‘NARTRA MATTONATA …

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“Dai mercati a Ostia no alla colata di cemento”

Italia Nostra e 33 comitati si mobilitano contro le varianti urbanistiche in Comune. Stop alle delibere sulle aree storiche rionali e sulle aree militari dismesse di LAURA SERLONI

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3 Responses to ‘NARTRA MATTONATA …

  1. stefano nicita ha detto:

    A parte le ovvie considerazioni sul consumo di suolo, mi sembra che a molti costruttori stia sfuggendo il reale significato della crisi che stiamo attraversando. Pensano di poter continuare a costruire con 500 euro al mq edilizia residenziale spesso scadente nel progetto, nella realizzazione e nei materiali, per rivenderla a 4000 o 5000 euro al mq in zone in cui il trasporto pubblico non si vede neanche con il binocolo. Forse è giunto il tempo di cambiare strategia per il bene di tutti…

  2. Pietro Pagliardini ha detto:

    La lettura dell’articolo mi suggerisce una considerazione, in cui io sconto però la non conoscenza dei luoghi e dei fatti e quindi mi baso su impressioni che possono essere sbagliate nel caso specifico. A parte il water front, che immagino non sia altro che una operazione squisitamente speculativa e palazzinara, leggo però “aree militari dismesse”.
    Poichè sembrerebbe accettato e accertato il fatto che la nuova frontiera della città è quella di non espandersi più andando ad occupare nuove aree libere e agricole ma deve crescere entro se stessa, con ciò favorendo una riorganizzazione dell’organismo urbano massacrato dalla compresenza di ampi vuoti accanto ad aree densamente popolate ma prive di forma urbana e di servizi, questa crescita interna non può che avvenire con un fenomeno complesso di nuove costruzione negli spazi vuoti, di ristrutturazione viaria, di demolizione di vecchi edifici non più utilizzati e fortemente degradati, da attuare con incentivi e per parti ma all’interno di un disegno tanto complesso quanto più unitario.
    Non so, ripeto, se questo sia il caso, ma se si deve dare un senso alla declamata a parole “rigenerazione urbana” (che non è l’isolamento termico degli edifici), questa non può che passare anche attraverso il riuso delle aree militari dismesse, su cui tra l’altro fare cassa per l’abbattimento del debito pubblico. Non è certo lasciandole abbandonate o trasformandole in parchi e basta che si fa cassa o ci si incammina verso una riorganizzazione della città basata su criteri “tradizionali” di densità, commistione di funzioni, pedonalità, strutturazione della rete urbana a isolati, piazze che siano degne del nome e capaci se non di competere almeno di tendere a farlo con quelle di cui sono decenni che si sente la totale mancanza.
    Forse ho tirato fuori un discorso che non vale in questo caso e forse non vale per Roma, ma certamente vale per la grandissima parte delle città italiane di media e piccola grandezza in cui ad un centro storico imbalsamato si è aggiunto quel tumore di una periferia informe e degradata dalla monofunzionalità e da pessimi interventi urbanistico-edilizi pubblici e privati, in cui è impossibile solo immaginare una mobilità diversa dalle auto private, essendo insostenibile un servizio di trasporto pubblico che possa competere per funzionalità e appeal con quello privato, data la diffusione disordinata degli insediamenti.
    Da qualche parte bisogna pur cominciare, per non ripetere la coazione italiana a tirare fuori un’idea, farci sopra bei convegni, lasciarla marcire e poi, dopo qualche anno, tirarne fuori un’altra riprendendo il giro, dicendo che quella precedente è superata. Il tutto però senza mai aver tentato di applicarla concretamente.
    Ah, l’insostenibile leggerezza e vacuità del pensiero urbanistico italiano!

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