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EXPO … ITALIA … UN PADIGLIONE … UN PO’ COGLIONE …
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Gentile professore, concordo con lei: il suo commento è decisamente “calzante”…Sul padiglione, naturalmente.
Cordiali saluti
A volte non ci sono altri termini…
Così lo ha commentato Portoghesi su Il Fatto Quotidiano del 24.4.14. Una voklta tanto non si può che dargli pienamente ragione. Sergio Brenna Expo, il padiglione Italia nato vecchio
di Paolo Portoghesi – Fatto Quotidiano 24.4.2014
In una cornice solenne al Quirinale è stato esposto il progetto del “Padiglione Italia” dell’Expo 2015 di Milano, l’unico destinato a sopravvivere dopo la conclusione dell’Expo. Nel piano urbanistico già noto, ispirato alla semplicità, sembrava che all’architettura venisse riservato non il ruolo spettacolare e caduco, tipico di molte Expo precedenti, ma il ruolo non meno importante di aiutare a capire il messaggio specifico della mostra dedicata al problema planetario del cibo.
La giuria ha invece ceduto alla tentazione di puntare su quella tendenza dell’architettura che, da una ventina d’anni, ci offre spettacoli sconcertanti a metà tra l’horror e il divertimento.
Gli ingredienti di questa ricetta alquanto consumata sono sempre gli stessi: spettacolarizzazione, lambiccate giustificazioni metaforiche, riduzione dell’architettura
a espressione individuale e autoreferenzialità del linguaggio. Mi congratulo con i giovani autori, ma credo sia giusto avvertirli che così si iscrivono, con un ritardo di parecchi
anni, alla lista degli aspiranti “archi-star”, un percorso espressivo che si radica in una
condizione storica ormai lontana nel tempo.
Finalmente, dirà qualcuno, un progetto “post-moderno”, proiettato verso il futuro. Ma il
punto è proprio qui: può essere questo l’orientamento verso il futuro? Un orientamento ancora rivolto alla vivisezione, alla de-costruzione, alla ricerca della novità fine a se stessa o finalizzata, come una droga, ad allontanarci dalla realtà per illuderci che la salvezza sta nel virtuale? Può essere “orientamento verso il futuro” puntare su questa architettura ormai
ampiamente sperimentata: o non era piuttosto, questo tipo di ricerca, adatta al periodo di
illusorio benessere di fine secolo, del quale stiamo scontando gli errori?
L’edificio si presenta come un blocco prismatico, attraversato obliquamente da uno spacco. Verso terra si adagia con un profilo sbilenco che si solleva, qua e là, con delle stampelle, adagiandosi come certi pachidermi costretti dal loro peso a camminare raso terra per il grasso ridondante. Il volume è ricoperto con una fitta trama di
profilati metallici che da struttura si trasformano in superflua decorazione, dilatando il
volume con un lambiccato doppio involucro. All’interno si apre uno spazio centrale avvolto
nello stesso tessuto metallico che incombe sullo spazio della piazzetta, trasformandola
in una caverna che assomiglia percorsi da incubo che si vedono nei Luna Park.
La metafora chiave, secondo i progettisti, è quella del “vivaio”, l’Italia come vivaio di ingegni (non importa se poi costretti a “germogliare” all’estero), “vivaio di idee, proposte,
soluzioni per tutto il Paese e che il Paese offre alla comunità internazionale”.
Forse la comunità internazionale si sarebbe aspettata qualcosa di diverso da una minestra riscaldata.
Si afferma altresì che il padiglione “è stato progettato come una comunità intorno alla sua
piazza ed è ispirato all’albero della vita e rappresenta una foresta urbana”. Quindi il progetto non si offre alla comunità: è la comunità plasmata dall’architetto. Che tra un vivaio e una foresta ci sia qualche piccola differenza e che una comunità sia fatta di uomini e non di barre metalliche non è un problema; l’importante era rappresentare
l’albero della vita. L’albero è una realtà fisica ben precisa: assorbe energia vitale
dalla terra e dal cielo, ha un tronco, rami e foglie che permettono
la sintesi clorofilliana.
Klee ha studiato, quando insegnava al Bauhaus, la natura matematica dell’albero come
unità. Wright ci ha parlato della’“ alberità” come regola precisa, Makovecz a Siviglia ci ha
fatto capire che un albero senza radici non è un vero albero.
L’albero dell’Expo, oltre a non avere radici, al posto di rami ha un confuso intrico di barre metalliche ispirate per essere a la page ai disegni di Libeskind, ma lontanissime da ogni idea di organicità.
UN COMPLIMENTO peraltro va fatto ai progettisti per essere riusciti, in un progetto il meno italiano possibile, a darci una fedele immagine non dico dell’Italia (non sono così pessimista) ma di come l’Italia è vista nel mondo, un paese in decomposizione, con una classe politica senza scrupoli in cui sembra impossibile diminuire la spesa pubblica, eliminare gli sprechi e le sperequazioni sociali. È lecito sperare che l’architettura esca da questa smania di cambiare tutto senza cambiare niente, rendendosi sempre più
inutile per risolvere i grandi problemi del malessere urbano,
della distruzione del paesaggio, della giusta ripartizione delle risorse?
I sintomi ci sono e vengono da ogni parte del mondo, dal Giappone, patria di Shigheru
Ban e di Fujimori, ma anche dall’Europa, dall’India, dall’Africa, dove giovani architetti,
spesso europei, si sono impegnati in un lavoro prezioso che utilizza le conquiste della modernità per un progetto integrale di architettura povera ma attraversata dalla vita. Se il conflitto uomo-natura non si trasforma nella nuova alleanza annunciata da molti uomini di
scienza, la nostra civiltà è destinata all’autodistruzione. Per questo le scelte degli architetti
non possono essere solo scelte di gusto o di tendenza. Dietro il messaggio della architettura sta la risposta a un quesito epocale.
Ci si illude che cambiando solo le forme, le mode, le superfici, le tecnologie si possa evitare il disastro, ma forse quello che bisogna cambiare è lo stile di vita
dominato dal mercato dal consumismo e dalla competizione, basato sulla illusione che la crescita infinita è possibile.
Quanto ho detto fin qui è un punto di vista personale e non auspica provvedimenti o proibizioni. Faccio i miei auguri agli architetti, alle imprese costruttrici e ai milanesi perché riescano a finire in tempo e a utilizzare, a festa finita, questo complicato marchingegno dimostrando così la loro abilità
Pingback: EXPO … PORTOGHESI … LUNA PARK ITALIA … “un percorso espressivo che si radica in una condizione storica ormai lontana nel tempo” … | Archiwatch
…per quanto riguarda il concorso per il padiglione Italia scrissi, subito dopo l’esito. un commento pubblicato dal Giornale dell’Architettura. A quasi due anni di distanza purtroppo le previsioni nefaste si stanno concretizzando.
http://www.ilgiornaledellarchitettura.com/articoli/2013/5/116242.html