Cosi … o … così

arapacis

da Isabella Guarini …

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19 Responses to Cosi … o … così

  1. sergio 1943 ha detto:

    Io già l’ho detto come la penso!

  2. Manu ha detto:

    Ragazzi, per favore, basta !!!!! Non se ne può più. L’ intervento del nostro amico all’ Ara Pacis è condivisibile o meno, ma ciò che la polemica nasconde è in realtà un attacco alle archi-star, alle grandi firme dell’ architettura e del contemporaneo in genere. Siamo tutti d’ accordo, anche le grandi firme sbagliano, molte volte hanno alle loro spalle sponsor politici, sfruttano i neolaureati per stage non retribuiti e molte volte, molte volte son dei gran figli di buona donna. Tuttavia se si vuol discutere di architettura, se ci si vuole indignare, se si vuole protestare o vomitare, allora dobbiamo guardare ad altro…ma dico…perche cavolo ci infervoriamo tanto contro l ultima opera di ogni archistar e dimentichiamo le valanghe di merda che vengono riversate nelle periferie delle nostre città, sulle nostre coste, nei nostri paesaggi collinari ??!! Perchè non si inveisce contro l edilizia di pessima fattura (99% dell’ edificato), quella che i radical-archi-chic amano definire “da geometra”, ma che quasi sempre porta la firma di architetti ???? Dovremmo far partire una campagna di sensibilizzazione che riguardi l edilizia diffusa…una battaglia contro la distruzione sistematica dei nostri paesaggi, contro la mancanza di concorsi di idee e smetterla di discutere sempre delle stesse due o tre opere.
    Saluti

  3. biz ha detto:

    Non mi piace quest’uso del photoshop, con l’immagine sgranata, bassa definizione.
    Così, si potrebbe massacrare la percezione di qualsiasi edificio.
    Laddove “Dio è (anche) nei dettagli”
    (anche lo aggiungo io … frase attibuita a Mies, ma i tanti architetti “italocalvinisti” avranno certamente notato che Italo Calvino, in lezioni americane, leggerezza, la attribuisce a Flaubert … )

  4. biz ha detto:

    lezioni americane, “precisione” of couse … per la precisione.

  5. sergio 1943 ha detto:

    Vabbè, biz! Qui, giustamente, si voleva stimolare un’altra sensibilità! Per questo il photoshop vuole esprimersi in maniera pittorica più che fotografica. Possiamo riguardare un singolo edificio approfondendone ogni più minuto dettaglio ma quando il nostro occhio si allarga a un più largo orizzonte ne coglie l’insieme, Guardando un mosaico non se ne coglie la singola tessera ma, se, per necessità di restauro, ne é stata campita neutralmente una lacuna, l’occhio avverte subito la ferita. Quando ti affacci dalla terrazza del Gianicolo cogli il tono quasi monocromatico della città (creato non da volontà estetica o speculativa ma dall’uso del materiale ivi presente, calce, pozzolana e travertino) salvo poi osservare perplesso lo strano e avulso biancore del Vittoriano. Bene! Quello che si discute, anche in questo photoshop che ti ha disturbato, é l’altrettanto avulso biancore dello straniante contenitore. Allora? L’immagine a destra non accatitva di più di quella a sinistra? Quindi, come Catone ruppe gli zibbidei ai Quiriti con il suo “Delenda Carthago” finchè non ottenne il suo scopo, io insisto (che mi costa?) con il mio “Albus murus movendus extra moenia”. Fuori! Mandiamo la teca ad adornare qualcuno dei meritori spazi verdi nel più prossimo hinterland cittadino. Farebbe un figurone lì, al Parco di Centocelle, dove voleva mandarlo il primo Alemanno.

  6. pi ha detto:

    D’accordissimo con Manu. E’ evidente che diffondere via web stroncature feroci a carico di architetti di grande successo e notorietà, addirittura correggendogli il compito con Photoshop, forse dà un brivido di libidine e di rivalsa, ma prima di accanirsi a buon mercato contro Meier e soci, se proprio ci si sente investiti della missione di combattere il brutto e il mediocre, c’è da considerare quell’oceano di autentica merda (come dice Manu) che ormai ha sfregiato ogni angolo d’Italia, e gli autori non sono solo geometri più o meno artisti, ma tanti, tantissimi architetti. Forse chi li addestra nelle aule universitarie, sfornandone a migliaia, dovrebbe farsi un esame di coscienza.

  7. isabella guarini ha detto:

    Ha ragione sergio 1943. Non avevo affatto l’intenzione di rappresentare un progetto, ma la semplice idea di armonizzare la nuova facciata dell’Ara Pacis nella prospettiva urbana. Nella foto sono evidenti le linee orizzontali che scompongono la facciata in riquadrature con effetto ad excludendum, mentre il ritmo verticale, simil colonnato gigante, introduce verso il contesto preesistente, anche con le tonalità di colorazione. Certamente si può fare di più e meglio, ma non per questo bisogna rinunciare a fornire proposte alternative anche se solo teoriche.

  8. Biz ha detto:

    Sergio. Premesso che non volevo fare una difesa del lavoro di Meier per l’Ara Pacis (non mi convince affatto, ed è comunque difficilmente difendibile), direi che questa fotoscioppata evidenzia, oltre al colore come dici (però allora anche il “cornicione” a destra famolo non bianco), anche la preferenza per le linee verticali anzichè orizzontali.
    Magari all’esterno è giusto: non sono sicuro sia giusto all’interno, per via dei tagli d’ombra che ne conseguirebbero sull’ara, che sarebbero più marcati.
    Insomma, fare una cosa lì, per quello scopo, ha un grado di difficoltà a mio avviso davvero elevato (e Meier non ce l’ha fatta, indubbiamente, a far qualcosa di convincente).
    Però siamo sicuri che la soluzione giusta a questo punto è demolirlo? (dire “rimontarlo” mi pare una sciocchezza, ditemi se sbaglio … non è fatto col Lego!).
    Per fare poi che?
    Di primo acchito, magari che si provi con una verniciata, se il problema è il biancore del materiale.

  9. Guss ha detto:

    e quindi? Siccome tutto è già così (“Quando ti affacci dalla terrazza del Gianicolo cogli il tono quasi monocromatico della città”) deve rimanere tutto così? Non ne usciremo mai? “Ma una volta le carrozze erano di legno e trainate da cavalli. Perchè non obblighiamo i produttori di automobili a tornare al legno e alla propulsione a biada?”
    Allora datemi la risposta DEFINTIVA, voi conservatori,: quale Roma é quella finita, da usare come termine di paragone per tutte le modificazioni a venire?

  10. Pietro Pagliardini ha detto:

    sergio 43, certamente accattiva di più la foto a destra per la mancanza del bianco, ma accattiva molto di più per la presenza di elementi verticali e per l’omogeneità generale del prospetto, piuttosto che per la rottura di questo con campiture grandi che racchiudono parti a sviluppo orizzontale, totalmente improprie e anche banalotte in sè, da progettino di composizione I.
    Nella foto a destra l’edificio parte da terra, ha concretezza, e si percepisce un minimo di dialogo con la chiesa in sfondo, in quella a sinistra c’è solo astrazione e l’edificio vive di vita propria.
    Saluti
    Pietro

  11. brava Manu,

    vieni con noi nel Movimento amate l’architettura.

  12. manuela marchesi ha detto:

    Beh, allora per consolarsi ecco la chicca:
    Museo d’Arte- Strongoli (Crotone) – Studio Coop Himme(l)bau.
    Un nodo d’acciaio sospeso sulla sommità piana di una brusca collina.
    Pubblicato oggi sul supplemento “Casamica” del “Corriere dellla sera”. E non importa che sia una rivista di larga diffusione, per niente specialistica, a presentare il progetto, anzi, è peggio in quanto è un modo come un altro per suggerire “tendenze” a un pubblico non proprio avveduto.
    Di porcate se ne vedono assai, ma questa mi ha impressionata per la violenza che fa all’ambiente che la accoglie(rebbe).
    Ragazzi, chi ha comperato il Corriere con inserti, vada a vedere pag. 28 di Casamica e vedrà di cosa parlo.

    Quanto alle “merdate” che sporcano il nostro territorio, va a loro prestata la vigile e incazzata attenzione di specialisti e non, perché la cultura diffusa è molto distratta sull’argomento salvo poi farsi impressionare dalle opere “archistar”, come bene o male e anche a buona ragione si fa con la Teca. La quale è deprecabile e alla quale seguirà la spianata della piazza Augusto Imperatore…cosa che coinvolgerà comunque la gente comune e il paesaggio urbano.

  13. sergio 1943 ha detto:

    Caro Guss, se confronti la Roma rappresentata nella pianta del Nolli ti accorgerai che quella Roma é ben piccola cosa in estensione rispetto la Roma moderna. Non voglio fare inutili e nostalgiche sviolinature su quella Roma verso la quale si spostavano regine di Svezia, Milords inglesi, poeti di Alemagna e delle Russie (soltanto la lettura delle targhe di marmo é un compendio di storia!), pellegrini di tutte le nazionalità. Veramente per te tutto quello che vedi dal Gianocolo é un corpo morto, necessitante opere di rivitalizzazione (ci hanno già pensato in tanti nel passato, Savoia, maestri di Predappio, speculatori di tutte le risme e non é bastato usare cotto e travertino, come ha fatto Piano all’Auditorium, per comporre qualcosa di degno di Roma!)? E’ vero! Non mi aspettavo che la cultura progressista che era stata così ben rappresentata dai Cederna, dagli Insolera che avevano scritto pagine che ritenevo definitive, venisse tradita una volta che la classe politica cresciuta a quegli insegnamenti conquistava l’Aula di Giulio Cesare. E siccome é sempre un fatto di cultura, mi chiedo se l’altro sindaco, l’altro Giulio, Giulio Carlo Argan, si sarebbe comportato come i suoi successori. Ami come me l’architettura moderna, Guss? Lasciamo in pace e, quando é necessario intervenire, trattiamolo con tutti i riguardi questo francobollo di città! Abbiamo lande immense intorno, conquistate, il più delle volte velleitariamente, come dicono manu e pi, dalla moderna….come definirla ?..edilizia?…architettura? Quello é il nostro campo di battaglia! E, mentre nei vicoli e nelle piazze disegnate a misura d’uomo e di carrozze di legno e trainate da cavalli continueranno a passeggiare pedoni e carrozzelle, useremo le automobili nei più agili attraversamenti Nord-Sud, Est-Ovest tramite tangenziali, sottopassi e quant’altro ci offre la moderna scienza del traffico. Io vedo quella Roma dal Gianicolo come una pietra preziosa e immutabile, sorretta da un anello che dipende da noi sia d’oro o di bassa lega.

  14. manuela marchesi ha detto:

    “Io vedo quella Roma dal Gianicolo come una pietra preziosa e immutabile, sorretta da un anello che dipende da noi sia d’oro o di bassa lega.”

    Caro Sergio 43, anche io (dal Pincio-parte Villa Medici e dal Gianicolo quando ci capito) guardo il di sotto con amore e incanto, cupole e campanili, colore morbido e colli lontani, e ogni volta faccio il gioco un pò puerile di individuare le varie emergenze, arcinote, come per fare l’appello della bellezza…e notare anche l’emergenza del Quirinale ormai bianco che, secondo me, è troppo bianco…
    A Torino mi ha colpito in via Sant’Agostino-via Santa Chiara-via Bonelli, pieno Quadrilatero romano (buffo: Roma ha il Tridente e Torino il Quadrilatero..) l’intervento fatto tra il 1978 e il 1984 di Gabetti e Isola in un’area delicata per i problemi che presentava, tra conservazione e ricostruzione. Ma che fosse di Isola e Gabetti l’ho saputo dopo anni che lo ammiravo.
    Ciò per dire che il bello quello vero parla da solo.

  15. Guss ha detto:

    La città non è una cartolina, nè una piantina da ammirare dall’alto. La città è fatta di persone, di attività, di strade, piazze ed edifici. Questi ultimi non sono solo colore e materiale; sono macchine complesse, quasi mai opere d’arte. E’ nella sensibilità dell’architetto mettere insieme tutte queste cose. Ora, magari Meyer avrà usato la mano pesante, però è un opera contemporanea, (se sarà moderna lo sapremo solo tra qualche anno) e quindi acquista valore per la sua contemporaneità, perchè è il prodotto della cultura attuale. Se non ci fosse stata una scelta risoluta stavamo ancora a discutere se era meglio il progetto di Bramante o quello di Sangallo o quello di Michelangelo. E magari c’era ancora la bellissima basilica paleocristiana, tanto in tinta col contesto, ma non c’era s.Pietro. Vorrei aggiungere che ci sono cose oggettivamente disastrose (parcheggio del Pincio) che vanno evitate, ma per quelle solo discutibili lasciamoci la possibilità di sbagliare.

  16. sergio 1943 ha detto:

    “D’accordissimo!”, Manuela! Come dice in continuazione, come un mantra, il grosso operaio dell’acciaieria, amico dei protagonisti nel film “Il Cacciatore”.

  17. pasquale cerullo ha detto:

    La verità è un’altra-. Lì non ci doveva stare niente e l’Ara Pacis spostata nel luogo più confacente.

  18. Emanuele Scara ha detto:

    …A scanso di equivoci…”Manu” non sta per Emanuela o Manuela… bensì per Emanuele
    Saluti

  19. manuela marchesi ha detto:

    Proprio perché la città non è una cartolina ed è fatta di persone e tutto il resto, la contemplazione dai Colli è anche occasione di riflettere proprio sulla città tutta e sulla cultura di chi la amministra e governa, nonché sulla cultura in sé.
    Colore e materiali sono indici della cultura che li adotta, per cui oggi Roma sta diventando bianca (Villa Medici, Trinità dei Monti, Quirinale, palazzi vari, ecc.). Il risultato oltre che visivo è anche fisico perché tutto quel biancore è uno specchio ustorio per chi cammina a piedi…credimi, visto che a piedi vado. Anche il colore caratterizza una città, non è una ricercatezza snob.

    Quando guardo Roma dall’alto ho ben chiaro che la vita là sotto, la Città là sotto ha perso la sua anima profonda, i suoi abitanti storici, la sua cultura minuta, quella che dà spirito e anima ai muri. C’è là sotto una disgregazione speculare a quella delle periferie: qui alto commercio, turismo a soffoco, ristorazione dubbia sia di qualità che di impresa…, macchine di potere o di noleggio che occupano le isole pedonali, il Potere che te lo ritrovi a ogni passo con le sfreccianti auto di servizio sempre con l’aria conndizionata accesa, eccetera perché sarebbe lungo.
    Dal Belvedere so che oltre le cupole ci sono le periferie mangiate da edilizia superflua, centri commerciali nel deserto, deserto pronto a essere urbanizzato con “accordi di programma” per costruire perfida architettura, se mai certo costruito può chiamarsi tale.
    Per questi motivi guardare la bellezza con occhio d’amore è per me una necessità, e non un “come eravamo” né sentimentalismo, ma alimento.
    Aggiungo in conclusione che la frequentazione assai superficiale della cultura giapponese si è fermata al Sushi, Geisha, Zen, Arti marziali e poco più. Non è stato compreso il senso profondo del rispetto della Natura, del lavoro manuale, di un diverso senso della bellezza, meno clamoroso ma più interiore.
    Jun-ichiro Tanizaki in “Libro d’ombra” dà conto di quello che voglio intendere circa la Bellezza.
    Per il Giappone contemporaneo un buono sguardo si ha con “Mistero Giappone” , quaderno speciale di Limes ottobre 2007, quasi introvabile.
    Un saluto a Manu che mi ha confuso perché così vengo spesso chiamata.

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