Pietro Pagliardini commented on ‘NARTRA MATTONATA …
“La lettura dell’articolo mi suggerisce una considerazione, in cui io sconto però la non conoscenza dei luoghi e dei fatti e quindi mi baso su impressioni che possono essere sbagliate nel caso specifico. A parte il water front, che immagino non sia altro che una operazione squisitamente speculativa e palazzinara, leggo però “aree militari dismesse”.
Poichè sembrerebbe accettato e accertato il fatto che la nuova frontiera della città è quella di non espandersi più andando ad occupare nuove aree libere e agricole ma deve crescere entro se stessa, con ciò favorendo una riorganizzazione dell’organismo urbano massacrato dalla compresenza di ampi vuoti accanto ad aree densamente popolate ma prive di forma urbana e di servizi, questa crescita interna non può che avvenire con un fenomeno complesso di nuove costruzione negli spazi vuoti, di ristrutturazione viaria, di demolizione di vecchi edifici non più utilizzati e fortemente degradati, da attuare con incentivi e per parti ma all’interno di un disegno tanto complesso quanto più unitario.
Non so, ripeto, se questo sia il caso, ma se si deve dare un senso alla declamata a parole “rigenerazione urbana” (che non è l’isolamento termico degli edifici), questa non può che passare anche attraverso il riuso delle aree militari dismesse, su cui tra l’altro fare cassa per l’abbattimento del debito pubblico. Non è certo lasciandole abbandonate o trasformandole in parchi e basta che si fa cassa o ci si incammina verso una riorganizzazione della città basata su criteri “tradizionali” di densità, commistione di funzioni, pedonalità, strutturazione della rete urbana a isolati, piazze che siano degne del nome e capaci se non di competere almeno di tendere a farlo con quelle di cui sono decenni che si sente la totale mancanza.
Forse ho tirato fuori un discorso che non vale in questo caso e forse non vale per Roma, ma certamente vale per la grandissima parte delle città italiane di media e piccola grandezza in cui ad un centro storico imbalsamato si è aggiunto quel tumore di una periferia informe e degradata dalla monofunzionalità e da pessimi interventi urbanistico-edilizi pubblici e privati, in cui è impossibile solo immaginare una mobilità diversa dalle auto private, essendo insostenibile un servizio di trasporto pubblico che possa competere per funzionalità e appeal con quello privato, data la diffusione disordinata degli insediamenti.
Da qualche parte bisogna pur cominciare, per non ripetere la coazione italiana a tirare fuori un’idea, farci sopra bei convegni, lasciarla marcire e poi, dopo qualche anno, tirarne fuori un’altra riprendendo il giro, dicendo che quella precedente è superata. Il tutto però senza mai aver tentato di applicarla concretamente.
Ah, l’insostenibile leggerezza e vacuità del pensiero urbanistico italiano!”





Caro Pietro, non posso che condividere gran parte delle considerazioni fatte. Nel mio commento precedente avevo sottolineato il fatto che, di fronte alle difficoltà/potenzialità che si trova ad affrontare Roma, si ha l’impressione che gli amministratori allo stesso modo degli imprenditori siano un po’ impreparati e pensino di risolvere tutto con le solite ricette. Credo esistano molti esempi sparsi per il mondo di interventi per fare “cassa” più innovativi e articolati. Il tempo libero è la nuova frontiera di sviluppo, ma non può essere solo centri commerciali e outlet. Riguardo ai convegni è vero che se ne fanno, ma credo che il nostro problema oltre a non fare sia anche quello di non avere molte idee. Il confronto sulle idee invece è fondamentale e i convegni non dovrebbero servire solo come passerelle per gli amici. La questione della mobilità è invece un tema cruciale ed è in assoluto l’aspetto più critico della nostra città, quello che le fa perdere più punti a livello internazionale e imprenditoriale. Basta vedere le speciali classifiche sul traffico. Proprio oggi che in tutte le città europee si riscopre il tram come mezzo pubblico “innovativo” e che perfino gli Stati Uniti riscoprono i mezzi collettivi nelle città, noi vogliamo continuare con il modello di sviluppo targato FIAT?
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Sinceramente io credo che sul tempo libero come frontiera di sviluppo occorre distinguere: se si intendono genericamente i “servizi”, io credo che questi funzionino economicamente solo quando l’economia reale tira e ci sono soldi da spendere. Per fare un esempio concreto: se si pensa ai così detti servizi alla persona (beauty farm, divertimento in grandi centri di spesa, fitness, ecc), questi sono attività sostanzialmente commerciali che servono a fare girare denari, ma bisogna che i denari ci siano. Insomma, non sono da tempi di crisi. Se invece si pensa a tempo libero dietro cui c’è una ricerca tecnologica, spendibile e vendibile sul mercato internazionale, allora il discorso è diverso. Gli smartphone e tutto l’indotto associato sono sostanzialmente tempo libero, anche se di tipo individuale, ma dietro c’è ricerca, investimenti, un mercato internazionale che produce ricchezza ai paesi che li producono. La smart city, intesa non come soluzione surrogata di problemi urbani ma come un insieme di tecnologie innovative che offrano varie soluzioni migliorative al funzionamento della società, più che alla città in senso stretto, è un’ottima occasione economica, ma solo se stimola una ricerca nel paese, e fa nascere nuove aziende, non come applicazione di tecnologie altrui.
Quanto al tram, se penso alla mia meraviglia da ragazzo nel vedere il filobus che c’era a Firenze e che è stato smantellato per poi rispendere una paccata di milioni di euro nella tramvia, tra l’altro in gran parte in sede propria e quindi come un vero treno in città che divide in due le strade, non induce a pensieri benevoli sulla lungimiranza della classe politica ma anche del mondo della cultura in genere.
Saluti
Pietro