ROMA SENZA CORE …

maxximaggica ...

Stefano Salomoni commented on: C’E’ SEMPRE DA IMPARARE …

“Roma non ha il “core”.
Giunti con il tram due nei pressi della futura stazione della metropolitana “D-Reni” o “F-Reni”, tra gli sbandieramenti diretti rapidamente verso lo stadio (Roma-Milan), decidemmo sportivamente di visitare il Pantheon extra moenia dell’arte e dell’architettura, al momento semplicemente “MAXXI”.
Da una rapida lettura della tabella “Agevolazioni” apparve, al solito, lungimirante e legittima la riduzione del prezzo di ingresso a favore degli iscritti all’albo. Dei giornalisti. Un giusto riconoscimento alle redazioni di “MAX”,“XIX” in primis, pensai.
Per noi: due biglietti e la familiare tariffa piena; ma ci proposero di visitare le grigie viscere accompagnati da una guida. Gratuitamente. Ne approfittammo.
“Si parte tra cinque minuti, attendiamo che arrivi qualcun altro”.
E furono proprio cinque minuti di attesa, non un secondo di più; puntualità svizzera, forse un omaggio alle gesta filoitaliche dell’Inquilino originario di La Chaux-de Fonds in scena presso la galleria uno. L’attesa, benché minima, avvenne nei pressi delle corna nere di Kapoor fronteggianti la pelle pony della Chaise longue, ragionevoli segni di una contemporanea tauromachia.
Quattro visitatori e una guida in tutto.
La mostra al piano di sotto terminava con l’immancabile Main Ouverte: collocata nei pressi dell’ascensore e delle scale, sembrava indicare mestamente la prosecuzione della visita verso il piano superiore.
Giungemmo così presso la didatticissima mostra “Modelli-Models”, un pugno di visitatori.
In testa alla galleria due, a far da cimasa, dei monitor proiettanti filmiche testimonianze afone e per questo dotati ciascuno di cuffie audio (se del caso), anticipavano una formidabile distesa di architetture diminuite; una aggiornata “Philadelphia city planning” a volo d’uccello che dalla sommità di Monte Mario, si legava idealmente al Palazzetto dello Sport di Nervi, alla Nuvola di Fuksas, al Ponte di Musmeci, fino a raggiungere il modello vincitore per il MAXXI. Forse anche i Mecanoo. Non certa la presenza del Meccano.
Purtroppo, più plastici che paganti: lande remote e desolate, spazi degni della catena alberghiera Overlook al tempo di Jack Torrance.
Seguirono altre interessanti sezioni dedicate all’arte.
E nel silenzio ciclicamente rimosso dai walkie talkie del personale, per qualche ignoto motivo iniziai a pensare alla vista “Tate à tête” del Kapoor in rosso nella affollatissima Turbine Hall, dei caffè e di tutto quell’indotto urbano innescato dai luoghi destinati alla cultura; ai dieci milioni di visitatori all’anno del Louvre e alle sue metropolitane esistenti, anche quelle necessarie al funzionamento della giostra; alle pubblicità; alla ineguagliabile discontinuità romana. Irragionevoli comparazioni, insomma.
Frattanto, nei dintorni, il pubblico delle grandi occasioni sportive d’Oltretevere, celebrava i vincitori di casa.
Saranno stati i tifosi, ma quel sgolato e romanesco “core” fu rilevato, più tardi, sul dizionario bilingue:
“core”: centro, anima; nucleo; cuore (anche fig.).
Ecco.
Roma non ha il “core”.

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