buio, trovandomela davanti, mi ha dato effettivamente la sensazione di un corpo in agonia, che respirava a fatica, ancora vivo, ma invocante aiuto. Sì, si può dire che mi abbia chiesto lei stessa di parlare del suo stato di salute. Io non ho fatto altro che ascoltarla.
Un cordiale saluto”
L. N.




Grazie per questo resoconto, drammatico per come ci fa conoscere e intuire chiaramente lo stato vergognoso di quella architettura. Sono stato recentemente in Spagna. Moretti lo si trova dappertutto nelle architetture di famosi e meno famosi architetti contemporanei. Il confronto con la nostra situazione è purtroppo impietoso, a maggior ragione leggendo questa testimonianza. Ma forse attraverso questa qualcosa potrà iniziare a cambiare…
Riporto per intero il brano che è stato utilizzato come incipit della nostra
comunicazione lo scorso 26 ottobre
SBARRE
Un’altra storia di sbarre, o meglio, in questo caso, di palizzate riguarda il mio vecchio Bully e il suo nemico,uno spitz bianco.
Quest’ultimo abitava in una casa il cui giardino, lungo e stretto, confinava con la strada del paese che scendeva verso il Danubio,da essa era separato da un lunga palizzata verde.
I due eroi avevano l’abitudine di percorrere in su e in giù al galoppo i trenta metri della palizzata ABBAIANDO FURIOSAMENTE,per poi, arrivati in fondo, arrestarsi un attimo, e lì MINACCIARSI ed INSULTARSI CON TUTTA LA MIMICA E LE EMISSIONI VOCALI DEL PIù
SCATENATO FURORE.
Ma un bel giorno accadde qualcosa di inatteso e di molto imbarazzante per i due cani: la palizzata (…) o meglio una parte di essa, ERA STATA RIMOSSA.
E allora avvenne la cosa terribile: nella corsa superarono il punto dove, ora, la palizzata finiva, ed essi se ne accorsero soltanto quando furono
in fondo, (…) esattamente là dove la regola voleva che, appena fermi, avesse luogo un nuovo violento scambio di insulti.
I due eroi se ne stavano lì con il pelo ritto, digrignando i denti,E NON AVEVANO PIU’ NESSUNA PALIZZATA TRA LORO! Di colpo smisero di abbaiare. Esitavano? Riflettevano? No, come un sol cane fecero dietro front e tornarono di corsa,fianco a fianco, verso la parte di giardino dove C’ERA ANCORA LA PALIZZATA,per riprendere là ad abbaiare CON TUTTA L’APPLICAZIONE CHE IL CASO MERITAVA.
tratto da Konrad Lorenz, E l’uomo incontrò il cane, Adelphi 1973-(1950)
ringraziando Luca Nicotera (il cui post in occasione della visita alla Palestra del Duce avevamo notato) per aver descritto così puntualmente il senso dei nostri interventi in quella sede (ci dispiace che non si sia trattenuto al termine del convegno per scambiare due chiacchiere, comunque al.ma@inwind.it
per chi volesse conoscere il nostro lavoro);
insistiamo con il parallelo cinofilo, per manifestare il sospetto che in noti ambienti (CONI Spa) si stia lavorando sotto traccia (neanche troppo vista la velocità con la quale sta nascendo “in elevato” e quindi in ovvia antitesi con la storia e lo stile
delle realizzazioni dell’ex Foro Mussolini,il nuovo centrale del Tennis) utilizzando questo tempo morto, caratterizzato da un innaturale silenzio che ammanta il cenacolo architettonico-culturale romano e non (si esita? Si riflette?); silenzio che è sembrato seguire al simbolico crollo della palizzata metallica che
di fatto ancora avvolge l’opera di Moretti.
Il sospetto più grave, essendo stati in contatto con quasi tutti i protagonisti delle vicende che hanno ruotato intorno al capezzale della palazina della scherma in questi ultimi dieci anni: Carabinieri, Magistrati, Sovrintendenti, Politici,CONI, Esperti veri e sedicenti dell’opera di moretti,Università,Polemisti arrabbiati,
Associazioni culturali,imprese alla ricerca di
“un rilievo”(che altrimenti si può fare in una settimana!), è che il silenzio nasconda un reale spiazzamento o il bisogno di nuove palizzate (di cantiere?) poichè forse nessuno sarebbe in grado di avanzare una ipotesi seria e fattibile per il recupero
di quest’opera.
Il recupero integrale della Scherma e del suo intorno sembra poi essere sempre più difficile visto il silenzio (assenso?)della Sovrintendenza (tanto prodiga di buoni propositi) e delle varie autorità che
a vari(egat)o titolo si inseriscono nella vicenda della costruzione del nuovo centrale del tennis, che in un sito del CONI viene giustificata dall’aver rispettato (udite udite) il vincolo “bertoldesco” costituito dall’altezza delle alberature circostanti e non la fragile forma morettiana già ampliamente violata,(principio rivoluzionario che quindi
sembrerebbe aver guidato la scelta di Del Debbio prima,e di Costantini poi, di ricavare in depressione le strutture sportive del Foro, visto che i pini erano ancora dei teneri “vincoli” a livello zero).
A rompere il silenzio non vorremmo poi che uscissero di nuovo le proposte per il fantasmagorico Museo dello Sport (perchè non anche lui a Valmontone) che Pescante e Petrucci tirano fuori ciclicamente, ed i cui intenti progettuali ci ripromettiamo di postare in un secondo momento (se Giorgio Muratore sarà così gentile da ospitarci) in un intervento “antologico”.