TRENT’ANNI FA: CASABELLA 494
“All’inizio. Preso all’edicola del Lungotevere prima della lezione di Disegno e Rilievo a Fontanella Borghese. Nasconderlo nello zaino per non passare per adulatore del professore. Disegni a pastello pubblicati anche in copertina senza attendere la costruzione mentre su L’Architettura di Zevi c’erano solo foto di edifici realizzati con planimetrie minuscole di servizio.
Il paradosso degli studi “in bella” delle varianti di impianto. L’attenzione poetica al luogo negando la realtà del tipo facendola sporgere appena oltre il limite della negazione del luogo stesso. La foto minuscola in bianco e nero del sito nel suo stato di caos primitivo e l’ordine tremendo stabilito dal progetto. Il brutto palazzetto ma recuperato perché vero. L’ermetico commento di Dal Co (e che adesso mi pare anche profondamente sbagliato. Purini “nostalgico”?) e intanto didascalie e disegni che spiegano tutto. Elementi architettonici e forme «banali»: scatoloni con finestre quadrate, travi, pilastri, tufo… materiali e strutture, qui in periferia di Roma, che mi circondano da una vita. Quella citazione del Villaggio Olimpico messa per iscritto che non rivela l’architetto colto ma l’architetto ossessionato dalle “figure” costruite dai maestri.
E poi, anni dopo. le cianografie dei disegni esposte a Valle Giulia. Qualcuno con il pennarello ha scritto “Rebibbia” sulla sezione prospettica. Il palazzetto “cerniera” che si rivela troppo compromesso strutturalmente viene riprogettato non proprio uguale. E, sopra tutto, la violenza della vita quotidiana. L’urto delle verande che chiudono i ballatoi. Le residenze che invadono anche i corpi scala. I panni stesi confusi con le tende parasole. Le cicatrici delle insegne. I tatuaggi delle bombolette di vernice. Ma l’architettura buona resta. Testimone di una forza che deriva dalla chiarezza.
Giancarlo Galassi :G
[duepuntig@gmail.com]
La chiarezza è sempre importante, per carità. Quando poi, in architettura, viene identificata nell’acquisizione di un metodo generale (o generalizzabile), allora direi che è perfino necessaria (e quindi auspicabile). Ma visto che questo è stato l’obiettivo di quella corrente (Tendenza) di cui Purini (a torto o a ragione), si dichiarò esponente, nonchè l’obiettivo di coloro, che, anche dopo esserne usciti, hanno portato avanti la ricerca di chiarezza metodologica (sia pure con risultati diversi, siano essi coerenti con gli assunti originari (Grassi), o meno coerenti (Rossi), se non addirittura contraddittori (sempre Rossi)), forse (ho detto forse), i risultati ottenuti da Purini, almeno dal punto di vista della chiarezza di cui parli tu, andrebbero confrontati coi risultati ottenuti da Grassi e da Rossi (almeno nell’ambito di una giusta prospettiva storica). Per carità, l’archivoccico medio è persona sicuramente più sveja e attenta der sottoscritto, che ortretutto legge (e scrive) frettolosamente (o armeno così dicheno), quindi presumo che abbia già maturato un suo personale giudizio sul Purini architetto (oltre che sul Purini teorico), a prescindere da qualsivoglia termine di paragone, però se partiamo dal presupposto che lo scopo di Archivocce non è solo quello di scrivere dei resoconti su Purini (siano essi denigratori o riabilitativi), bensì sull’architettura in senso lato, forse (ho detto forse), taluni termini di paragone potrebbero risultare utili al fine di restituire a Cesare quel che è di Cesare (oltre che a Purini quel che è di Purini, naturalmente). Sennò va a finì che ‘na riabilitazione der Purini (giusta o sbajata che sia), riesce a mette in ombra perfino Cesare (magari anche solo inconsapevolmente). Ciò premesso, a me pare che l’economia spaziale del progetto puriniano, ad un esame più attento, crolla come un castello di carte, per il semplice motivo che gli spazi in cui sono collocati i corpi scala, finiscono per generare quelli che, in una qualsiasi revisione (specie se al cospetto di un assistente frustrato), verrebbero definiti, senza mezzi termini, come un vero e proprio “ricettacolo pe’ i sorci (oltre che pe’ la polvere)”. Io che sono educato, potrei definirli come spazi di risulta, ovvero quel genere di spazi che non dovremmo mai vedere in architettura, figuriamoci poi in quell’architettura che pretende di essere di essere razionale in quanto basata su un “ordine” (quella tra virgolette è una parola tua). Nè si può dire che la monumentalizzazione di quelle che potremmo definire componenti secondarie (leggi: torrini delle scale), abbia sortito un qualche effetto architettonicamente rilevante (visto che dalle immagini si capisce chiaramente che i suoi (pur originalissimi) torrini “pizzuti” acquistano rilevanza solo nella prospettiva aerea, quindi ben al di fuori delle capacità percettive dell’utente generico. E non credo neppure che quei torrini assumano un qualche significato sensoriale (visto che chi percorre le scale al loro interno, non vede altro che quattro pareti nude e crude; per inciso, voglio sperare (per il benessere psicofisico degli utenti), che le finestre che pure compaiono su queste pareti non siano quelle delle cucine e/o dei soggiorni). In sintesi, un’architettura, quella di Purini, che non è nè carne nè pesce. Troppo leziosa per appartenere a quella “architettura del silenzio” che è pur sempre un lascito della Tendenza (prova a pensare cosa direbbero di Grassi se risolvesse i collegamenti verticali in quella maniera), e troppo poco per appartenere a quella architettura che è sì formalista (se non addirittura iperformalista), ma in un senso che va precisato una volta per tutte (almeno a beneficio di quei docenti che pretendono di denigrare l’opera di Rossi con la solita scusa della Metafisica). Infatti, il formalismo di Rossi non aveva altro scopo se non quello di soddisfare le cosiddette funzioni seconde, ossia quelle funzioni ideali e simboliche che possiamo attribuire ai monumenti. Certo, la semplicità della sua architettura è equivalente a quella che possiamo vedere nel tuo post, ma la straordinaria icasticità di certe sue soluzioni (penso ad es. alla colonna d’angolo), è di gran lunga superiore a quella di elementi che, al massimo, esprimono la loro “forza” (altra parola tua) solo perchè estrapolati dal loro (reale) contesto per essere collocati in un riquadro di copertina. Vuoi la controprova? Prova a confrontare quell’immagine di copertina con l’immagine che, dello stesso elemento, possiamo trarre dalla foto aerea; e infine, prova a confrontare quest’ultima con quelle altane (dotate di mensole) così come appaiono nei disegni di Krier (e naturalmente parlo di immagini unitarie, non certo di “riquadri ad hoc”). Questo per dire che, se è vero, com’è vero, che può esserci grande differenza tra architetture parimenti semplici, allora è proprio questa differenza che fa sì che la semplicità possa assurgere (oppure no) a punto di forza (perchè vedi, Giancarlo, è sempre facile, a posteriori, poter dire: “certe soluzioni sono talmente semplici che potevo arrivarci anch’io”, ma sono certo che almeno su questo punto sarai d’accordo con me, a prescindere dalla tua opinione personale su Rossi e su Krier). E allora, visto che qui si parla (e non sarebbe la prima volta), di “architettura buona come il pane”, cercamo, ‘na vorta tanto, de’ valutà pure er companatico…Se tu co ‘sto post ce volevi dimostrà che pane e fichi è mejo de niente…per carità, semo tutti d’accordo co’ te (a prescindere da qualsivoglia dimostrazione)…Mejo pane e fichi ar governo che fichi secchi all’opposizione, direbbe quarcuno (e magari lo stesso Purini sarebbe d’accordo co’ lui, visto che ar senato (accademico) già ce sta da ‘na vita). Ciò premesso, capisco anche che al Nostro (pur dall’alto della sua (inespugnabile) posizione accademica), jè ce rode già solo der fatto che Rossi, da “architetto di carta”, è diventato quello che è diventato (credo che un tale rodimento sia assolutamente normale ed umano), ma quello che non capisco (magari anche per un grave difetto di conoscenza), è il senso di talune strategie riabilitative che mi sembrano imbastite… come potrei dire… frettolosamente?
Arch. De Martino, mi permetta: a proposito di “chiarezza”, utilizzi meglio gli incisi. Le troppe parentesi, rendono incomprensibile i contenuti. Sintassi da “penna blu”.
(Cordiali saluti)
Mauro
…sta cosa… come dire … me le fa’ un poco girare …
Come dire…. è scritto bene ma non ci si capisce una mazza … che è un concetto molto filosofico e poco letterario …
Anche perchè verrebbe da chiedersi: che cavolo ce facciamo co’ ‘na cosa scritta bene ma che non se capisce? …Quindi ‘sta “sintassi da penna blu” me pare alquanto ipocrita … e, come osservazione, quasi priva di senso dato il contesto in cui se cala.
Qui stamo a parlà de cazzate (pare..)… non stamo mica a fa’ er compitino ‘n classe co la maestra co la penna rossa e blu?
Ma ‘n sarai mica quello delle province? …mmmhh … non me ricordo …
Poi direi che per quanto riguarda quell’ … “incomprensibile” … scivoliamo proprio nell’esagerato… per quanto l’Arch. De Martino (per gli amici di Blog Andreuccio …anche se lui ancora non lo sa …) nel suo scrivere sia ,come dicevamo , alquanto piranesiano…
E che devi anda’ a cercà bene … poi alla fine dentro ce trovi un sacco de cose bone e altrettante meno …come più o meno accade per tutti noi … anche se l’eleganza frettolosa (si fa per dire) der Galassi non credo che nessuno di noi potrà mai raggiungerla … senza alcuna ironia … l’Arch. Galassi avrà certamente intuito infatti quanto io apprezzi la sua francescana e vanitosa volontà di ricondurci tutti alla ragione … un po’ come Papa Francesco …
Quindi, pe’ fini’ … se volemo tocca’ Andreuccio tocca fallo sui contenuti … perchè della sintassi c’emporta poco (sempre dentro certi limiti) … mentre c’enteressa molto di più che se capisca …. e sempre considerando che qui annamo più sui contenuti che sulla forma … per dire che un po’ de casino lo tolleramo …
Per quanto ‘na bella sintassi, quando ci si capisce qualcosa, faccia sempre piacere …
Comunque …in tutto questo … quello che risulta veramente incomprensibile sono i suoi saluti tra parentesi …
Boh!
O si tratta semplicemente di una presa per il bottom?
….Ovviamente in qualità di ass …
P.S.
Andre’ ! … pure stavolta ‘na faticata … me fa sudà de più la lettura de un tuo post che ‘na bella corsa alle 7.00 a.m. ora di Greenwich …
(Tanti saluti a te … ar Galassi e … pure a ‘sto fantomatico Mauro …)
Caro Andrea,
mi sono convinto con gli anni che leggere e scrivere frettolosamente è la condizione “sine qua non” per partecipare ad AW che non è il Bollettino della Biblioteca.
Poi si sa che gli archiceffi, ma tutti quanti in fondo, hanno sempre un’opinione sproporzionata anche dei propri starnuti.
Di contro se uno ha voglia ponderare a lungo ponderi pure, non gli farà sicuramente male. Poi, se ne ha voglia, addirittura pubblichi le sue pensate: qualche perditempo dietro il bancone lo trova sempre per leggerle. L’esercizio di salute è nel non impermalosirsi se si viene letti frettolosamente: sei su AW! e se il proprio prezioso elzeviro considerato come scritto frettolosamente invece che trascritto dalla voce dell’angelo come san Matteo: è AW, bbello!
Di tutte le cose che mi scrivi a un paio rireplico subito, le altre le lascio in qualche angolo di lobo temporale a stagionare, avessero mai dei fermenti lattici vivi.
1)
Quali siano gli scopi di Archiwatch non lo sa san Giorgio e nemmeno il drago che tiene a bada lancia in resta. Se ne avesse qualcuno gli girerei alla larga e mi verrebbe a noia. C’è Domus di Di Battista per quello.
Tantomeno conosco gli scopi delle sue rubriche, Archicefalici o Buona come il Pane che sia. Fatto sta che è piuttosto seguito e per colpa di una pagnottella sono stato intercettato persino in vacanza ad Alba di Canazei e coinvolto più o meno premeditatamente in una conferenza su Avetta nella/sulla sua chiesina al Madonna delle Vette.
Certamente posso dire, per quel che mi riguarda, cioè a titolo del tutto personale (momenti di tensione tra il pubblico…), che scrivere e leggere frettolosamente di architettura mi serve in primo luogo per… per… te lo dico un’altra volta in un Bar reale (magari dalle parti di via dell’Acquafredda che sono poco lontano; lasciami un recapito in mail) e in secondo luogo per spogliare l’Architettura dalla pretesa di fornire risposte “assolute” che Professori troppo pieni di essa e vuoti di se’ mi hanno maleducato a dargli.
2) Io avrei più cautela a confondere la Tendenza milanese con quella romana.
Per quanto forse sovrapponibili in fin di vita, erano molto separate alle origini.
Due “parole” diverse pertinenti a due scuole pure se confondibili da una “langue” comune (dovuta alla scuola e ai testi di un maestro dei maestri che prima ha insegnato a Venezia frequentato e “divulgato” dai milanesi, e poi a Roma frequentato e “divulgato” quando non osteggiato dai nostri maestri di Valle Giulia).
Un caro saluto,
:G
Ps. Per una lettura meno frettolosa del panino 10 (ma non ne vale la pena) ti consiglio di ripartire dal titolo e dai molti strani luoghi dove vive l’architettura. Se la sfornata non ti è piaciuta prendi per buono, sempre se non l’avevi, almeno il regalo pdf dell’articolo di Casabella. Degno, questo sì, di riflessioni per capire un’epoca.
… certo che ci vuole un coraggio a parlare di maestri ….
Mi dispiace che dalle mie parole non si siano capiti i motivi per i quali non apprezzo l’architettura di Purini, perchè, per quanto mi riguarda, pensavo di averli espressi in modo chiaro. Per quanto riguarda la concezione architettonica del progetto in questione, chiamatela come volete: Tendenza romana (piuttosto che milanese), Neorazionalismo, Minimalismo… Se tutte queste etichette hanno un minimo denominatore comune, che è la ricerca della semplicità (senza però scadere nel semplicismo), allora posso dire che è la stessa concezione architettonica nella quale mi riconosco io. Quindi è la stessa che mi indusse, a suo tempo, a scrivere ciò che scrissi a proposito di una critica, a mio avviso pretestuosa, rivolto dal prof. Lenci al mio progetto di composizione 3. Ed per questo che ci tenevo particolarmente che il mio intervento, almeno nella presente circostanza, fosse improntato al massimo della chiarezza, indipendentemente dal fatto che fosse condivisibile o meno, quindi l’ipotesi che possa risultare incomprensibile in toto è per me motivo di ulteriore rammarico. Però resto convinto che i progetti che ho pubblicato sul mio profilo facebook, compreso quello della discordia (sia detto con ironia, perchè, sul piano personale, non ho nulla contro Lenci, che anzi ritengo persona cordiale e simpatica), siano dei progetti che, sebbene in numero limitato, siano più che sufficienti ad esemplificare il mio pensiero: lo stesso che mi aveva indotto, da qui, a scrivere ciò che avevo scritto a proposito del progetto di Purini, ma anche lo stesso che mi indusse, nel lontano 2009, a scrivere un commento, in tuttaltra circostanza, che mi fu censurato per delle parole che, col senno di poi, posso ben dire che lo hanno reso legittimamente censurabile, sebbene lo stesso commento sia poi comparso come per magia, a distanza di anni (me ne sono accorto per caso pochi giorni fa), forse perchè il prof. Muratore deve aver pensato, sia pure a distanza di anni, che anche la parte meno nobile, diciamo così, di quel commento (della quale, beninteso, mi vergogno ancora oggi), è quantomeno indicativa di un sintomo: la prevenzione che vige, nelle università, nei confronti di una concezione architettonica che, sebbene si possa legittimamente ritenere non condivisibile, non si può comunque etichettare come “passatista”, “superata”, se non addirittura “revivalistica” (tanto per citare un altro termine che ho dovuto subìre a proposito del mio già citato progetto di composizione 3). Quindi, vista la complementarietà tra il mio pensiero e quei pochi progetti che ho pubblicato su Facebook, se c’è anche una sola persona tra voi che dispone di un account facebook, può ritenersi libera di inviarmi la richiesta d’amicizia al fine di visionare quei progetti, qualora avesse la curiosità di verificare se, almeno loro, riescono a chiarire il mio pensiero più di quanto possa fare io stesso con le parole. Con ciò, ritengo chiuso per sempre l’argomento sollevato da Mauro, quello cioè della mia presunta incapacità anche solo di esprimere ciò che penso. Ad ogni, lo ringrazio già solo del fatto di averlo sollevato, perchè una critica espressa educatamente è sempre legittima e perfino auspicabile, anche quando vuole essere ironica (del resto anch’io mi ritengo una persona ironica e autoironica). Ovviamente ringrazio anche Sergio per la difesa d’ufficio, anche se non ritengo di averne bisogno :)
Caro Andrea non si trattava di una difesa nel senso che intendi … nonostante io nutra una naturale simpatia verso le modalità cervellotiche con le quali spesso ti esprimi …
(se solo penso a come invece lo faccio io mi vengono i brividi …)
Si trattava più che altro di una “difesa del territorio” da queste forme che ai miei lobi temporali (?) disastrati risultano come aliene …
una cosa così … un poco da cani … maschi …
da branco …
sai quei cani sporchi … con le orecchie bucate e la coda rotta … che corrono per le strade delle città dei paesi poveri e sottosviluppati … proprio come stiamo diventando noi …
quasi una cosa di cui vergognarsi …
Figurati se posso pensare che tu abbia bisogno di una difesa dopo quello che hai tentato di fare alla mia porchetta di Ariccia …
Oppure …
… sfruttando le regole dell’applicazione del paradosso (…con un poco di elasticità mentale …), al fine di comprendere gli effetti di una determinata azione sul contesto, potremmo chiedere a questo punto al Sig. Mauro di correggerci tutte le cazzate che scriviamo … (…mi viene la disperazione solo a pensare alle mie…)
…che pure potrebbe essere una esperienza da fare …
Egr Architetto Di Martino, non intendevo assolutamente intendere che “Lei sia incapace di esprimere quello che pensa”. Nonostante intenda chiudere la cosa “per sempre”, mi permetta di scusarmi (oggi il buonismo mi prende la tastiera. Qui la parentesi ci sta…). Era solo per dirLe che quanto scrive, dal mio punto di vista, risulta essere sempre molto interessante; è solo che, talvolta, l’utilizzo eccessivo di parentesi, come inciso, rende i Suo pensiero meno chiaro. Ma forse, sarà sicuramente un mio problema.
La saluto, con ironia.
Mauro
Galaxi presidente della galaxia !
Permettetemi un paio di domande spicciole, per poi lasciare l’ultima parola a chiunque voglia avvalersene. Quelle “residenze che invadono anche i corpi scala” (cito testualmente dall’introduzione al post), non sono forse la conseguenza di un enorme spreco di spazio in fase progettuale? Del resto, basta aprire il pdf e osservare le piante, per rendersi conto della quantità di spazio che è stata sprecata solo per aver disegnato i corpi scala nella forma in cui sono stati disegnati. Una forma che, per inciso, è anche un po’ macchinosa (che non è sinonimo di macchinista; ma non starò qui a disquisire sul significato dei due termini, perchè rischierei di apparire patetico). Per quanto mi riguarda, questo è più che sufficiente per dire che i corpi scala, che piaccia o no, andrebbero disegnati alla maniera tradizionale (termine alquanto infelice, me ne rendo conto). Forse, per quelle esigenze di chiarezza cui mi richiamava Giancarlo, dovrei dire che andrebbero disegnati alla maniera “milanese”, cioè come li hanno sempre disegnati sia Grassi che Rossi, ma tutto sommato anche il vituperato Mazzola (sebbene neppure io avrei mai sospettato delle sue radici “milanesi”)… Ed ora veniamo alla seconda domanda, ancora più spicciola della prima. Ciavete fatto caso che nel progetto di Purini mancano gli ascensori? Bella scoperta, direbbe qualcuno. Il fatto saliente è che se voi provate ad inserire (anche mentalmente), un qualsivoglia ascensore nei pressi di ciascun pianerottolo, potete constatare immediatamente (sia dalle piante che dalle elaboratissime sezioni prospettiche), che la purezza formale di quei “cosi” ne viene irrimediabilmente compromessa (sottolineo: irrimedialmente). E con essa quella indiscutibile “fotogenicità da copertina” che tanto peso ha avuto nella formazione di un giovanissimo (e, diciamolo pure, inesperto) Giancarlo, tanto da indurlo, di soppiatto, ad acquistare il relativo numero di Casabella, per poi conservarlo come una reliquia (in attesa di tirarlo fuori al momento culminante del finale travolgente; ma qui, naturalmente, Zazà non c’entra nulla). Di conseguenza, quei “cosi” sono tutto tranne che generalizzabili. E quindi l’architettura da essi “generata” è tutto tranne che didattica. Forse, come suggerisce un Giancarlo ormai maturo (beninteso, dal punto di vista critico), tale architettura potrà servirci a comprendere il senso (o il non senso) di un’epoca (ma forse, nel caso di Purini, faremmo meglio a dire di una stagione), però, a parte questo, io mi sto chiedendo se, al giorno d’oggi, possa davvero restare qualcosa di quei “cosi” (scusate il gioco di parole). Infatti, se ora volessi recitare la parte del menagramo (altro termine di puriniana memoria, come ben sa il mio amico Ettore), mi verrebbe da chiedere: a parte quel “famosissimo” edificio napoletano, quali altre importanti applicazioni hanno avuto i succitati “cosi”?
Appunto.
Con ciò, mi piace pensare che il presente commento sia il meno cervellotico tra tutti quelli del mio repertorio.
Ho conosciuto Napoli al 95 per cento dal cinema d’allora, quando neanche i fratelli De Flippo parlavano di “Gomorra” e la figura più patetica era il camorrista che voleva sfregiare la ragazza perchè non le dava “la grande prova”, quando “L’oro di Napoli” era il suo popolo e il bianco e nero ci faceva vedere dove quell’oro veniva colato. Di quelle immagini urbane mi affascinavano, anche se ero un ragazzino di San Giovanni a Roma, i cortili settecenteschi e, più che scale, i larghi scaloni che vi si arrampicavano. A Roma le scale erano corridoi a ginocchio dove a malapena ci si dava il buongiorno. A Napoli anche quegli ambienti di servizio, non credo fosse un’invenzione del regista ma pura realtà (forse Eldorado ci può meglio illuminare), erano città, più vive delle misere residenze in cui si cucinavano i maccheroni e che, con tutta naturalezza, ” invadevano i corpi scala” per conquistarsi aria e vicinato: ragazzini che si rincorrevano, madri che discutevano con le comari, ambulanti che strillavano la merce, nobili decaduti, portieri che gestivano tutto quel traffico. Il terremoto, la nuova camorra e la microcriminalità ha scardinato tutto. Quei cortili o sono stati chiusi del tutto o, svuotati, sono stati soffocati dalle impalcature di sostegno o, come vidi, invitato, in un bel caseggiato di Via Orazio a Posillipo, gli ampi pianerottoli erano stati tutti chiusi, a difesa, da cancellate e le residenze invadevano i concentrazionari corpi scala per trasformarli in serre di piane ornamentali. Forse, chissà, anche Purini era nostalgico di quel mondo scomparso e per questo le scale, come direbbe Jessica Rabbit, “le ha disegnate così”. E’ l’unica scusante perchè non si resuscita un morto lucidandone la fotografia. Ma tutto può essere.
IN APERTURA e prima di tutto un grande applauso al grande commento di Sergio 43 del quale avevo intuito una vena poetica al di fuori della media … una sensibilità , e lo dico credendoci, che fa vacillare la candidatura dell’archicefalico al Premio della Critica per il suo Purini Jouer
Vabbè … volevo dire …
CERTO … LA QUALITA’ RESTA …
….QUELLA CHE E’! … aggiungerei!
Quindi Mi chiedo relativamente a quel pensiero di difficile interpretazione:
… a 30 anni di distanza in quale categoria possiamo inserire questo intervento?
… Bello Brutto o …. Brutto Bello?
Mbeh?
Mbeh? … e si … ci vuole coraggio …
Ci vuole un coraggio che non può che derivare da quella indulgenza che certamente nasce da questo rinnovellare la perduta etade …
Ma sì, ci vuole coraggio.
Perché se c’è qualcosa di scandaloso in quella (chiamiamola pure) architettura, è il cattivo esempio derivatone, che di quel famoso e sempre tanto invocato e mai rispettato genius loci si fa beffa, trattandosi alla fine solo di modaiolo esercizio in cui si riconoscono gli ingenui richiami.
Quanta tristezza in queste immagini di provinciale esercizio di una creatività mancata, rinunciataria e priva di idee.
Sì …ci vuole coraggio ….
Perché da qui deriva tutta quella paccottiglia architettonico-urbanistica già superata appena realizzata che ci circonda e martirizza le nostre un tempo belle città.
Quindi se è vero che la qualità resta (quello che è) non possiamo far altro , con sforzo da lente d’ingrandimento (per via di qualche grado in meno) di andare a cercarla anche la dove molto spesso non si guarda …
Se è vero che in una qualsiasi revisione di un assistente un po’ sveglio quegli in cui sono collocati i corpi scala “finiscono per generare quelli che, in una qualsiasi revisione (specie se al cospetto di un assistente frustrato), verrebbero definiti, senza mezzi termini, come un vero e proprio “ricettacolo pe’ i sorci …”
Perché so’ cose che non se devono fa’!
Non si offre una prima speranza (in una giornata, per esempio, piovosa) attraverso i corpi scala con un primo accesso coperto verso l’alloggio che poi ridiventa scoperto nell’ultimo tratto verso l’entrata delle abitazioni …
… me la immagino la signora con i sacchetti della spesa che deve riaprì l’ombrello e che smadonna … questo ed altri particolari rivelano l’inadeguatezza della progettazione anche ad altri livelli facendoci rilevare la vera attenzione su un tema di certo rilevante socialmente e professionalmente come quello dell’abitazione economica … una modalità quella che assaporiamo nel progetto di FP e LT che ci rivela una certa sensibilità rispetto a temi di diverso impegno …
Coerenza economica del progetto per esempio … una palestra nella quale tanti purtroppo dicono poco … e che quindi poi ovviamente ti vengono ad insegnare le cose …
Per esempio …
… nei disegni selezionati per riempire la pagina 10 dell’articolo su Casabella 494 sono riportati dei particolari che la dicono tutta anche su questa altra necessaria capacità … esaminiamo appunto il rivestimento in peperino della rampa (prefabbricata 12 cm) … è dichiarato a livello di progetto esecutivo (al quale pare che abbia partecipato anche Aldo Aymonino) un rivestimento appunto in peperino che la dice lunga anche qui sull’attenzione verso le scelte … in particolare è interessante osservare la speciale modellazione riservata alla pedata che vuole una specie di apice trapezoidale all’appoggio del sottogrado …
Io non lo so se è chiara a tutti la leggerezza di questo atto da progettazione esecutiva …
ovvero se si comprende la conseguenze di un piccolo gesto con la matita sulla lavorazione di un rivestimento del corpo scala in un intervento di edilizia economica…
Di quanto si tratta? Non è tanto importante ora … è importante che si sveli il metodo …
… non so se questo particolare sia mai stato realizzato in questo modo …
problematico anche per la questione dei fuori squadro in parte comunque attenuata da una eventuale effettiva perfetta realizzazione della soletta in prefabbricazione … guarda anche lo spessore dell’allettamento … 6 mm …
… ma qualora lo sia stato effettivamente allora potremmo ben dire che tutto è nel solco di quella tradizione che vuole che si spendano piccioli per cose inutili e che non si spendano per le cose utili …
Ovviamente è necessario essere in grado di stabilire delle relazioni positive in tal senso con il contesto.
Ma non c’è solo questo … guardiamo pure alla soluzione relativa al discendente in cui defluiscono verso il basso le acque raccolte dalla gronda dei “torrini pizzuti” …
Qui l’esigenza di non “inquinare” il disegno della inutile e cancerosa torretta con un unico discendente piazzato in bella vista da qualche parte (fermo restando la possibilità di pensare soluzioni vere) costringe ad un involucro di muratura all’interno del corpo scala nel quale occultarlo ….
… restando che poi dovrà essere raggiunto attraverso qualche particolare sistema di ispezione sulla verticale …
e questo con il duplice risultato di caricare di altri costi inutili il corpo scala che peraltro in questo modo viene anche privato di quel poco di “aria” in più che avrebbe avuto disponibile senza l’inserto di quel cavedio centrale …
Ma certo che non c’è solo l’economia …
C’è infatti pure il rapporto tra progetto , linguaggio , economia e “disegno”…
Insomma ‘sta’architettura che se smonta come un castello de carte …
… e certamente se smonta anche nello sbarco dal corpo scala ai pianerottoli di accesso sui quali si affaccia la finestra di una estremamente operativa cucina di una qualsiasi famiglia del sud…
E giustamente … dico io … sentendomi a pieno titolo nella categoria …
‘Sta cosa però c’ha comunque per certi versi anche una sua pratica utilità …
… la milizia giudiziaria che casomai ti venisse a consegnare il provvedimento di pignoramento la potrai accogliere alla finestra della cucina senza neanche farla entrare dentro la casa …
non si sa mai …
… la mamma potrà inoltre così continuare a cuocere a pummarola … mentre insieme al pulotto fanno qualche ipocrita apprezzamento sulla bella Buganvilla che s’è ‘ngruvugliata intorno a quei disponibili tubetti dello striminzito balconcino dei poveracci … quello si che c’è sta bene …
I soggiorni poi, in molti casi, hanno le quattro pareti ognuna impegnata da qualche bucatura … tanto pe aiutalli nell’arredamento … ma che ce frega …
Tanta poesia quindi …
confortata dal disegno sublime che, non so perché, ma già al tempo precipitava nello sconforto parecchi studenti e architetti…
Beh! … si … la qualità resta …
Come rosico …
Credo che se ne viene fuori una chiacchierata divertente, il lavoro di Purini Thermes, come quello dei maestri, è sufficientemente disturbante da non lasciarci in pace, da porre interrogativi ai quali ciascuno può tentare di dare la propria risposta (io ci provo da trent’anni, ne ho date diverse nel tempo e altre credo verranno).
Per replicare invece a una domandina che Andrea più o meno direttamente mi pone, dico che il lavoro di Rossi, come quello dei migliori, è fondamentale per me, ma a mio (personalissimo) parere è talmente squisito da scimmiottare per via di un certo surplus teorico che fa sentire progettisti veramente colti. Ho l’impressione, ma rimando a più autorevoli interpreti, che l’Architettura della Città, questa famigerata parte simbolica per il tutto, sia (in parte) una furbata metafisico intellettuale per spacciare quel che Rossi si sentiva “esistenzialmente” di dover fare, quello che “de panza” e non di testa “voleva” fare con la propensione profetica di ogni vero valoroso artista. Altro che ‘costruzione logica’ (vedi l’Alain ammazza arte di Giorgio Grassi).
Non è a caso che Gehry (come anche Marco Petreschi, tanto per citare persone vicine) possano dirsi rossiani anche se rossiani non sembrano proprio.
Il linguaggio revivalistico, semplicistico, elementare che tu persegui, che Lenci il Giovane ti rinfaccia (lui adotta un linguaggio rossiano alla rovescia cioè fa tutto il contrario progettando cose complicate e cervellotiche), il linguaggio di Rossi è ‘personalissimo’ purtroppo anche e volutamente copiabilissimo.
C’è del sacro in Rossi che gli deriva dalla pittura, dalle suggestioni ineffabili della pittura, dall’”assoluto” che rivela (nel senso di “apocalissi”), che gli arriva dalle assonometrie rovesciate delle icone (Tarkovsky > Rublev 1966 > Rossi) o dalle rigide prospettive de chirichiane (che sono in Rossi e diventano in Rossi una sorta di trasalto italiano e ateo e più corretto politicamente da citare).
Insomma essere manieristi di Rossi è una cosa che da giovani si può rischiare ma ‘divenuto uomo quello che era da bambino l’ho abbandonato’. Quindi riconsidererei le reprimende di Lenci che, anche se non ha capito neanche lui bene Rossi per colpa di Zevi, forse, a distanza di anni qualche cosa hanno da dirti.
A Sergio De Santis, (anche ad Andrea ma ad Andrea ho già rotto abbastanza le scatole) replico osservando che le critiche funzionalistiche a Marianella per quanto valide possono essere applicate al 90% dell’Architettura: pure le porte di una chiesa rinascimentale o quella del Pantheon sono troppo alte e poco funzionali. Era sufficiente farle alte due metri e mezzo eppure sono alte quattro sei metri, tanto che a volte c’è una porta più piccola nella porta più grande per entrare. Ma è un discorso su cui non la finiremmo più…
Un saluto,
:G
«Lasciate che vi dica quanto mi dispiace. (…). Dio solo sa quanto mi dispiace. Sentite. Io sono solo un fornaio. Non pretendo di essere nient’altro. Forse una volta, forse anni fa ero diverso. Ho dimenticato, non ne sono sicuro. Ma non lo sono più, se mai lo sono stato. Adesso sono solo un fornaio. Questo non mi scusa per quello che ho fatto, lo so. Ma mi dispiace profondamente. Mi dispiace per vostro figlio e per la parte che ho avuto in tutto questo. (…) Io figli non ne ho, quindi posso solo immaginare quello che state provando. Posso solo dirvi che mi dispiace. Perdonatemi, se potete (…) Non sono cattivo. Non credo. (…). Dovete provare a capire che a un certo punto non so più come comportarmi, a quanto pare. Vi prego (…) permettete di chiedervi se riuscite nei vostri cuori a perdonarmi». E così «il fornaio cominciò a parlare della solitudine e della sensazione di dubbio e di limite che gli era venuta con la mezza età».
Raymond Carver,Una piccola, buona cosa
Caro Giancarlo se ti sfugge il carattere “funzionale” delle alte porte di una chiesa rinascimentale o di quelle del Pantheon allora vuol dire che stamo a scherza’ …
Proviamo quindi a fare ‘sto giochetto …
A regazzi’ … ammesso che tu capisca il significato di funzionale … sei piccoletto … voglio di … che tu lo capisca anche in senso più ampio, cioè utilizzando tutti i neuroni che c’hai ‘ntesta , … me potresti di’ secondo te ….
“a
che cosa
potrebbe
esse’
funzionale
‘na porta
de chiesa
così alta”? …
‘nsomma … ce siamo capiti …
In ogni caso una buona architettura … quando è veramente bbona … risolve tutti i problemi … che ovviamente so’ di tipo anche funzionale …
Se poi se volemo massacrà solo ed esclusivamente sulle questioni de teoria dei linguaggi architettonici o de pseudo classificazione delle tipologie e dei tipi e de tutto quello che ve viene in mente … facendo del “particolare alla questo” … der pensiero alla quello” … a quellooooo! … o der fatto che Lenci il G. non abbia capito Rossi per corpa de Zevi … o magari anche con un po’ de “i corpi scala me sa che è meglio disegnalli alla milanese” …. Che me viene da pensa’ aoh … Ma che so’ cotolotte? … so salami?…
Svegliateve …
Ve state a inchiodà alla croce da soli …
…. ve state a massacrà … ricordateve che co’ troppa de ‘sta robba se diventa ciechi ….
I tempi de Ecce Bombo so finiti …
Rimetteteve a studià i maestri veri …
Anzi fate ‘na cosa …
Rileggetteve … che fa sempre bbene … quelle “Osservazioni elementari sul costruire” … armeno così rimettete li piedi per terra … cioè proprio dove devono sta’!
Siate liberi … cercando di capire che questi signori c’hanno insegnato poco … nonostante certi sforzi teorici siano stati pure apprezzabili (Rossi) …
Ma soprattutto la cosa più tragica che hanno determinato è stata quella moda de pensare l’architettura disegnandola pensando alla carta invece che a li materiali con i quali se costruisce ‘n’edificio e alle funzione che l’edificio deve soddisfare … che sembrerà ‘na stronzata sulla quale però ve spingo a riflette’ bbene …
Se pensi all’importanza di queste cose, queste ultime dico, allora ti comporti in un altro modo … corrispondi innanzitutto alle esigenze di risposta a quesiti di primaria importanza che evidentemente e contemporaneamente si cerca di far collimare con quelle che possiamo intendere come le varie teorie delle forme .. dei tipi …dell’espressione … delle tipologie … quello che ve pare …
… ambito nel quale chi più ne ha più ne metta …
Cerchiamo cioè la soluzione “giusta” secondo quelle che sono le nostre inclinazioni personali … la nostra conoscenza … delle tecniche … dell’espressione (varia) architettonica … ‘nsomma come ve pare basta che sia giusta … onesta … come per esempio non è la Nuvola …
Tutto quer casino …
Voglio di … che de sta gente de cui state sempre a parlà … de ‘sta gente … non se ricorderà più nessuno tra un po’ de tempo … perché in fondo … non hanno veramente determinato nulla di fondamentale per questa società nonostante magari un certo successo riscosso …
… ma si sa come vanno le cose …
Che palle …
A Gianca’ … stamme a sentì che è mejo… mo che t’ho mandato ‘ste fotografia de Avetta a Vitinia …
… sparace ‘na bella pagnottella che sei troppo forte …