Werner Oechslin, Le radici tedesche dell’architettura moderna, gli esordi del Werkbund e di Mies, pubblicato recentemente da Umberto Allemandi, raccoglie, concludendoli con un poscritto, due testi “Politico, troppo politico … i “nietzschini”, la Wille zur Kunst” e il Deutsche Werkbund prima del 1914” e “Il percorso coerente di Mies contro il formalismo e il determinismo: un’arringa sui criteri da seguire in architettura”, già pubblicati dall’autore in sedi diverse a partire dalla fine degli anni novanta.
Nel panorama desolato dell’editoria di questi ultimi tempi, un contributo serio, straordinario e illuminante su alcuni momenti fondamentali della cultura architettonica contemporanea che dovrebbe essere proposto come lettura obbligatoria per quell’esercito di cialtroni, analfabeti e arroganti, che si riempe la bocca, e non da oggi, di modernità, di avanguardia, di utopia, di storia e di teoria, …
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Improvvisamente si elevano grida contro l’architettura delle archistar, mentre poche sono state le voci del dissenso negli ultimi quindici anni e la diffusione mediatica ha raggiunto livelli apicali. La crisi economica impone un ritorno alla riflessione. Dove eravamo rimasti quando è scoppiata la catastrofe metamorfica? Possiamo saperlo rileggendo i “vecchi di stampa”, ovvero i libri sull’opera dei maestri del Movimento Moderno. Così la ripubblicazione del libro di Werner Oechslin su le radici tedesche dell’architettura moderna potrebbe riaprire nuove riflessioni, nonostante tutto, perché il tempo non può essere passato invano. Mi consento, perciò, di fare alcune personali deduzioni dall’opera di Mies Van Der Rohe. La prima riguarda lo studio della pianta, l’organizzazione planimetrica della casa e degli altri tipi in cui ricorre la costante distribuzione lungo l’asse longitudinale nella forma rettangolare, secondo una successione di spazi, ivi compreso il patio interno, che ricorda quella della casa pompeiana. Ciò può essere facilmente dimostrato dal confronto con la pianta di alcune importanti case pompeiane, la Casa delle Nozze d’argento, la Casa del poeta tragico, o altre inserite nel tessuto delle insule urbane con variazioni dimensionali e adattamento del modello distributivo tipico. La similitudine è rilevabile nel Padiglione tedesco per l’Esposizione Universale di Barcellona del 1929 in cui vi è la deroga al modello classico nella non coincidenza dell’asse geometrico con l’asse visivo principale, spostato su un lato, dall’ingresso verso la corte interna. Nella casa per l’Esposizione di Berlino del 1931 la distribuzione lungo l’asse longitudinale è conservata e sono aggiunte altre deroghe alla rigida geometria rettangolare, con i setti portanti che consentono allo spazio interno di aprirsi verso l’esterno, senza che il centro, il cuore della casa, perdi di interiorità. Ma, la principale lezione dell’opera di Mies Van Der Rohe prescinde dal tipo edilizio e attiene alla tradizione dell’arte del costruire nei dettagli, nelle discontinuità materiche tra mattoni e acciaio in facciata, nella composizione dei profilati metallici con modulazioni chiaroscurali passaggio dal sistema principale delle travi portanti a quello secondario delle facciate continue. Invece, una sempre maggiore trasparenza e riduzione degli spessori, è stata la perdita e al tempo stesso il punto d’arrivo più significativo dell’architettura, come monolite rappresentativo del sistema globale contemporaneo.
Arch. Guarini, ha colto la sintesi della questione: la mancanza del “processo compositivo” che ha come fine quello di generare lo “spazio architettonico”.
Ora ci ritroviamo l’architettura de-costruita (“dell’accartocciatore” di Bilbao, che crede di aver inventato Boccioni) e metamorfica (quella di improbabili concreazioni coralline del museo dell’arte nuragica…con le sue forme molli che avrebbero lasciato interdetti Arp e Moore…)…..
Mies “varia compositivamente” la distribuzione in pianta caratteristica della spazialità assiale della domus romana (atrium-peristilium-exaedra); così come è avvenuto dal quattro-cinquecento (ville sub-urbane), fino a Terragni, Kahn e molti (pochi?) altri…
Saluti
FdM