Pietro Pagliardini commented on: IL MAESTRO DEI MAESTRI …
“Mi sono perso una settimana almeno di Archiwatch, Stamane riprendo la consuetudine e vedo le immagini degli ultimi tre post. Che mi sono perso per rivedere queste mummie? La voglia, molto estiva probabilmente, è di non razionalizzare troppo. Poi ci ripenso e razionalizzo che non c’è da razionalizzare niente.
Viste così, con distacco, a distanza sa di roba vecchia, stantia, da naftalina. Mummie appunto. Perchè insisterci sopra? Per dividersi sul niente? Perchè di niente stiamo parlando.
Non è, non può essere, argomento all’ordine del giorno. Non hanno niente da dire alla nostra società. Non hanno niente da dire all’umanità. Non avrebbero dovuto aver niente da dire all’umanità.
Non è materia spendibile se non in un ipotetico catalogo degli errori e degli orrori da non commettere: entra in aula il docente alla prima lezione, accende il proiettore, scorrono le immagini, queste immagini.”Se volete fare gli architetti, non dovete pensare a questo e a quest’altro. Così è”. Non c’è da spiegare il perchè: una mente giovane, sana e senza pregiudizi lo capisce da sola.
C’è solo una domanda da porsi: come è stato possibile tutto ciò? Quale ubriacatura del cervello ha permesso che su questo si costruissero teorie e pratiche per così tanto tempo?
Ma questa è materia da psicanalisti e psichiatri più che da sociologi.
Gli architetti non sono, non dovrebbero essere, interessati alla psichiatria.
Saluti”
Pietro





parole sacrosante Pietro … solo sull’ultimo punto mi permetto di correggerti: gli architetti dovrebbero interessarsi anche alla psicanalisi ed alla psichiatria, come diceva Vitruvio nel 1° libro, devono conoscere molte discipline, non eccellere in esse, ma conoscerle almeno per comprendere il perchè, con le loro realizzazioni, non debbano generare lavoro per gli psicologi e gli psichiatri.
Cito il maestro:
«A determinare la professionalità dell’architetto contribuiscono numerose discipline e svariate cognizioni, perché è lui a dover vagliare e approvare quanto viene prodotto dalle altre arti, questa scienza è frutto di esperienza pratica e di fondamenti teorici.
La pratica deriva da un continuo e incessante esercizio finalizzato a realizzare lo schema di un qualunque progetto, mediante l’attività manuale che plasma la materia.
La teoria invece consiste nella capacità di mostrare e spiegare dettagliatamente la realizzazione dei progetti studiati con cura e precisione nel rispetto delle proporzioni […] di conseguenza egli deve essere versato nelle lettere, abile disegnatore, esperto di geometria, conoscitore di molti fatti storici; nondimeno abbia cognizioni in campo filosofico e musicale, non sia ignaro di medicina, conosca la giurisprudenza e le leggi astronomiche […] l’architetto deve possedere una buona conoscenza storica che gli permetta di spiegare a eventuali interlocutori il significato simbolico delle decorazioni con cui egli spesso abbellisce i suoi edifici […] quindi essendo questa disciplina così vasta e ricca, per svariati e molteplici apporti culturali, non credo che uno possa da un giorno all’altro definirsi a buon diritto architetto, ma solo colui che fin dalla fanciullezza si sia addentrato per gradi in questa materia e, dotato di una buona formazione artistica in genere, sia giunto al sommo tempio dell’Architettura».
E poi ancora:
«Può sembrare forse incredibile per chi non ha esperienza, che la mente umana sia in grado di assimilare e ricordare una tale quantità di nozioni. Però ci si convincerà che ciò è possibile, rendendoci conto che tutte le branche del sapere sono in stretta relazione e tra loro collegate: la scienza nel suo complesso è infatti come un unico corpo composto di varie membra. Pertanto chi fin dalla tenera età riceve una formazione varia e articolata in ogni settore è in grado di riconoscere facilmente gli aspetti comuni e interdisciplinari fra le varie scienze e di apprenderle con notevole rapidità […] Per forza di cose un architetto non deve né può essere un grammatico alla stregua di Aristarco (di Samotracia 217-145 a.C.), non per questo però sia illetterato; né potrà essere un esperto di musica come Aristosseno (di Taranto morto intorno al IV sec. a.C.), ma nemmeno un perfetto ignorante; né un pittore al pari di Apelle, eppure dovrà saper disegnare; né uno scultore del livello di Mirone o di Policleto, avendo tuttavia delle cognizioni plastiche; né, per finire, un medico come Ippocrate, ma neppure sarà inesperto di medicina; né di eccezionale bravura nelle altre scienze, ma nemmeno un incapace […] In tutte le altre discipline vi sono molti, se non proprio tutti, argomenti di discussione comuni. Ma la perfetta realizzazione di un’opera frutto di un lavoro e di un’applicazione costanti è compito di chi si è specializzato in un settore specifico. Mi sembra dunque aver già fatto abbastanza chi possegga una conoscenza sia pure superficiale dei dati teorici fondamentali delle discipline utili in campo architettonico così da non trovarsi in difficoltà qualora occorra valutare e decidere sul loro impiego […] Quindi, poiché non a tutti indiscriminatamente, ma a pochi individui è concesso di avere un tale ingegno per dote naturale, il compito dell’architetto deve essere quello di esercitarsi in tutti i campi e, data l’enorme quantità di nozioni indispensabili, ragion vuole che egli inevitabilmente non possa raggiungere il massimo della conoscenza in ogni settore, ma si accontenti di un livello medio»
La breve lettura di questa citazione vitruviana ci aiuta dunque a comprendere che molti di quelli che ci è stato fatto credere essere i grandi maestri del Novecento, sono in realtà stati solo dei gran ciarlatani, dei cattivissimi maestri che hanno avuto solo la fortuna di trovare un terreno “culturale” fertile su cui far crescere le loro assurde convizioni di onnipotenza, a discapito della gente comune, che non ha mai compreso il senso di ciò che le si propinava, né mai potrà comprenderlo perché senso non ha mai avuto, chcchè ne dicano i sostenitori della necessità di “educare la gente al moderno e al contemporaneo”
Ciao
Ettore
Diciamo che avrei dovuto scrivere: gli architetti non dovrebbero interessarsi di psicotici!
Dissento totalmente, Pietro. E’ troppo comodo, è una scorciatoia, e sappiamo bene – porco mondo, abbiamo i capelli bianchi – che le scorciatoie vanno bene per poche persone abili, non per milioni di persone. Questi sono gli esiti del pensiero architettonico nel ‘900, ma non derivano da un impazzimento di singoli architetti, ma di tutto un insieme di forze, produttive e di pensiero, che hanno tentato strade di quel genere. Roba di 250 anni. Non cosine che basta un’alzata di spalle.
Perchè vedi, le battaglie che aspettano l’urbanistica in questo secolo avranno bisogno di tutta la forza di antitesi possibile per respingere quelle idee sbagliate, che si ripresentano, imbellettate come una vecchia troia con la plastica facciale più trucchi e photoshop assortiti.