PER UN’ARCHITETTURA PROFANA …

Giovanni MICHELUCCIOur Lady of Consolation CHURCH ..

“In una riedizione di «Lettera a una professoressa» curata di Michele
Gesualdi che raccoglie anche scritti e articoli critici trovo
pubblicata  la prefazione “mancata” di Michelucci. Senza pensarci due
volte, ve la inoltro. Il testo del patriarca, aveva 75 anni nel 1967,
era sicuramente impubblicabile accanto alla scrittura militante della
Lettera ma è  importante per documentare  una stagione avventurosa
della Chiesa con  straordinarie ripercussioni sull’architettura.

A
corredo allego anche il link a un filmato sulla Chiesa della Vergine a
S. Marino che, a mio parere, è sicuramente la più barbianense delle
chiese di Michelucci, completata nell’anno di pubblicazione della
Lettera e della morte di don Milani.

Don Oreste Benzi, un altro prete
militante, coetaneo di Milani e figlio della Chiesa del Concilio, mi
raccontava, su mia sollecitazione, di come facesse fatica a dire messa
a San  Marino perché “non si vedono in faccia tutte le persone”
distribuite su diversi livelli. Aveva ragione. Lo spazio uterino della
chiesa sembra costituito da un’aula maggiore con cappelle minori ma in
realtà non è affatto gerarchizzato. L’ambiente principale con l’altare
è dentro uno spazio più grande che è incluso a sua volta in unopiù
ampio e così via. L’interno è in sottordine all’interno di un interno.
La cappella dei matrimoni e le logge al primo piano sono ricavate tra
almeno tre strati di muri. Attraverso feritoie in questi diaframmi si
contano tutti gli involucri prima del “fuori”.

Questo toglie
gerarchia allo spazio, anzi lo rovescia per importanza. Senza più la
virtù di obbedire a un centro, che diventa poco significativo rispetto
a un intorno in espansione, l’aula grande diviene profana. Profana deve
essere l’architettura, anche quella delle chiese.  Il tempio è stato
distrutto una volta per tutte e riscostruito in tre giorni in altro
modo. La sacralità non è più in un Sancta Sanctorum messo in posizione
dominante ma è diffusa alle persone che dal centro si fa fatica a
vedere ma sono raccolte in preghiera tutt’intorno.

Giancarlo Galassi :
G

http://www.casttv.com/video/kgcofg5/giovanni-michelucci-our-lady-of-
consolation-church-video

« Noi dobbiamo riconquistare un linguaggio
«popolare» o «anonimo» nel quale non dominino le qualità di un singolo,
ma esprima un tempo impegnato umanamente, oltre che scientificamente e
tecnicamente, alla costruzione del luogo dove gli uomini possano
svolgere la loro attività e trovare il loro riposo. […]

Voi,
scrivendo, non pensate ad ottenere prima di tutto un risultato
estetico, un’opera d’arte; ma l’opera d’arte verrà se in quel che avete
pensato e scritto vi sono elementi di tale verità umana e poetica da
generarla. A voi interessa che gli uomini riconoscano se stessi e i
propri interessi in quel che pensate e dite.

Così è o dovrebbe essere
per gli architetti e l’architettura. Il modo è elementare e vale per
tutti: si parte da delle considerazioni sui fatti della vita e degli
uomini, si meditano, se ne tira fuori il senso sociale ed umano e si
riportano in mezzo alla gente perché divengano argomento di meditazione
e di dialogo».

Giovanni Michelucci, Prefazione a «Lettera a una
professoressa»

Michelucci_Pref. a Lettera a una professoressa

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4 Responses to PER UN’ARCHITETTURA PROFANA …

  1. In questa PAGINA del sito della Fondazione Don Milana è narrata brillantemente la nascita di “Lettera a una Professoressa”. Tra l’altro fa capolino anche Padre Turoldo.
    Verso la fine ci sono le ragioni per cui la prefazione, troppo colta dell’architetto colto, fu scartata.

    Il passaggio è questo:

    “Quando il libro stava per essere finito, don Lorenzo parlò con l’architetto Michelucci, noto a Firenze per aver progettato la stazione centrale e la chiesa dell’autostrada, per chiedergli di scrivere la prefazione. Don Lorenzo stimava Michelucci e lo riteneva, come lui, un cultore dell’arte anonima e del lavoro d’équipe. “Quando ho spiegato a Michelucci – scriverà ancora ai ragazzi – cosa dire è rimasto entusiasta. Come si costruisce un libro confrontando il nostro metodo di scrivere con uno studio di architetto: così avrà modo di spiegare in che senso sono l’autore e in che senso no”.

    Michelucci, sia pure tra qualche incertezza, accolse l’invito e scrisse una bozza di prefazione. Però fu giudicata dai barbianesi troppo difficile nel linguaggio per il libro. Tentarono di semplificare il testo secondo il loro stile, ma non se la sentirono di proporlo all’architetto e preferirono rinunciare alla prefazione.”

    Un saluto.

    :G

  2. sergio 43 ha detto:

    Molto, molto interessante. Va a supporto delle ampie discussioni cui ho assistito in televisione tra tradizionalisti e progressisti in occasione del Cinquantenario del Concilio Vaticano II.
    “….Questo toglie gerarchia allo spazio, anzi lo rovescia per importanza….centro (immagino l’altare. nota mia) che diventa poco significativo….l’aula grande diviene profana. Profana deve essere l’architettura, anche quella delle chiese. Il tempio è stato distrutto una volta per tutte…La sacralità non è più in Sancta Santorum….”
    Detto questo è inutile che ironizziamo sul cubo di Foligno o sulle zeppe di Terranuova Bracciolini. E’ lo Spirito Santo che aleggiava sulla testa di eccellenze vescovili ed eminenze cardinalizie nell’aula di San Pietro che “le disegna così”. Poi , per chi ne ha ancora bisogno, si troverà pure da qualche parte una tradizionale chiesa pre-conciliare, dalla semplice chiesetta di campagna alla chiesa barocca con i suoi orpelli, “a maggior gloria di Dio o dei committenti”?
    C’è un altro interessante passo che vorrei citare a proposito di spazio profano.
    “….l’ambiente principale…è dentro uno spazio più grande che è incluso a sua volta in uno spazio più grande e così via. L’interno è in sottordine all’interno di un interno….le logge al primo piano sono ricavate tra almeno tre strati di muri….”. Che vi debbo dire? Ho avuto a queste parole il flash di Santa Sofia a Costantinopoli, come la sentii quando vi entrai. Lì per lì non capii il mio straniamento, abituato a partecipare al rito nelle basiliche costantiniane. Adesso mi par di capire. Mentre le basiliche romane, pur mantenendo l’antico nome, erano rivoluzionarie, la grande basilica sul Bosforo era il luogo profano dove, allo stesso modo, per esempio, di una basilica Ulpia, si celebrava la presenza lontana, prima di un Imperatore e qui di un Basileus. Fu naturale per i Sultani, eredi diretti di quel potere imperiale, ora califfato, appropriarsi di quella forma. Dalla splendida e vicina Moschea Blu, alle altre che disegnano il profilo storico di Istanbul, alle innumerevoli volute da Erdogan tra i grattacieli della moderna espansione, esprimono tutte lo stesso concetto sopradescritto da Michelucci: “uno spazio dentro un altro spazio dentro un altro spazio”. Adesso, da cattolico, mi chiedo quale sarà, se vi sarà, il futuro della nostra chiesa bimillenaria e dei suoi luoghi rituali, schiacciati sempre più o da una visione protestante o da una islamica visione prepotente.
    Oh, ragazzi! Queste sono considerazioni che, per dirla alla Popper, sono confutabili. A questo serve un blog!

  3. Sulle dimensioni necessarie e sufficienti delle chiese, che quello che dice Simone altrove mi pare condivisibile, rimando al blogghetto di Cristiano Cossu [ C T O N I A ]che ha pescato dal Nulla delle immagini straordinarie.

    Architetture piccole ma per niente commoventi.
    Meraviglisamente logiche. (A proposito! La logica è la strada aperta a tutti per profanare l’architettura liberandola dall’arte – accidenti! mi mancano ancora un paio di post su Quinto di Caniggia ma mo’ me so’ ficcato in chiesa, mannaggiammé!).

    Non sono d’accordo con 43 quando dice che ci si potrà sempre consolare con le chiese tradizionali perché ormai le chiese moderne hanno persone ordine e centro.
    Ma come fai a consolarti a meno di non abbassare la soglia della tua credulità.
    Ordine e centro l’hanno perso irrimediabilmente anche le chiese antiche.
    E lo dice un “tipologico” che insegna (tenta di insegnare – “non sono un maestro”) a comporre l’architettura mai dimenticandosi delle basi: assi e gerarchie (vedi sopra voce “logica” – in principio era…).

    Quella simmetria, quel centro, quella stabilità possiamo volendo ri-costruirle ancora, ma sono una stupida messa in scena, un simbolo vuoto, scenografia.
    Ve la dico schietta? Paganesimo.
    Di questo bisogna esserne coscienti come progettisti.
    Uomo avvisato almeno è mezzo salvato.
    Alla faccia di certi consulenti teologi “tradizionalisti” che vescovi troppo premurosi affiancano agli architetti nella stesura dei progetti, genere Padre Grasso (per fortuna ce ne sono però che sdoganano Fuksas e Anselmi).

    Non abbiamo più bisogno dell’altare su cui sacrificare il nemico (etimologia di “ostia”) o noi stessi oppure al loro posto un capro espiatorio o un vitello.
    Abbiamo bisogno di un soggiorno con una tavola, una mensa, dove fare “memoria” di un sacrificio fatto storicamente e definitivamente un paio di millenni fa una volta per tutte.
    E non era un animale quello che ci ha lasciato le penne ma Dio stesso.
    Che cosa complicata! Il mondo si è rovesciato.

    Duemial anni c’è voluto per capirlo bene. Poi qualche santo c’è arrivato prima ma abbiamo fatto finta di non sentirlo.San Paolo prima di tutti che San Pietro era di coccio ma serviva una testa dura per mettere su quello che è stato messo su.

    Quindi torniamo pure nelle meravigliose icone di architettura che sono le chiese armene o in San Clemente a Roma o anche nella Basilica di San Marco a p.za Venezia con il suo strepitoso “pastiche” di bizantino e rococò, e riconosciamo quel “sacrum” così come l’hanno inteso i nostri nonni e i nonni dei nonni dei nonni dei nonni…

    Riconosciamolo e mettiamolo a confronto per qualità con il sacro che ci è richiesto e con cui non vogliamo avere a che fare perché è “fuori”, nel mondo, ed è veramente scomodo. A volte puzza di spazzatura e sudore ed è molto sporco.

    Molto più tranquillo pensare ancora al D U O M O, alla supercasa dove c’è il dio e dove andare a timbrare il cartellino nelle feste comandate. Manica di marchettari della fede. Io per primo.

    Giancarlo Galassi :G

  4. sergio 43 ha detto:

    Comprendo benissimo ciò che dici, Giancarlo. E il tema che mette a confronto due modi di intendere la Chiesa, il tradizionalista e il progressista. Niente di che rispetto a quello che è avvenuto in quasi duemila anni di magistero: eresie, scismi. La crisi odierna, sentivo ieri, potrà essere risolta dal prossimo Concilio. Tra quanto? Una ottantina d’anni. Nel frattempo, per quanto riguarda l’architettura, alcuni si commuoveranno guardando l’altare in fondo alla navata, altri stupiranno tra gli archi di San Giovanni Rotondo, cercando in giro luoghi una volta noti. Una volta inquadrata la mensa, alcuni assisteranno al ripetitivo spettacolo commemorativo, giusto per rinfrescare la memoria, altri in estasi vi vedranno la transustanzazione dell’ostia (a proposito: Ostia non veniva da Os=bocca? Da quando da Hostis=nemico? Non si finisce mai di scoprire qualcosa di nuovo!). Alcuni apprezzeranno un lontano canto gregoriano, altri schioccheranno le dita ad un ritmo yè-yè. Alcuni troveranno un confessore che ti lancia un’anatema (mi ricordo quando nella Basilica di San Giovanni ti prendevano a bacchettate sulla testa!), altri ti assolveranno con tre Padre, Ave e Gloria dopo aver confessato che hai rubato allo Stato. Ad alcuni basterà un pacato colloquio con un pretino di campagna (ma ce ne sono ancora?), altri dovranno risolvere i loro dubbi con qualche teologo-star della Pontificia Università Lateranense e, se non basta, andiamo a Lovanio. Ma con questi presupposti arriveremo mai insieme al prossimo Concilio? Catechismi, liturgie, esegesi! Sono parole che avranno ancora un senso allora? Se Dio, il Dio che invochiamo nel Credo, come dicono in tanti o è morto o non si sa dove è andato e noi oggi non stiamo neanche tanto bene, figurati tra ottanta anni quando, non vedo speranze, il mondo sarà coperto dalla spazzatura, brutto, sporco e cattivo. Come se poi, da che mondo e mondo, il mondo non fosse stato sempre lo stesso, anzi! Abbiamo la presunzione che noi siamo i più cattivi di sempre e allora, “liberi tutti”1, specialmente gli architetti, finalmente liberi di disegnare quello che gli pare per fedeli sempre più assenti e vaganti in spazi sempre più svagati e senza centro. Mio Dio! Mi sento di essere un uomo di poca fede e allora come il pubblicano mi batto il petto umiliandomi dal fondo del tempio….ma se non c’è più un centro non ci può essere neanche più un fondo per cui: Buonasera e scusate il disturbo!

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