Isabella Guarini commented on DAVID E BORIS … DA MOSCA A ROMA E RITORNO …
“Il racconto di Eduardo Alamaro sula vicenda Zipirovic -Jofan è sorprendente e getta una luce diversa su quella che fu la l’opera di Jofan, ritenuto dalla cultura architettonica moderna, uno storicista impenitente., un restasuratore della cultura accademica. Come sempre avviene la complessità delle vicende consente sempre la sopravvivenza dei loro protagonisti, mentre la semplificazione si consuma nel tempo stesso della sua esistenza senza possibiità di ritorno!”
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Il Palazzo “italiano” … dei Soviet … « Archiwatch – Archiwatch – Blog
Armando Brasini … un maestro romano … per l’architetto di Stalin …







Professore,
che bello quel suo vecchio post su Brasini e sulla sua modernità.
Anni fa, quando intrapresi la mia battaglia a difesa di Brasini, che a Valle Giulia veniva ancora definito (non dico da chi anche perché ormai non è più tra noi) uno “stronzetto barocco”, lo feci anche perché lo sentivo combattivo come me nell’idea della modernità in continuità con la tradizione.
Voglia quindi consentirmi di aggiungere qualcosa, a lei certo ben nota, a completamento della difesa di questo gigante del Novecento ivittima di assurde e vergognose accuse da parte di un manipolo di individui in malafede che, dal basso della propria cultura, ha corrotto la storia dell’architettura (e il fare architettura) del Novecento post bellico.
Brasini non era uno che le mandava a dire, non si fermava nemmeno davanti al duce … come nell’aneddoto raccontato nella sua autobiografia, aneddoto che riportai nel mio articolo “Sacrificati da Rutelli sull’Ara Pacis?” pubblicato su Carta Qui, il Lazio e Roma nr.7 del Febbraio 2006:
«Ricorderò che al tempo in cui presentai a Mussolini i progetti della via Imperiale, della via del Mare, l’ingrandimento della Piazza dell’Ara Coeli (che venivano a formare un’unica visione con il complesso monumentale che circonda il Vittoriale), un giorno mi accorsi che tra il Palazzetto Venezia in Piazza San Marco e la via dell’Ara Coeli si allestiva un grande recinto che aveva l’apparenza di un cantiere edilizio. Meravigliato, per rendermi conto di quanto stava succedendo chiesi notizia in proposito al governatore di Roma, il Principe Boncompagni, il quale mi informò di aver ceduto l’area recintata alla “Confederazione dell’Industria” la quale avrebbe fatto costruire un grande edificio. Alle mie proteste mi fu risposto che non vi era più nulla da fare perché il progetto del costruendo palazzo era già stato approvato dai più eminenti architetti del consiglio superiore dei Lavori Pubblici, dal ministro Ricci e financo da Mussolini, il quale aveva firmato di suo pugno il progetto stesso. Posto di fronte al fatto compiuto scrissi una lettera vivacissima a Mussolini, facendo presente che l’approvazione da parte sua della costruzione di quel palazzo era in netto contrasto con quanto egli aveva approvato precedentemente, mentre lo stato di fatto veniva a compromettere irrimediabilmente l’intera zona. Mussolini rendendosi conto dell’errore mi fece chiamare, mi ringraziò, ed accettò il mio consiglio; dopo di che diede ordine di sospendere l’inizio dei lavori e ciò permise di salvare la visione del Campidoglio e di tutto quanto lo circonda e che forma la più grande visione della romanità nelle sue epoche».
A chi non lo sappia, o sia ancora convinto delle falsità che si son dette su Brasini, è bene ricordare che egli, ingiustamente condannato alla damnatio memoriae di cui parla Muratore nel suo saggio, in realtà aveva già avuto, prima della fine del ventennio, non pochi problemi con Mussolini, e non per l’aneddoto appena citato, ma per aver partecipato al concorso per il Palazzo del Soviet e, soprattutto, a causa della Esposizione Italiana di Architettura Razionale organizzata da Pier Maria Bardi nel ’31, mostra che aveva come scopo la promozione della Nuova Architettura, e la messa al bando dell’architettura “vigliacca e passatista”. In questa mostra, per rendere possibile il secondo scopo, un’intera stanza venne dedicata ad un pannello, realizzato con la tecnica del collage, in cui foto e disegni delle architetture tradizionali realizzate nel primo Novecento in Italia venivano ribattezzate la “Tavola degli Orrori”.
Riguardo a questa mostra e le sue conseguenze sull’opera di Brasini, questo è ciò che scrissi in nell’articolo “Origini di una dittatura architettonica in Italia”, pubblicato su RC nr.62 del Marzo 2011
Per comprendere il peso di questo evento, e le conseguenze su ciò che avvenne di lì a breve, è necessario ricordare quella che fu l’influenza che esso ebbe nella mente di Benito Mussolini e dell’intellighenzia italiana dell’epoca.
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Nel 1929, il grande Armando Brasini venne incaricato di costruire a Roma, in via IV Novembre, un edificio che rimpiazzasse il demolito Teatro Nazionale di Francesco Azzurri. Il Teatro era stato demolito, nonostante la notorietà dell’autore e l’importanza funzionale dell’edificio, perché ritenuto inadeguato al carattere architettonico di Roma. D’Annunzio accusò la facciata di «essere pretenziosa e volgare e la tettoia in vetri orribile perché è una cosa industriale, brutta, meschina, comprata un tanto al metro, appiccicata là a far da testimonianza alla taccagneria che ha presieduto al compimento di tutta la parte ornamentale!» Mussolini ritenne Brasini l’unico architetto degno di poter mettere le mani su quel delicatissimo punto di Roma, tra l’altro allineato frontalmente a Palazzo Venezia, e si compiacque del progetto che dimostrava la validità della scelta dell’architetto.
All’indomani della mostra di Bardi però, in occasione dell’inaugurazione di quel Palazzo (28 marzo 1932), l’opinione del Duce era totalmente cambiata: nel suo discorso alla Camera dei Senatori disse: «il palazzo è un autentico infortunio capitato proprio alle Assicurazioni agli Infortuni». Questa frase fece sì che l’INAIL decidesse di non utilizzare più quell’edificio come sua sede, perché ritenuto una “vergogna”, e lo cedette in affitto all’Aviazione Italiana.
Cordialmente
Ettore