La monnezza … come “forma simbolica” del terzo millennio …
potrebbe essere questo il sottotitolo del testo (elaborato nel 2000) che Pasquale Cerullo ci ha appena inviato e che molto volentieri ospitiamo …
sicuri di alimentare il dibattito su un argomento di sempre maggiore attualità …
“I limiti degli interventi speculativi, la storia ci insegna, non hanno fine; si trova sempre la ‘soluzione’ per intaccare nuove aree, magari in fasce protette come a Roma, per motivi archeologici e paesaggistici, campagne con fattorie e orti miracolosi. A Napoli li hanno distrutti tutti, gli orti storici. Il lavoro del costruttore non conosce freni inibitori, soprattutto quando è accompagnato da un buon ‘alleato’ che ha il potere di cambiare le ‘regole’.
Ma oltre questi limiti, perché il costruito radicato deve essere cancellato, se è assimilato positivamente, non c’è soluzione?
E se il degrado non fosse sempre degrado e la parola rivalutazione usata spesso come paravento per fare tabula rasa?
Le Rovine. La Natura si riappropria della sua materia, disgregando le opere dell’uomo e riordinando nel suo seno ciò che era disordine, riporta equilibrio. Le lesioni sono i segni della forza equilibratrice della Natura. Qualsiasi manufatto abbandonato si scompone nei limiti in cui il suo ordine era disordine per la Natura. L’opera ordinatrice dell’uomo è volontà di controllo.
Il senso di piacere che si prova nell’ammirare una rovina antica, un rudere non è solo dovuto alla memoria, alla testimonianza del passato sotto i nostri occhi ma è anche un fatto estetico. Una ripristinata opera antica perderebbe il suo fascino. E’ il vecchio che ci piace con tutti i suoi segni, come la Venezia ricordata da Ruskin. E’ il lavoro di metamorfosi che subisce la fabbrica antica, la patina, l’imperfetto degli angoli smussati, consumati, l’intonaco scomparso, le pietre vive. Per metà fatto dall’uomo e per metà sfatto dalla Natura, dal suo tempo, un ibrido. Ecco quello che ci piace, quella parte di natura che è entrata nell’opera, ovvero la sua trasformazione. Del resto i Romantici non amavano Roma, ma la sua rovina.
Così come un giorno, incredibilmente, qualcuno riuscirà ad amare queste orribili scatole edilizie costruite dagli anni Cinquanta in poi. Ma solo se non saranno ristrutturate; vecchie e brutte acquisteranno il fascino che solo il tempo può dare. La speranza è che non si arrivi a quel giorno e che sia lo stesso uomo a demolirle, un po’ alla volta. Ma quanto fascino in più avrebbe un quartiere italiano degli ultimi 50 anni (di quelli fatti dagli imprenditori per puro scopo speculativo) dopo un bombardamento? Una valenza espressiva di gran lunga superiore a quella attuale (senza vittime, naturalmente). Cumuli di macerie sparse, confuse, pieni e vuoti, cavità instabili, colori maciullati, smozzicati, continui e vivi movimenti franosi per giungere lentamente ad un equilibrio statico. Poi, dopo una settimana, ma anche un mese di stimolanti visite, spazzare tutto e ricostruire
con il linguaggio moderno dell’architettura, metastorico non contemporaneo e quindi inattaccabile dalla Natura, in senso morfologico. Utopia.
Accontentiamoci dunque di andar a far visite ad altri cumuli, sempre prodotti dalla nostra società dei consumi, questa volta distrutti volontariamente: le discariche. Eccola la novità; se qualcuno ha già scritto una “storia della spazzatura” non potrà che confermare: i rifiuti prodotti negli ultimi 50 anni sono completamente diversi da quelli prodotti in 10.000 anni di civiltà Le discariche sono uno dei simboli del nostro tempo, il risultato dell’economia dei paesi industrializzati. Prima ancora di giudicarle negativamente cerchiamo di coglierne un valore, diciamo, estetico. Ricordiamoci che il nostro disgusto è il sintomo della nostra colpa. Quindi ritorciamo a nostro favore questa colpa, almeno per deviare il corso corrotto di certa architettura italiana.
C’è più creatività da cogliere in un cumulo di spazzatura che negli orridi manufatti in cui viviamo.
Ed ecco il punto: il paesaggio dei rifiuti contrapposto a quello dell’ordine.”
P.C. segue …
Se poi pensiamo al più monnezzaro de tutti, al secolo Frank O. Gehry,
che con la monnezza c’ha fatto pure i musei… … e ce s’è fatto pure casa!
…”Creatore di sogni”??… …la monnezza come scopo nella vita… ammazza che zozzeria.
E gli spazzini cosa sarebbero??!
…Distruttori di sogni??!
il Tempo, grande scultore (Marguerite Yourcenar)
Ammazza quante belle chiacchiere, pure abbastanza ritrite. Scusi eh professo’, preferisco i suoi puntini di sospensione…
… scusa eh, Pasquà… ho letto cose migliori da te… baci e abbracci a tutti e due…
… tanti auguri eh… buone feste eh… che produrranno tanta bella monnezza a riempi’ i cassonetti di Bulzatti… ciao
Vittorio, vorrei dire anch’io ad uno a caso: “A Wartere, e annamo, prima c’era er sacco sopra la città da riempi’; mo c’è sta er sacco sotto la città, da svota’. Sei poco origginale, so’ cose trite e ritrite che se facevanno ai tempi de mi’ nonno, dillo a l’amici tua”. Oh, ma quello mica lo capisce.
Allora proviamo con la monnezza… (puntini puntini puntini)