DAL DC3-LAI … ALLA VESPA 125 … FAROBASSO …

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Sergio 43 su: “Un’autentica fucina di vibrazioni” …

Andrea Di Martino su: MITICI SESSANTA … TRA ABARTH … E … GINSBERG … ‘NA CREATURA … Da Eldorado: … “…. hai …

“Belle testimonianze, non di nostalgia ma di storia autentica. Anche io sono nato in un mondo di motori, in tempi che, a differenza di Andrea, per motivi anagrafici ho vissuto pienamente. Anche mio padre era meccanico. Lui e i suoi colleghi mi apparivano un mondo affascinante di uomini con le mani preziose, da chirurghi, da semidei agli occhi di un bimbetto. capaci di riportare in vita camion americani residuati di guerra, camionette con ancora una stella bianca sul cofano. Papà era soprattutto un meccanico di motori d’aereo. Con i motori dei DC-3 c’era poco da inventare. Bisognava solamente tenere in aria quei residuati da sbarchi in Normandia ceduti alla LAI (Linee Aeree Italiane) per i primi voli civili del dopoguerra. L’aeroporto abilitato a questi voli era l’Aeroporto dell’Urbe, ex-Littorio. Anche gli uffici tecnici erano residuati bellici, i capannoni QUONSET con tetto ad arco. Ma anche per lui la passione vera erano i motori automobilistici. Non ci si rassegnava alla loro immobilità, simbolo come erano delle prime libertà di muoversi liberamente. Poi la ripresa delle autovetture nazionali portò con se nuove idee, nuovi progetti ben descritti da Andrea ed Eduardo. Mio padre venne assunto da una multinazionale e continuò il suo lavoro motoristico prima all’Aeroporto di Ciampino e poi al Leonardo da Vinci di Fiumicino. Si dedicò alla manutenzione della sua Lancia Appia “Terza Serie” e a qualche esperimento. Trasformò, per esempio, una Fiat “Topolino” 500 C in una Fiat Cabrio tagliandone il tettuccio. Un giovanotto gli fece una corte asfissiante e, alla fine, gliela vendette. Il giovane collezionista, adesso anziano signore, si tiene la “Topolino” in casa in un paese vicino Roma. Per farla entrare in salone, l’affezionato proprietario dovette smurare il portoncino d’ingresso e ricostruirlo subito dopo. Il regalo più bello per la mia Maturità del 1962 fu una Vespa 125 che, cromatissima e di un color “Bianco-Saratoga” mi fece trovare mio padre. Era un po’ strana però. Riconobbi la Vespa “Farobasso” di una decina di anni prima che aveva ancora il faro sul parafango anteriore mentre oramai giravano soltanto quelle con il faro sul manubrio. Era la mitica Vespa che aveva fatto da comprimaria insieme a Gregory Peck e Audrey Hepburn nel film “Vacanze Romane”. Divertito, mio padre me ne raccontò la storia. Seminascoste tra l’erba dietro l’officina, c’erano due Vespe arrugginite e abbandonate di due suoi giovani colleghi che erano passati alle motociclette in quegli anni del “boom”. Praticamente, cannibalizzandole a vicenda, da due ne aveva ricavata una che, dopo una bella ripassata in carrozzeria, stava lì aspettandomi invitante. Dopo qualche anno me la rubarono sotto casa. Ne ho ancora una foto a studio e mi piace che un prototipo sia esposto in mostra permanente al MoMa di New York.”

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4 risposte a DAL DC3-LAI … ALLA VESPA 125 … FAROBASSO …

  1. Andrea Di Martino ha detto:

    E’ sempre bello leggere testimonianze di vita vissuta, ma nel senso più pieno del termine, ossia fatta di un un rapporto con le cose che da una parte beneficiava dei vantaggi del cosiddetto boom economico (primo fra tutti l’orgoglio di possedere per la prima volta tutta una serie di oggetti il cui lancio sul mercato rappresentava un evento che durava per anni, e non per settimane come oggi), mentre dall’altra parte rifuggiva dagli effetti deleteri del consumismo: primo fra tutti la frustrazione di dover spendere molto più di prima per tutta una serie di oggetti che, sebbene tecnologicamente vantaggiosi non avranno mai quel futuro collezionistico di tutti quegli oggetti che abbiamo nominato, per il semplice motivo che fintanto che esisteranno delle fonderie in grado di riprodurre un carburatore o qualsiasi altro componente meccanico, quegli oggetti (auto o moto che siano), potranno morire e rinascere continuamente dalle loro ceneri, proprio come l’araba fenice, serbando così in sè lo stesso fascino che poi è il fascino del meraviglioso. Viceversa, una centralina elettronica di una macchina di oggi non sarà mai più riproducibile se non dalla casa costruttrice, la quale, per ovvie ragioni, non ha alcun interesse a riprodurla all’infinito. E poi diciamoci la verità, anche a rischio di apparire retorici: in quegli oggetti non è solo la meccanica il fattore che ha sfidato (e potrà ancora sfidare) il tempo (per i motivi azidetti), ma anche e soprattutto il design, per il semplice motivo che esso è a-temporale per antonomasia. E se le attuali quotazioni di certe automobili d’epoca hanno raggiunto i valori che hanno raggiunto, molto probabilmente lo si deve anche a questo. E ciò vale sia per auto di grande prestigio, sia per quelle più popolari, anch’esse, nel migliore dei casi, perfettamente in grado di diffondere il made in Italy come sinonimo d’eccellenza, anche e soprattutto nel campo del design. Basti pensare al compasso d’oro conferito a Dante Giacosa per una vetturetta che, a dispetto oltre mezzo secolo di progresso tecnologico, è tutt’ora visibile sulle strade che percorriamo tutti i giorni. E ovviamente le evoluzioni motoristiche di Carlo Abarth, ma anche della romana Giannini, la quale ha mosso i primi passi proprio “vitaminizzando” quella famosa “topolino” citata da Sergio 43 (notare come già il nomignolo rechi in sè quel senso di appropriazione delle cose oggi completamente annullato dal consumismo), rappresentano un plus-valore che ben difficilmente potrà essere smentito, tantomeno da chi, troppo spesso esclama sconsolato: “anch’io, nel (…) ebbi una (…) poi la vendetti per (…) Oggi varrebbe (…) Averlo saputo prima…”. Già… Averlo saputo prima… Ed è così che il ricordo di quei momenti può anche diventare un ricordo struggente, nel senso ben espresso da una battuta di Gianfranco D’angelo: “il ricordo struggente di un tempo in cui si aveva tutto… pur senza avere niente”…

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  3. stefano salomoni ha detto:

    Ragionevolmente: non sfrecciava tra le vie appisolate della città. Ma le sfiorava con discrezione come un paio di guanti gettato incautamente sopra un bordo di marmo.
    Lungo i cigli, l’antitetico partito dei taxi sedati, rotolava col dinamismo generato dalle spalle dei conducenti disponibili e disoccupati. Per via delle belle stazioni di rifornimento, sovente ridotte a belle stazioni.
    Più in là, incolonnato e neutrale, un meditativo branco di OM Lupetto.
    Un parco vetture antiquato. Praticamente “Una fortuna!”, a parere di un carburatorista dell’ex AlfaRomeo in terra d’Africa, tuta da lavoro indossata Nonostante Tutto S.r.l.. “Portate le vostre macchine elettroniche e…arrivederci! Chiudo la serranda per sempre!”.
    Ma eccola di nuovo. Sembra appena uscita dallo stabilimento locale. Il vecchio veterano italiano (così qualcuno lo descrive), con la sua imperturbabile Topolino grigia: sfidano il tempo sorpassandolo a venti chilometri orari. Tanto è impreciso e opinabile il concetto di “altra epoca” in quel luogo.
    Poco più di quattro anni fa, secondo i miei calendari.

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