2009 … Manifesto contro … le Archistar …

Riaprendo la posta dopo qualche giorno …
troviamo tra gli auguri e volentieri vi giriamo questa duplice segnalazione, con il relativo commento, di Pietro Pagliardini che, naturalmente, qui ringraziamo …


“Gent.mo Professor Muratore

prima di tutto le auguro Buon Anno.

Le scrivo per comunicarle che, per ora e non so per quanto, è disponibile gratuitamente in rete il nuovo libro di Nikos Salìngaros che raccoglie una serie di scritti e interviste che fino ad oggi erano difficilmente disponibili in italiano, insieme a contributi di altri autori tra cui anche il suo.

Questo è il link:
http://zeta.math.utsa.edu/~yxk833/NAA-italian.pdf

Il testo è ancora soggetto a revisioni e correzioni, come Nikos specifica bene all’inizio del testo, ma la struttura nel suo complesso dovrebbe essere abbastanza definita.

Come vede il titolo non lascia spazi a dubbi sull’obbiettivo: “No alle Archistar. Il Manifesto contro le avanguardie”.

Con il suo spirito battagliero, Salìngaros non intende lasciarsi sfuggire il momento di difficoltà che attraversa l’architettura dello star-system, non troppo adatta a periodi di difficoltà economiche come l’attuale, e soprattutto un certo rifiuto verso questo sistema da parte dell’opinione pubblica che comincia a stufarsi di grattacieli e metricubi a gogò, presentati per scopi filantropici e in nome dell’arte e dell’ecologia. E’ proprio una vera beffa il fatto che i grattacieli passino in nome della “sosteniblità”, principio che in realtà è proprio l’arma vincente contro questa tipologia. Questo fatto dà il segno della forza e della strafottenza di questo sistema. Credo che a Roma si direbbe “a impuniti!!!!”.

Ma il calo del desiderio è palese anche da parte della critica e della stampa a larga diffusione in ogni parte del mondo: negli USA il critico del New York Times Nicolai Ouroussouf ha qualche ripensamento, in Cina non sono più così sicuri che la città possa continuare a crescere in verticale, l’Italia, fino a qualche anno fa immune da questa malattia del grattacielo, dopo questa grossa fioritura primaverile, attraversa una fase di rigetto, ma anche Londra e Parigi cominciano a dare segni di cambiamento.

Se le fosse sfuggito le mando questo link ad un articolo del Corriere della Sera, dal significativo titolo “Il crepuscolo dei grattacieli”:
http://archiviostorico.corriere.it/2008/dicembre/30/crepuscolo_dei_grattacieli_co_9_081230095.shtml

Comunque i grattacieli sono la punta dell’iceberg di un sistema che è globale e raffinato e che è pronto a riciclarsi con altri metodi (compreso il Viagra per stimolare il desiderio della critica). Ormai sono abbastanza noti i legami tra i grandi studi e il mondo della finanza che è presente, in diversi casi, nei consigli di amministrazione di firme internazionali. Io, in realtà, non ci vedo niente di male in questa situazione in sè, se non fosse che l’operazione è opaca perché non dichiarata: se fosse scoperta e pubblica tutti, specialmente gli architetti e la critica che vuol capire, saprebbero che la firma di un progetto niente altro è che un brand, come la Coca Cola (mia grande passione), o una griffe di abbigliamento e che dietro ogni progetto difficilmente c’è l’autore, l’architetto, l’artigiano che segue il suo lavoro, ma i creativi che producono e riproducono il marchio, che pubblicizzano, che fanno lobbying, che curano pubbliche relazioni, che fanno i progetti, ovviamente finalizzati al massimo profitto senza interesse alcuno per i luoghi e per le persone. Non voglio certo dire che “piccolo è bello”, anche se spesso lo è, ma l’architetto che presta la sua faccia e l’organizzazione che produce e commercializza completamente separata mi sembra il massimo della presa in giro.

E in molti blog e riviste si prendono invece sul serio questi progetti, si discetta di quella soluzione, si analizzano le scelte, si discute dei materiali innovativi, sempre con il presupposto dell’architetto-artista-demiurgo che sta al tavolo da disegno e crea!!!

Non sono moralista e non mi scandalizza affatto la cosa perché questo è il mondo degli affari che ha questo compito: fare soldi e produrre ricchezza. Questo deve fare e questo fa. Vorrei solo, ingenuo che sono, che fosse fatto alla luce del sole perché tutti lo sappiano e capiscano di cosa si parla.

Rem Koolhaas è un genio e un precursore in questo senso, ha visto tutto e ha capito tutto prima di altri, ha inventato tutto direi. Ha saputo legare l’immagine pubblicitaria di un prodotto all’immagine pubblicitaria del suo prodotto, in modo tale che 1+1 non fa due ma molto di più. Ecco, andrebbe giudicato per questo aspetto della sua creatività, e sarebbe quasi sempre il primo in classifica.

Io, essendo piuttosto realista al limite del cinismo, non sono vittima di facili illusioni e non penso che tutto cambierà o, almeno, ciò che cambierà sarà in gran parte l’effetto di una causa negativa, la crisi appunto; però credo che nei modestissimi limiti dei nostri blog sia bene cogliere questa opportunità di disvelare la trappola che c’è dietro questo poderoso sistema economico, di cui ora si possono leggere meglio i contorni.

Sulle future scelte alternative, caro professore, posso solo dire che ognuno conserverà, e cercherà di affermare, le proprie opinioni e non potrebbe essere diversamente. La previsione è facile, addirittura banale, cioè non è neanche una previsione.
Capisco che il critico di architettura voglia prevedere (e indirizzare) il futuro ma io non sono un critico e non posso prevedere un bel niente, anche se mi piacerebbe indirizzare.
Chi cercherà la terza via, che la quarta, chi la prima. Però c’è un comune denominatore che unisce molti, cioè la certezza che non si può né si deve fare architettura contro i luoghi, contro la storia e contro la gente. Mi sembra un collante piuttosto forte, se non si guardano troppo le

In un soprassalto di mania di grandezza, e preso dal clima augurale del nuovo anno mi verrebbe da scommettere sul 2009 come anno della fine di quella che Salìngaros chiama l’architettura anti-umana e fissare nel 1° gennaio 2009 la data dell’inizio della fine di quel sistema: i presupposti ci sono, il Manifesto pure.

Forse porta pure male, perché le date degli eventi importanti si fissano dopo che gli eventi si sono avverati e fissarle prima è un pò gufare. Però, se uno non è superstizioso, può anche stare al gioco.

Caro prof. se avrò ragione, il prossimo 1° gennaio 2010 ci vedremo in trattoria a Roma, scelga lei, offro io (ma non porti tutto il suo dipartimento che la crisi non colpisce solo le archistar).

Altrimenti …. tutti a casa, a smaltire la notte di San Silvestro 2009 che trascorrerà ugualmente, con o senza le Archistar.

Ancora Buon Anno

P. P.

P.S.

Caro Pietro … caro Nikos …

tutto bene, …

ma non credo proprio che le Archistar abbiano niente a che vedere con le

avanguardie, …

comunque, Buon Anno a tutti …

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30 Responses to 2009 … Manifesto contro … le Archistar …

  1. filippo de dominicis ha detto:

    Volevo dedicarvi le parole di una canzone di Bugo:

    C’è crisi!
    Dappertutto si dice così
    E lo leggo sui visi
    Non è colpa solo del lunedì
    Sono nutellate di deliri
    E code e colpi di tosse
    E tu non piangi e non ridi
    Vivi come se niente fosse

    C’è crisi dappertutto
    Dappertutto c’è crisi

    Oppure semplicemente
    Oppure semplicemente
    Oppure semplicemente
    Oppure semplicemente
    Oppure semplicemente
    Fa niente.

    Niente più come prima
    E menomale e menomale…
    E’ una nuova strategia
    Urlate, cazzo, urlate!
    Con i beni separati
    Econ i mali in comunione
    Siamo tutti in fila indiana
    E che simpatica carovana!

    C’è crisi dappertutto
    C’è crisi dappertutto
    Io lo leggo sui visi
    Dappertutto c’è crisi

    Oppure semplicemente
    Oppure semplicemente
    Oppure semplicemente
    Oppure semplicemente
    Oppure semplicemente
    Fa niente.

    C’è crisi dappertutto
    C’è crisi dappertutto
    Io lo leggo sui visi
    Dappertutto c’è crisi

    Oppure semplicemente
    Oppure semplicemente
    Oppure semplicemente
    Oppure semplicemente
    Oppure semplicemente
    Fa niente…fa niente!

  2. Pietro Pagliardini ha detto:

    Per chi eventualmente fosse arrivato a leggere fino a quel punto, manca chiaramente una parola al termine di un periodo: la parola è “sfumature”.
    Per cui la frase completa è: “Mi sembra un collante piuttosto forte, se non si guardano troppo le sfumature”.

    Non è una mancanza così importante da fermare una rivoluzione, però mi scuso ugualmente.

    Pietro Pagliardini

  3. knulp ha detto:

    la speranza che questa crisi, oltre a sgonfiare l’economia virtuale, porti via con se anche molta di questa cosa che continiamo a chiamare architettura ma che in realta’ e’ marketing tridimensionale.

  4. Cristiano Cossu ha detto:

    Maremma, di nuovo Salingaros…
    Speravo in un 2009 libero dalle lezioni del più noto sintetizzatore e divulgatore dei Bignami sull’architettura! Continuiamo a prendere fischi per fiaschi, e viva la libertà! In effetti c’è posto per tutti…
    saluti
    cristiano

  5. salvatore digennaro ha detto:

    Buon anno a tutti.
    Quindi si incomincia con un manifesto, come dire anno nuovo idea vecchia, (almeno quanto i grattacieli) torna l’era dei decaloghi per una architettura giusta, certo con tutti gli avanzi messi a cuocere nel calderone qualcosa verrà fuori.
    Ho letto rapidamente, “all’americana”, come diceva un mio professore di sociologia, una parte del testo messo in rete e penso che si tratti un operazione speculativa, una forzatura, nel senso che si fa accomodare in questo testo-manifesto un pò tutti quelli che hanno espresso in forma diversa il loro disappunto al sistema dell’architettura contemporanea cercando in maniera disinvolta un filo rosso che possa dar forza alla tesi. E’ una sorta di puntata a tema di un talk show dove si parla di movimento moderno, lobby immobilari, avanguardie, Tom Wolfe, Berlusconi ecc.. insomma si strizza l’occhio a tutti, una sorta di Arca di Noè.
    Bah!
    Ancora buon anno!

  6. sergio1943 ha detto:

    Volevo controcantare la canzone di Bugo, registrata da De Dominicis, con la più elegante e, forse, più positiva “Ma cos’é questa crisi” di Rodolfo De Angelis. Mi convince soprattutto il ritornello che dice “…lasci stare il gavazzare, cerchi un pò di lavorare e vedrà, paraparaparaparaparaparapà!, che la crisi passerà! Parapà parapà parapà parapà!” Si può trovare logicamente su You Tube.

  7. biz ha detto:

    Permane, tutto sommato, un paradosso di fondo: si parla di “Archistar” proprio perchè non esiste più nè un concetto condiviso di architettura nè dunque campioni, maestri, di essa. Da qui anche la solita replica (qui non fatta nei commenti) tipo “ma anche Michelangelo era un’archistar”.
    Insomma, il meccanismo è abbastanza chiaro: esistono operazioni edilizie sostanzialmente commerciali, a cui professionisti-star devono mettere la griffe, e il pubblico applaudire (invece di dire, giustamente: “ma che cazzo state facendo?”). Per essere una star, una condizione necessaria, non sufficiente, è quella di fare cose che appaiano nuove e “maiviste”, Questo meccanismo è culturalmente e artisticamente poverissimo, ed è del tutto diverso da quello per cui il maestro fiorentino Michelangelo veniva chiamato dal Papa per fare il cupolone.
    Credo dunque che, sul piano della analisi, sia necessario scindere i due corni dell’argomento: da un lato, questo meccanismo (star); dall’altro, quello dei fondamenti disciplinari che costituiscono una legittimazione artistica, oggi assenti, per cui si possa parlare di maestri e non di “star” (“archi”)

    vabbè, tanti auguri di buon anno, Professore, a lei e ai lettori e partecipanti del suo blogghe

    Guido Aragona

  8. Lapo Guidi Laini ha detto:

    Non capisco quest’odio per le archistar. Trovo invece molto mediocre la produzione architettonica italiana. Ci farei un pensierino!

  9. robert ha detto:

    ‘ste polemiche sulle archistar le considero semplicemente sterili. non perchè non si siano commessi errori o perchè io condivida le opere-star ma per il semplice motivo che non è il principale problema del nostro territorio. un grattacielo o due a milano o roma cosa vuoi che cambi nella vita delle persone, praticamente nulla (ah, tra l’altro… lasciamo perdere concetti come la sostenibilità, spesso e volentieri le città verticali son ben più sostenibili della bassa densità). penso che queste critiche siano, come al solito, l’altra faccia dell’iperformalismo di cui è affetta l’architettura, sia delle archistar, sia di chi è contro di esse. iperformalismo che non lascia vedere i disastri che quotidianamente professionisti, committenti e impresari perfettamente sconosciuti provocano sul nostro paesaggio (paesaggio nel senso complesso del termine, non mero ciò che si vede).
    come dire: continuiamo a lagnarci della ciglia nell’occhio che intanto la trave nell’altro nessuno ce la toglie.

  10. Pietro Pagliardini ha detto:

    A Robert: il fenomeno Archistar sono solo il frutto maturo di una concezione dell’architettura basata esclusivamente sul personalismo degli architetti che ha ignorato prima, per scelta ideologica, ignora oggi per scelta di marketing, la storia delle città il contesto, l’ambiente urbano qualunque esso sia; dell’architettura che deve lasciare il segno, il grande gesto dell’architetto-artista, indifferente a tutto ciò che non sia la propaganda della propria opera.
    In questo senso l’opera dell’Archistar è solo la punta dell’iceberg, ciò che si vede, colpisce la fantasia dei progettisti di provincia che quotidianamente operano nel territorio e nel paesaggio e che hanno prodotto, è perfino ovvio dirlo, la gran parte del costruito diffuso dappertutto. Però le Archistar fanno scuola proprio alla stragrande maggioranza di quei progettisti e agli studenti i quali si sentono autorizzati all’imitazione del “gesto” dell’architetto e così abbiamo tanti gesti individuali ognuno diverso dall’altro, ognuno “originale”, senza un filo conduttore comune, contrariamente alla testimonianza delle nostre città che sono invece la somma di tanti gesti individuali diversi l’uno dall’altro ma omogenei nel loro insieme.

    I modelli nella nostra società contano, eccome, perché ognuno di noi è influenzato nei comportamenti esteriori, nell’abbigliamento, nel modo di esprimersi, nel modo di scrivere, nelle passioni sportive, ecc dai mezzi di comunicazione e le archistar sono i divi dell’architettura e ciò che loro fanno diventa modello e scuola.

    Inutile, sterile e pericoloso, a parer mio, stare a discutere se un’archistar è più brava dell’altra, se quel progetto è migliore di un altro perchè il progetto da archistar è, per definizione stessa, non discutibile, non giudicabile se non rispetto alla volontà del proprio autore. Non esiste relazione nè con il contesto, nè con la storia dell’architettura, nè, più grave ancora, con i fruitori che devono subire la violenza di scelte cui non resta altro che fare comitati del no, con ciò dovendo anche subire il dileggio di essere indicati come gli “oppositori della modernità”.

    Tutte le archistar sono brave, nessuna esclusa, per definizione, per il semplice fatto di avere successo: esiste forse un metro di giudizio per giudicare un divo di Holliwood che non sia semplicemente individuale? Certo, io posso preferire il sorriso solare di Julia Roberts all’espressione inquietante di Uma Thurman, ma posso dirlo solo sulla base di gusti personali perché da come ci si presentano sullo schermo francamente non c’è molto da discutere, perché è il sistema nel suo complesso che ne decreta l’immagine e il successo. Questo è il livello di giudizio plausibile anche per le archistar.

    Parlare d’altro è, secondo me, inutile, vuoto e pericoloso perché significa stare al loro gioco, fare finta che si parli di architettura, invece si parla di spettacolo e di business insieme.
    Concludo facendole osservare che, se le fosse sfuggito, negli ultimi tempi l’edilizia nel nostro paese è caratterizzata da una serie impressionante di interventi (in programma o in costruzione) di grossa scala fatti da grosse società d’investimento e che utilizzano le archistar come immagine e copertura. Di questo passo, a parte la crisi, saranno loro a caratterizzare il nostro paesaggio e allora l’iceberg emergerà, contro i principi della fisica.

    Esaminiamo il fenomeno archistar e non spostiamo sempre il problema su altri problemi, che esistono certamente; “ma i problemi sono ben altri”, usano dire i nostri peggiori politici quando vogliono scansare un problema!
    Saluti
    Pietro

  11. Cristiano Cossu ha detto:

    Pietro, leggendo i tuoi interventi ormai automatici quasi quasi “le archistar” mi stanno diventando simpatiche… Arrivo quasi a voler consolare Rem Koolhaas, che è tutto dire!
    Insomma, non vorrei che pian piano tu ti stia trasformando in un nuovo Lenin, sai com’è, è andata a finire a schifìo etc. etc.
    ciao
    c

  12. isabella guarini ha detto:

    Condivido il pensiero di Pietro Pagliardini sul fenomeno delle archistar tanto esaltate dai media e usate come copertura per giustificare interventi di grossa scala realizzati da grosse società e imprese. Un fenomeno ad alta concentrazione di capitali per rappresentare l’economia della globalizzazione. Non mancano nella storia le architetture simbolo del potere, le Piramidi, i Templi, i Palazzi, i Colossi e Colossei, le Cattedrali, le Cupole, le Piazze etc.Tutte architetture-monumento che hanno anche scatenato violente polemiche e fratture, come la Cupola di San Pietro. Eppure quelle architetture producevano contesto, non solo per le relazioni sociali ed economiche ma anche urbane.In genere i testi di storia dell’architettura preferendo far apparire solo le gemme architettoniche, prive del loro contesto naturale o urbano. Appena nel novecento si è diffusa la concezione dell’architettura in relazione con il contesto. Le creazioni delle archistar contemporanee sono un ritorno all’architettura-monumento senza cassa di risonanza, sorde sul piano urbano e anche sociale. Il motivo sta nella concentrazione delle risorse economiche, sia private, per la deindustrializzazione, che pubbliche, come i Fondi Europei che hanno finanziato e sostenuto il global system dell’architettura in tutta Europa, per dare senso all’ Unione Europea, fatta con l’euro. Ma tutto è cominciato prima, con la caduta del Muro e la costruzione della nuova Berlino.

  13. salvatore digennaro ha detto:

    Certo il problema dell’architettura autocelebrativa, costosa, firmata, ecc. esiste ma ribadisco che i manifesti, tra l’altro approssimativi, come questo libro sono anch’essi da evitare, secondo me.

  14. filippo de dominicis ha detto:

    io credo che esista ancora una disciplina che ci consente di distinguere una buona architettura da una cattiva architettura, anche all’interno dell’opera di quelle che chiamiamo, con molta civetteria e un po di snobismo, archistar. Ci saranno buone architetture di Koolhaas e meno buone architetture di Koolhaas, esattamente come ci sono buone architetture di Bramante e meno buone architetture di Bramante. Il dubbio che inizia a tormentarmi, banalmente, è che per molti degli avventori dell’osteria che anche io amo frequentare, le architetture di Bramante siano tutte buone architetture, e quelle di Koolhaas tutte cattive architetture.

  15. filippo de dominicis ha detto:

    …ma si scrive “un archistar” o “un’archistar”?!?
    e comunque, a parità di archistar (…), tutta la vita il CV carrè di Breda (Koolhaas-De Geyter-Hertzberger), del villaggetto Helmond del prediletto di Carlo!!!!
    p.s. : ma de che stamo a parlà?!?!?!?!

  16. carlo alberto ha detto:

    Non facciamoci fuorviare dagli ismi, dai decaloghi e dalla moltitudine.
    Credo che il problema sia un pò più semplice e come si dice complesso.
    Achistar o Brodostar…….lasciate Star!!!

    Bisogna ri-pensare l’etica del progetto, lo sforzo e le ripercussioni che il nostro modo di operare avrà sull’UOMO, sul territorio.

    Ma dettto questo in un blog e senza la realtà sottomano tutto passa sotto la porta senza lasciare traccia.

    In cina che anno è ??? quello del cane o del maiale ???
    In Italia è sempre quello dello struzzo e il 2008 è stato l’anno di Casamonti…….come nel 2001 è stato quello di Callisto tanzi.

    Altro che storie
    Salute a tutti

  17. Biz ha detto:

    Per De Dominicis. Zazzà è un’archistar, Libeskind (pron. Laibescaind) è un archistar. Victoria delle Spice Girls (pronuncia alla milanese: sPicie gherls) è un’rockstar, Beckham (traduzione italiana: prosciutto a disposizione … del Milan) è un star.

    Definizione di archistar: architetto famoso che non ci piace

    Ovviamente, si scherza.

  18. sergio 1943 ha detto:

    Maronna! Come tutto se tiene! Proprio vero che siamo fatti tutti a una dimensione, come diceva Herbert! (Non c’entra niente! Solo per dare modo di fare una colta citazione che c’entra come i cavoli a merenda!). Mi rifaccio a Carlo Alberto che scrive:…Bisogna ri-pensare l’etica del progetto, lo sforzo e le ripercussioni che il nostro modo di operare avrà sull’UOMO, sul territorio…. e allora mi sovviene un mio blog in cui rimpiangevo, scherzosamente ma non troppo, l’abbigliamento da lavoro dell’antico architetto che, come un meccanico con la sua tuta, un ferroviere con il suo chepì FFSS, un calzolaio con la sua parannanza, un Macchiavelli che, lasciato i suoi compiti di pubblico ufficiale, si metteva una palandrana bordata per scrivere “il Principe”, indossava ogni mattina il suo camice bianco con taschino per le sue koh-i-noor ed elaborava su un Bristol le sue idee umanistiche. Poi cito di nuovo la canzone poco sopra rievocata di Rodolfo De Angelis con l’invito a smettere di gavazzare, smettere di fare la baldoria che ci ha obnubilato tutti e di mettersi a lavorare, LAVORARE, tenendo di mira il senso del nostro essere, l’etica del nostro operare. Forse questa crisi, illuminandoci su tutto ciò che di falso c’é in operazioni, finanziarie, economiche, costruttive, puramente virtuali e quanto invece vi sia di vero, di reale nella dura e umile fatica di operare per il bene di tutti, non sarà stata inutile e forse finirà. Il ministro Brunetta, come gli é solito, esagera ma coglie il fatto che il figlio di un meccanico della Ferrari può vantarsi del lavoro del padre mentre il figlio di tanti operatori dell’Architettura (maronna! come sono politicamente corretto!), alla domanda: che fà tuo padre?, é meglio che taccia!

  19. alfredo ha detto:

    concordo con de dominicis, se l’alternativa alle archistar è quel banale e solo pittoresco villaggetto helmond (ma ci abitano i puffi ?), cento volte meglio il tanto decontestualizzato meier. (preferisco meier a koolhaas).

  20. pasquale cerullo ha detto:

    Non è solo la contestualizzazione a latitare, che forse solo in Italia ha un peso preponderante, ma, anzi, soprattutto un esercizio sociale. Lasciatemi passare il termine, ad un architetto le PALLE si vedono come fumano quando si misura con l’architettura SOCIALE, in particolare quella ristretta nel campo dei bisogni primari di una società.
    E questi archistar poco hanno bazzicato questo campo, e se sì, non lo hanno posto al centro dell’attenzione. Cosa invece affrontata da tutti i PADRI e FIGLI del MM.
    Questi non sono neanche i nipoti. Però il motivo è legato alla storia, caduti i movimenti politici socialisti, e l’esaltazione del capitalismo con punte di estremismo nell’impensabile Russia dei nababbi, questi sono i tempi che viviamo: Gli archistar ne sono un fenomeno correlato, l’immagine su tutto, sophisticated architecture.

  21. robert ha detto:

    “non si può né si deve fare architettura contro i luoghi, contro la storia e contro la gente”

    questa m’era sfuggita… tra poco troveremo sugli scaffali un qualcosa tipo…
    “Genius gggente”

    mi scuso per la battuta ma comincio a pensare che l’attuale stato dell’architettura non sia da imputare al rapporto mercato-tecnica (non alle archistar come pensa pietro) ma, appunto, sia l’esatto riflesso della gggente, quindi, ‘sto nuovo concetto di loci ce lo meritiamo. o no?

  22. pasquale cerullo ha detto:

    Non sarei così esclusivista, non solo per la gente. Ma è doveroso che il campo di misura debba passare dal basso perché altrimenti l’architettura come espressione guida diventa solo passatempo per ricchi collezionisti d’arte ai quali non importa l’opera in sé ma il nome dell’artista. E sarebbe svilente che si riduca al poco edificante metodo di valutazione delle gallerie d’arte, se vogliamo ridurci al fenomeno Hirst…

  23. soili latour ha detto:

    Sono certa di aver percepito da parte di tutti Voi, amici, una vena di contrasto e disappunto non tanto nel “giudicare” il valore architettonico dello “star building “, quanto piuttosto nel sentirvi completamente esclusi, in qualità di Architetti, da ciò che il sistema del nostro pianeta porta avanti inglobando sotto il nome di Architettura. Credo fermamente che sia questo il nocciolo della questione: oggi, più di ieri e come non mai ( spero che il nostro amato professore non smentisca) il valore umano, creativo ed artistico, di chi ricerca e sviluppa nuovi modi di vivere per nuovi modelli del vivere in sempre più rapido sviluppo non è di alcun interesse per coloro che “realmente” patrocinano l’ Architettura; i mecenati di oggi non investono più i loro soldi in nome dell’ immortalità, della bellezza e del potere, oggi l’ unico vero mecenate in ogni dove è il danaro, il quale non godendo di particolari qualità mistico-spirituali, interagisce con noi umani attraverso l’ unico strumento del quale è veramente padrone: la spettacolarità, con l’ unico scopo di rigenerarsi attraverso di essa.

    Vi porto solo un esempio tra i tanti, riferendomi alla nostra città, la nostra eterna Roma; da decenni ormai lo sviluppo di questo organismo viene previsto a tavolino attraverso quello che qualcuno ha chiamato “processo di gentrificazione” ( gentrification )>>il principio è quello per cui la città cresce solo ed unicamente in virtù dei soldi che sono messi a disposizione all’ interno delle aree in via di espansione, vale a dire che non esiste il concetto di centro e di periferia, ma neanche di decentramento urbano, esiste solo la formula di richiamo dell’ interesse economico all’ interno di un’ area specifica, che viene “rilevata”, “riqualificata” e “rivenduta”…. coloro che non riescono ad adeguare il loro portafoglio a questo “sviluppo dell’ area urbana”… se ne devono semplicemente andare da un’altra parte: quindi, vi chiedo, la città cresce perché TUTTI stanno meglio o perché coloro che stanno bene creano le possibilità per stare sempre meglio?

    Cari amici, ancora vi chiedo: siete veramente così in collera perché abbiamo perso ( solo apparentemente ) contatto con quell’ energia che cristallizza in una forma un modo di essere interiore (e non solamente estetico), o forse …. ciò che in fondo vi crea frustrazione è l’ innegabile fallimento sociale per cui NON TUTTI hanno accesso ai fantastici “star buildings” (se non come luoghi in cui spendere danaro ) e diritto ad esprimersi liberamente come solo le Archistar possono fare?!……
    In sincerità interiore ed onestà intellettuale, Vi invito ad esaminare questa dualità e a non perdervi mai d’ animo nel cercare e trovare la vostra personale formula per ammirare e valorizzare ciò che merita e migliorare ciò che disarmonizza.
    Con affetto.

  24. paolo sidoni ha detto:

    Mi permetto di fare ingresso in questo blog anche se architetto non sono, né urbanista, ma semplice articolista affetto dal morbo della curiosità. Una medaglietta tuttavia – ahi, vanità! – me la voglio appuntare: nel libro di Salingaros posto in evidenza dal professor Pagliardini ho infatti avuto il piacere di veder citato il brano d’un mio articolo sull’argomento, segno che devo esser riuscito a cogliere un aspetto del problema in maniera semplice e concreta. Almeno così mi auguro.
    Nel passo, che riporto per intero, dicevo:
    “Salìngaros annuncia la fine dell’era dei grattacieli e, insieme ad Alexander, propone
    un modo di pensare città e palazzi in grado di adattare l’ordine insito nella natura alla
    necessità di ordine cui l’uomo ha bisogno: un ordine che corre attraverso la fisica dei
    sensi, a cui la geometria frattale mutuata dalle forme naturali può dare corpo e sostanza.
    Si reagisce infatti agli stimoli visivi dell’ambiente urbano moderno con sintomi fisici che
    sono propri dello stato di stress. Il livello di adrenalina, la pressione sanguigna e la
    contrazione delle pupille sono determinati, in maniera non secondaria, anche
    dall’ambiente in cui viviamo. Se una chiesa medievale, con il suo profondo senso di
    armonia, provoca una sensazione di serenità, un edificio moderno dalle vertiginose
    pareti lucide e rettilinee strania invece dall’ambiente circostante, procurando una
    sgradevole sensazione di distacco, ovvero di alienazione.”
    Soprattutto per noi comuni cittadini che certe architetture le dobbiamo sorbire quotidianamente ciò che mi pare importante, cui nessuno qui ha mai fatto cenno, è se le affermazioni di Salingaros sulla correlazione tra stimoli visivi e stimoli fisici, che mi pare uno dei suoi punti principali, siano scientificamente da smentire oppure da convalidare.
    Insomma: vero o falso che certune forme architettoniche ci alienano e certe altre invece no? Guardando con occhi inesperti (per quanto concerne l’accademia, non certo il senso estetico) produzioni come la chiesa di Foligno ad opera di Fuksas, le future torri milanesi del trio Libeskind-Isozaki-Hadid e le decostruzioni di Gehry, le idee di Salingaros non possono che suscitare il mio benevolo e attento interesse e la mia più completa simpatia.
    Ringrazio anticipatamente chiunque volesse darmi una risposta e ampliarmi gli orizzonti.

  25. Cristiano Cossu ha detto:

    Caro Paolo, senza adrenalina non c’è New York.
    Ma nemmeno la chiesa medievale, nata da energie sanguigne, lottatrici, difesa con i denti e la spada dai nemici e dagli infedeli. A volte l’architettura propugnata da Salingaros, Krier e Carlo d’Inghilterra mi ricorda certi ospizi del nord europa, puliti, lindi, decorosi, a misura d’uomo (dicono i proprietari), ma terribilmente senza vita. Un villaggio vacanze lontano dalla vita così com’è e sarà sempre: ansia, paure, “stress”, adrenalina che sale e scende, problemi, disgrazie, lotte… Ma anche gioia, esaltazione, energia positiva, amore. Senza entrambi gli aspetti non c’è l’uomo, rimane un frattale che si ripete e ricostruisce all’infinito, cioè una grande noia…
    saluti
    cristiano

  26. paolo sidoni ha detto:

    Credo di capire cosa intendi, Cristiano: l’eterna alternanza tra gli opposti è la dinamica che muove il mondo e le cose umane. E su questo punto non posso che concordare. Però non riesco a intravedere nelle chiese medievali, e nemmeno nelle chiese tout court, la lotta, il sangue né quello spirito pugnace che mi dici (a meno che non vogliamo intenderlo come metafora d’una lotta interiore). Nelle chiese mi sembra invece chiaro lo spirito esaltato ed esaltante proprio alle religioni. E la loro necessità di coinvolgimento emotivo e trascendenza. Uno splendido esempio mi sembra possa trovarsi nei chiostri di alcune chiese romaniche, il che non significa certo che debbano essere riprese nostalgicamente e pedissequamente dalla moderna architettura sacra. Ma lì, in alcuni chiostri della Catalogna, le composizioni che ornano i capitelli rappresentano – come l’etnomusicologo Marius Schneider ha nel suo “Pietre che cantano” perfettamente intuito – gli inni gregoriani dedicati al santo cui la chiesa è devota. La stessa concezione che era alla base dei templi indù. Bada, non ne faccio un discorso di forma, ma di sostanza. Non credo sia importante lo stile ma le idee che sono alla base di un “discorso architettonico” e quanto e come queste vanno a incidere sul fruitore finale, cioè l’uomo. Che dovrebbe essere punto di partenza e d’arrivo per qualsiasi opera edificatoria.
    Affermi giustamente che senza adrenalina, New York non sarebbe New York. Ed è altrettanto vero che New York è anche un po’ il simbolo di quei nonluoghi postulati da Marc Augè: palazzi standardizzati che possono stare tanto a Calcutta quanto a Treviri come a Los Angeles.
    In altri interventi mi pare di aver notato una tua particolare sensibilità per il “genius loci” dei posti; non credo quindi tu sia favorevole a questa globalizzazione architettonica dei tempi postmoderni, dove le archistar erigono monumenti a se stessi, fregandosene altamente del contesto storico e culturale dove vanno a colare cemento armato, fregandosene ancora più di coloro che intorno alle loro “opere” dovranno vivere e lavorare.
    Quindi, tornando al mio quesito iniziale, questa adrenalina nuovayorkese quali effetti provoca negli abitanti? Mi sembra curioso che architetti e urbanisti non si peritano di verificare se le affermazioni di Salingaros sugli effetti fisici dell’habitat sull’uomo siano veri o falsi. Perché se fossero veri, secondo il mio punto di vista, ogni architetto e ogni urbanista, dovrebbero sentire l’obbligo morale di procedere lungo sentieri che non alienino l’uomo dal suo contesto.
    In ultimo, ritenere noioso quanto sgorga dalla geometria frattale – che conosce la varietà in numero infinito – sarebbe come ritenere noioso l’uomo e la vita stessa, che si sviluppano secondo regole frattali e non euclidee.
    Ti chiedo scusa per la mia logorrea ma il tema, ultimamente, mi sta interessando parecchio e cerco di conoscere le varie posizioni.

  27. Pietro Pagliardini ha detto:

    Paolo Sidoni, la ringrazio molto ma io non sono professore. Lo preciso perché lei è uno che per mestiere scrive e io non voglio, impropriamente, passare da millantatore. Sono solo un architetto che per diletto si è messo a scrivere. Lo fanno molti, lo faccio anch’io. Tutto qui.
    Capisco bene il senso della sua domanda: lei desidera trovare o sapere la prova razionale di ciò che lei stesso, come la gran parte delle persone non architetti, sentono istintivamente. E’ una curiosità assolutamente lecita cui io però non sono in grado di rispondere in maniera scientifica. Occorrerebbero evidentemente studi di carattere psicologico effettuati con test che confermino o smentiscano quanto affermano Salìngaros e Alexander e non solo loro. Sicuramente ve ne saranno ma io, che pure credo nel progresso e nella scienza, ho imparato a diffidare, e di molto, degli scienziati e sono sicuro che si potrebbero trovare prove a favore dell’una tesi e dell’altra. La scienza, o almeno quella che appare nei media, è sempre più spesso al servizio di idee precostituite quando non di interessi. Si guardi il dibattito sul riscaldamento globale che ha ben poco di scientifico e molto di ideologico e di economico. Eppure con il riscaldamento globale si prendono premi Nobel quando vi sono nutrite schiere di autorevoli scienziati che lo negano e altrettanto nutrite che affermano l’impossibilità attuale di stabilirne la causa antropica, solo che queste hanno meno “visibilità”. Come sta dunque? Ho l’impressione che l’approccio filosofico, insieme all’esperienza personale e alla valutazione razionale e logica che a certe cause corrispondono certi effetti, sia l’unica in grado di dare risposte.
    Non mi intendo di adrenalina ma che una città debba essere caratterizzata da forti contrasti per far stare bene ho i miei seri dubbi. L’effetto eccitante di città come Manhattan è indiscutibile. Il fascino che essa esercita su chiunque è altrettanto fuori discussione. Ma Manhattan è il logo d’America, è il simbolo di un modo di vivere, di una cultura che accompagna intere generazioni dai tempi dell’emigrazione italiana, corroborato dalla liberazione da parte degli alleati, incrementata dal rock, dal cinema, dalla musica, dai jeans ecc. Quante Manhattan possono esserci nel mondo? Può esistere una Manhattan a Pechino o a Londra?
    Manhattan ha un suo genius loci perché, appena arrivati, chiunque prova la sensazione di essere a casa propria: tutto è noto, tutto è familiare in quanto già vissuto nei film, nei romanzi. Ma un conto è andarci da turisti un conto è viverci. Io credo che non siano i contrasti ma l’armonia ad affascinare e a farci desiderare di vivere in un luogo. L’armonia dei nostri centri storici non è noia ma è diversità nell’ambito di un insieme omogeneo. Tutte le case che si rincorrono nelle strade sono allo stesso tempo uguali (sono un tipo) e diverse (cambiano i dettagli). La teoria dei frattali non è noia come dice Cristiano ma, questa sì, una teoria scientifica partita dall’osservazione della natura. La natura è strutturata in base ad una geometria frattalica ma anche gli insediamenti umani seguono, non so perché ma è così, la stessa logica. Ed anche l’architettura la segue. Non mi sembra così strano ipotizzare, dato che noi siamo parte integrante della natura, che la nostra mente, così come apprezza l’ordine variegato della natura, possa apprezzare lo stesso tipo di ordine dell’architettura. La prima è ambiente naturale, la seconda è ambiente antropico ma il soggetto che ne fruisce e ne gode è sempre lo stesso.
    Voler deridere e trattare con sufficienza questa semplice osservazione, che per alcuni è verità, per altri è ipotesi, altri ancora la negano, mi sembra solo la difesa di un’ideologia precostituita che vede al centro non l’uomo nella sua completezza, ma solo l’architetto autoreferenziale che si crogiola nella sua squalificata disciplina, estranea al mondo e agli uomini per i quali e dai quali essa è nata e che, da quasi un secolo, non riesce a dare risposte e ha distrutto quell’ambiente urbano che secoli di lavoro, di cultura, di esperienza, di arte ci avevano consegnato. Tutto ciò che concorre a riprendere il cammino violentemente interrotto da ideologie deliranti e totalitarie è benvenuto. Se i frattali aiutano a spiegare la profondità del rapporto natura-uomo-architettura ben vengano. Se uno non crede ai frattali niente di male, ma non per questo ha scuse possibili, dato che già G. Caniggia aveva spiegato bene come funziona una città e, senza conoscere i frattali, era arrivato alle stesse conclusioni.
    Saluti
    Pietro Pagliardini

  28. pasquale cerullo ha detto:

    L’Universo è un frattale.

  29. paolo sidoni ha detto:

    Gentile Pietro Pagliardini… posso chiamarla semplicemente Pietro? ho letto alcuni suoi scritti che condivido in pieno e che mi hanno portato a stimarla come professionista. Mi scuso per l’indebita attribuzione che ho riportato. E la tranquillizzo: tranne che in queste pagine non ho mai scritto alcunché definendola “professore” e, giuro, mai ripeterò l’errore cui sono incorso in questo blog a meno che, ovviamente, non le venga in futuro assegnata una cattedra. Cosa che le auguro, se dovesse rientrare nei suoi interessi.
    La ringrazio per la sua notazione su Caniggia che non conoscevo ma di cui sto cercando la pubblicistica.
    Venendo alla risposta che mi dà, condivido pienamente le idee che esprime sull’armonia dei luoghi e le differenze che caratterizzano l’omogeneità, cifra che ha ben presente qualsiasi osservatore attento alle cose naturali. Le confesso tuttavia che alcune sue parole m’hanno lasciato interdetto un po’. Anzi, un bel po’. Come si possa mantenere un atteggiamento indifferente riguardo alle risultanze scientifiche, quando si condivide un percorso che della scienza – come nei casi di Salingaros e Alexander, cui lei mi pare aderisca – ne fa pilastro portante delle proprie argomentazioni, mi è difficile da comprendere. Capisco i forti dubbi e sospetti che nutre nei confronti del mondo scientifico. Sono anche i miei, glielo assicuro. E mi vengono in mente i gabinetti mesmeriani ottocenteschi o, per andare qualche decennio più in là, le teorie scientifiche sullo spiritismo cui fior di scienziati e premi Nobel – posso citare Lombroso, la Curie e Flammarion per rimanere stretto – seriosissimamente si dedicarono. C’è però il dato oggettivo che la relatività di Einstein non ha inficiato quella galileiana, l’ha invece ampliata confermandone la validità nel suo specifico alveo. Risolvere dunque la questione delle conoscenze scientifiche in merito all’incidenza che l’habitat svolge sulle persone con un “tutto è relativo e contingente e a volte, chissà quando, anche falso” mi sembra che da parte di un architetto, chiamato a costruire il panorama nel quale ognuno di noi si troverà a vivere e a sviluppare la propria vita, tanto meramente fisica quanto sociale e quindi psicologica, sia perlomeno strano. Certo in via di principio tutto è relativo. Ma l’asserzione è filosofica e non ha nulla di pragmatico, qualità questa che un architetto dovrebbe invece sempre tenere da gran conto se come fine si pone quello di creare habitat armoniosi e, per usare un termine abusato, a “misura d’uomo”. Perché ciò che realizza non è un’opera che rimarrà confinata nella penombra di un museo o d’una collezione privata, come il cesso di Duchamp o la merde d’artiste del Manzoni, ma un qualcosa che andrà ad incidere irreversibilmente sulla vita e lo sviluppo di una collettività intera. Sarebbe come non dar retta alla geotecnica, sorvolare sull’effetto Bietta e la carbonatazione o prescindere dalle leggi della fisica che impongono, per fare una battuta, l’impossibilità ad una piramide di rimanere in equilibrio su uno stecco piantato nella sabbia. Se non dovesse annoverare anche e soprattutto le cognizioni scientifiche, questo dibattito culturale che grazie a Salingaros, a lei e a parecchi altri, s’è andato sviluppando rimarrebbe relegato irrimediabilmente nell’ambito ideologico dove, qui sì, tutto diviene fatalmente relativo. Si correrebbe il rischio di esaurire il problema in un’oziosa disquisizione accademica del genere sono meglio le brune oppure le bionde.
    Esistono d’altronde esiti grazie alle neuroscienze che dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio, come si direbbe in un’aula di tribunale, la maniera attraverso la quale l’ambiente in cui viviamo influenza il nostro cervello. Gli strumenti per giungere a delle conclusioni esatte sono tra gli altri la risonanza magnetica e la Pet, in grado di fotografare le aree cerebrali in un determinato momento e durante una specifica azione. L’Accademia delle neuroscienze per l’architettura è una realtà; studiosi hanno dimostrato in maniera inequivocabile, grazie agli strumenti appena citati, come e perché soffitti alti attivano le aree corticali associate al pensiero astratto, che determinano anche i processi mentali legati alla creatività e alla spiritualità. Cosa che non si registra nel caso di soffitti incombenti che inducono, invece, alla concentrazione su compiti specifici. Che le cattedrali abbiano sempre avuto una pronunciata verticalità e le sale operatorie soffitti bassi, è sicuramente frutto di intuizione e conoscenza empirica. Ma ora la scienza ci fornisce la spiegazione tecnica e razionale di questi meccanismi. Ed è questo, a mio parere, a fare la differenza sostanziale. Chiunque dedito alla costruzione del nostro ambiente non può non tenerne conto, pena la messa in opera di ambienti alienanti e disumani che già devastano ampiamente la nostra quotidianità. Oppure di errate interpretazioni, come nel caso di Calatrava che riproducendo su scala mostruosamente gigante la geometria frattale insita nella natura non ottiene altro che delle mostruosità innaturali, golem dove il supposto organico è invece esasperazione di una natura che viene adulterata.
    Ho comunque capito benissimo, Pietro, il senso del suo discorso. E lo condivido. Spero che lei voglia quindi accogliere con benevolenza questa mia provocazione, il cui fine non è altro che quello di sollecitare in questo spazio di esperti del settore il problema della qualità di vita dell’uomo nel suo ambiente e dell’assurda produzione delle archistar. Questo non per inutile vis polemica né per una mia banale curiosità antropologica, ma per una profonda preoccupazione in merito al nostro oggi e al nostro domani che non è solo la mia.

  30. carmelo la gaipa ha detto:

    Vorrei chiedere ai lettori di questo blog cosa ne pensano del proliferare di pensiline con tetti trasparenti, che diventano delle saune in estate e comunque non danno benefici nel periodo invernale quando il sole è basso e non passa attraverso il tetto, come esempio, potrei citare le pensiline antistanti la Stazione Cadorna a Milano

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