sergio 43 su: FIN DAI TEMPI DI SANDRO E DI RENATO …
“Leggere, uno dopo l’altro, “La Facoltà di Roma. Note sulla situazione” in Lotus7 e “Frammenti di Futuro – “A. A. e la cultura dell’Architettura a Roma (sic!)” dà un leggero senso di stordimento. Anticipo che è una posizione strettamente personale, (politically uncorrect, forse?), dovuta all’imprinting della prima formazione ma, dopo la liquidazione post63 delle “posizioni di potere accademiche” (che poi era la voglia e/o esigenza legittima , fate voi, di nuovi poteri accademici), forse la speranza della “cultura dell’Architettura a Roma” può poggiarsi sul ritorno dell'”eredità del professionalismo tecnicista di scuola romana” che ha dato le prove che vediamo e con le quali quotidianamente conviviamo (abbastanza bene, mi pare!). Può essere una speranza (antistorica, forse?) per la cultura, per la professione e per la sua indipendenza, per i giovani professionisti e chissà?…anche per l’esigenza di una Facoltà di Architettura.
P. S. E’ spiegabile che, mentre il mio amico chirurgo, quello che fà il commercialista, l’ingegnere, l’avvocato, l’artista, il giornalista, può, tranquillo, sereno e certo dei suoi anni di studio prima e del necessario aggiornamento poi, pur con le normali difficoltà di ogni agire umano, guardare con soddisfazione il proprio lavoro, io mi debba vergognare della mia professione? Una volta eravamo portati in palmo di mano! Mi verrebbe quasi di citare, pur con l’enorme distanza da loro, i repubblichini quando cantavano : “Le donne non ci vogliono più bene”!
Poi mi consolo! Se la vita é lotta, quale professione più vitale della nostra? Non ti annoi mai! Il più delle volte annaspi ma…vuoi mettere?“




