ArchitetturaBuonaComeIlPane23_01QUELLO CHE FINORA HO CAPITO DELL’ARCHITETTURA

Diogo Mainardi, La Caduta, Einaudi 2013

1.Domani trasecolo. Il che è sempre una bella data.

2.«Si diventa architetti dopo i cinquant’anni» insegnava Purini a quaranta anni a noi ventenni, ipotecando in proiezione assonometrica le nostre vite per i successivi trenta. L’altro ieri però mi ha confessato sorridendo,  che lo slogan era sì neuro linguisticamente programmatico ma taceva un corollario: «…però bisogna arrivarci preparati»!

3.Mi sono convertito all’architettura nell’83 con la sequenza finale di Nostalghia, quella con “la casa russa nella cattedrale italiana” (Tarkovskij, Guerra e Crisanti).

4.Il mio primo vero libro di architettura non è stato l’ “Eupalino” che era tra i testi al corso di Disegno e Rilievo (letto sì ma con Nesquik) ma “Scolpire il tempo”. Da allora penso l’architettura come a una variante di quel titolo: “Costruire il tempo”.

5.Il mio ultimo libro di architettura è stato invece questo libretto di Diogo Mainardi che rende la vera dimensione dell’architettura nella vita delle persone.

6.Parla di Ruskin e di come per lui l’architettura gotico-bizantina abbai plasmato la superiorità morale dei veneziani.

7.E parla di Le Corbusier e di come il suo ospedale Veneziano di blocchi di cemento collegati da ponti, anche se non realizzato, abbia plasmato la vita delle persone.

8.Il libro è straordinario e fondamentale nel rivelare l’illusorietà tutta da archicefalici di poter plasmar vite ma, capirete, per non rovinarvi la trama, che non posso spoilerarvi se per l’autore sia stato più bravo Ruskin o Le Corbu. O tutti e due. O nessuno.

9.E poi il libro ci riguarda per un altro verso. Parla di come sia fondamentale imparare a cadere. E come si cade su Archiwatch non si cade altrove. E’ pieno di spintonatori formidabili. Indispensabili spingitori di cavalieri.

10.In conclusione: bello il mio primo ma mica male anche questo buon ultimo che qui vi ho consigliato.

Fatemi sapere e auguri,

Giancarlo :G Galassi

Roma 24.12.2013

 

 

 

  

 

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10 Responses to

  1. maurizio gabrielli ha detto:

    Sempre galattico,ti dirò che si è architetti quando qualcuno ti commissiona qualcosa di architettura e non rompe i coglioni. Meglio se una villa. Rispettosamente porgo i più sentiti auguri.

    • sergio de santis ha detto:

      ……….ahahahahahahhahahaha …..ihihihihahahahahahahah ….ahahahahah..eheheheeheheheheheheheheheheheheheheheheheheh !!!!!!!!!!! ….. ???????? ahahahahahahahahahahaahahahahahhhhhh……………………ihihihihihihihihihihihihihihihihihihihihih!!!!!!!!!!!………ahahahahahahahahahahahahahahahahahah…hehehehehehehehehehehehehehehehehehehh…….uhuhuhuhuhuhuhuhuhuhuhuhuhuhuh!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!*********???????????ehehehehehehehehehehehehehe …….
      oddio me sto a sentì male …
      ma c’ha detto?…………cazzo …. me sto a sentì male ……………
      auguri Mauri’ …auguri ….
      cazz… me sto a sentì male …….
      ???? MA C’HA DETTO?

  2. “L’ultima inquadratura del film mostra infatti il protagonista seduto vicino al suo cane davanti alla sua casa di campagna, in Russia, la stessa che già si era vista nelle sequenze oniriche. In sovrapposizione appare l’immagine della cattedrale di San Galgano, simbolo forse di una sacralità ancora votata alla semplicità. Un ricongiungimento totale che probabilmente il personaggio non avrebbe potuto ottenere semplicemente ritornando in patria (…); un ricongiungimento che, invece, avviene grazie alla forza di seduzione dell’Altro. Quest’ultima, finalmente, riesce davvero a porre fine a una malattia terribile, distruttiva, lancinante come la nostalgia.”
    ——
    da Lago, Paolo, “La seduzione dell’Altro: dinamiche del desiderio in Nostalghia di Andrej Tarkovskij”, Between, III.% (2013), http://www.Between-journal.it/

  3. sergio 43 ha detto:

    Caro Maurizio, non sono d’accordo. Non si diventa architetti quando ti commissionano una villa o….una chiesa. Non si può non convenire con Purini, almeno in questo, a parte Eurosky, che “bisogna arrivare preparati” alla bisogna.Se non sei preparato, puoi anche per ventura, essere incaricato di costruire una villa ma, se non sei preparato, puoi anche essere contestato per un risultato peccaminoso e poi sono dolori. Un architetto, per definirsi tale, deve tutto osservare, tutto imparare rubando con gli occhi, tutto sperimentare dalla realtà, dall’altrui esperienza e dallo studio di buoni libri. La “dritta” di cui essere grati è quando un amico e ne consiglia uno, uno che vale la pena di leggere. Poi ti può anche risultare indigesto e hai tutto il diritto di buttarlo via. Però, bella lezione che ci dette Bruno Zevi a lezione, in ogni libro, dal più suntuoso al più miserello, c’è una pagina, almeno una pagina che ti spalanca tutto il significato del libro e che vale a pena ritenere a mente. Ci invitò a fare questo esercizio cui molti si rifiutarono di aderire perchè non si capiva che cosa questo avesse a che fare con l’architettura, detto da uno poi cui molti imputavano, in quel periodo di più alta contestazione baronale, di non potersi neanche definire “architetto”. Un giorno gli chiesero provocatoriamente che cosa mai avesse costruito. A me sembrò una delle tante cazzate che allora uscivano a ruota libera durante le adunanze in Aula Magna perchè le architetture di Bruno Zevi erano i suoi libri (Si prega astenersi dal ” Bruno zevi qua e Bruno Zevi là”. Per me rimane un personaggio insostituibile). Comunque la difesa di Bruno Zevi, davanti l’accusa, mi parve debole. Rimasto spiazzato, dalla cattedra boffonchiò di una palazzina a Via Tagliamento in cui non c’era il “piano tipo” ma “ogni appartamento era considerato come una villa indipendente”. Allora anche a me venne malignamente di pensare. “Seh! Ogni piano una Villa sulla Cascata!”. Tornando all’esercizio di lettura propostoci, da allora su “l’Architettura- cronache e storia” apparve alla fine della rivista una pagina in cui veniva pubblicato un breve testo, da lui ritenuto il più significativo, di libri e di autori che forse mai avremmo conosciuto, risparmiandoci anche un sacco di tempo. Una pagina come un piccolo mattone per costruire la nostra coscienza di architetti.
    Torno al punto 3. di :G, quando il nostro amico ricorda l’importanza che ebbe il film “Nostalghia” di Tarkowsky per la sua conversione all’architettura. Oramai avevo fatto i miei voti, però il film russo mi indusse a fermarmi un giorno d’estate davanti la chiesa allagata di Santa Maria di San Vittorino lungo la Via Salaria, preso le Terme di Cotilia, la romana localita “ad Aquas”, durante il mio trasferimento estivo nelle Marche. Non mi ero mai fermato, e neanche si era mai fermato mio padre, davanti quei ruderi intorno ai quali la Via girava. Il viaggio tortuoso era ancora a metà e non si vedeva l’ora di arrvare al mare. Al massimo ci fermavamo a bere un sorso d’acqua solforosa alle cannelle delle Terme, poco oltre il verde laghetto ribollente da una sorgente termale. La scena del protagonista del film che naviga all’interno della chiesa barocca, il cui pavimento era diventato un laghetto di acque fresche e trasparent,i era troppo suggestivo, (Vedere Facebook – IterArt – Chiesa di Santa Maria in San Vittorino). Mi fermai per due motivi, il primo per verificare la magica trasformazione che la Natura compie quando si rimpossessa dell’opera dell’uomo, per verificare un’emozione identica a quando calpestai il prato sotto gli archi gotici di San Galgano, il secondo per cercare di capire come un architetto di discreto conio avesse potuto compiere un errore così grave e quali fossero le consequenze di tale errore e di quante infinite accortezze un architetto deve fare tesoro per compiere al meglio l’opera, villa, chiesa o qualsiasi altro, di cui venisse incaricato.
    Eh! Non si finisce mai d’imparare! Questo è il bello dell’esistenza! Quindi: “Que viva “La Caduta, Einaudi 2013”. Ci sarà almeno una pagina, Bruno Zevi buon’anima, che vale la pena di ricordare!
    Auguri di buon proseguimento nelle Festività!

  4. sergio 43 ha detto:

    Ho riletto appena spedito l’articolo scritto e corretto frettolosamente in corso d’opera (mi tocca andare ad apparecchiare la tavola natalizia e sento la voce di mia moglie che dalla cucina mi ha richiamato più volte!). Mi accorgo di ripetizioni e punteggiature sbagliate. “E chi se ne importa”, qualcuno dirà, “Già è la solita cosa inutile e senza senso”. Giustissimo! Il più delle volte sono io stesso che mi vergogno di quello che ho scritto. Perà qualsiasi cavolata deve essere scritta bene. Stai a vedere che bisogna fare un “editing” anche per un intervento su Archiwatch!….
    Vengooooo!!!

  5. sergio 43 ha detto:

    Perà?…Logicamente era un “Però”!

    • Gian Carlo :Galassi ha detto:

      Grazie 43,
      come vedi rispetto a trent’anni fa la chiesa è scesa di un metro e mezzo, tutto il lato sinistro è crollato ed è invasa dalla luce. E’ completamente sparito il “serbatoio” da cui il fiume sgorgava fuori dal portale rinasciementale. Una delle manifestazioni del sacro più impressionanti in cui mi sia capitato di inciampare.
      —-

      —-

      Non si può più andare “a trovare a casa” quest’architettura così come l’abbiamo vista nel film.

      —–

      http://www.youtube.com/watch?v=84RmIVl3Qas

  6. sergio de santis ha detto:

    La “sofferenza” del passatista. Spinta ad una riflessione sul tema della modernità, postmodernità e contemporaneità nella nozione del sentimento di nostalgia.
    (di un SDS qualsiasi).

    In occasione di questa Tarkowskata, tema a me caro quello della nostalgia, essendone profondamente vittima, mi permetto di segnalare un lavoro di Emiliano Morreale.
    “Si tratta di uno studio molto interessante su come i mass media siano, prima ancora che dei divulgatori, i creatori su vasta scala di un particolare sentimento, quasi del tutto sconosciuto fino alla modernità e oggi diventato pervasivo, ingombrante. Che cos’è la nostalgia? Da dove viene? Come è stata manipolata da un secolo di cinema e mezzo secolo di televisione?
    Così Nicola Lagioia su “L’Invenzione della Nostalgia. Il Vintage nel cinema italiano e dintorni” di Emiliano Morreale.

    Consiglio a tutti i malati di nostalgia (come sono io) questo interessante lavoro di Morreale, la cui lettura delle prime 27/28 pagine, prima cioè che il testo si pianti saldamente sul cinema, può darci notevoli spunti e suggestioni per una altra possibilità di lettura del desiderio di passato forse anche in architettura.

    Con una estrema sintesi di alcuni passi del libro, che saprete perdonarmi per la grande libertà che mi prendo, rammento che Il termine nostalgia viene creato (1688-Johannes Hofer) come termine medico per indicare “la tristezza ingenerata dall’ardente brama di tornare in patria” …
    e sembrerebbe che solo successivamente il carattere geografico della nostalgia abbia lasciato il posto o fatto spazio ad uno (di carattere) anche di tipo storico… quelo che più ci interessa..
    “la nostalgia diventa quindi anche il senso della perdita del passato, non necessariamente legato a un luogo che si è lasciato”(…) In questo senso si potrebbe dire (…) che il passato non è una ”terra straniera”, ma semmai la patria lontana, ed è piuttosto il presente ad essere straniero.
    Velocemente …. La nostalgia sembra uscire definitivamente dalla ambito della disciplina medica nei primi anni del 900 … e almeno fino all’approssimarsi del postmoderno, (primi anni 60) inteso come nuova fase economica e sociale “la nozione moderna di nostalgia” vista “come estremo frutto del romanticismo, è basata su quattro taciti presupposti(…): “l’idea della storia come declino; il senso di una perdita di totalità; il sentimento di una perdita di espressività e spontaneità; il senso di perdita di autonomia individuale”
    Nella contemporaneità, nella nostalgia di massa, quella che ci riguarda, quella dominata dai mass media “all’idea di storia come declino (…) si sostituisce addirittura la mancanza di un legame di continuità tra passato e presente; alla perdita del senso di totalità,una percezione di immagini e frammenti emotivamente soverchianti; alla perdita di spontaneità, un recupero ex post della funzione di spettatore e consumatore nell’infanzia e nella giovinezza, accompagnato dalla tenerezza verso immagini amate nella loro miseria; al senso di pedita di autonomia, un ripiegamento verso un sé solipsistico, che condivide però i propri “segreti” con gli altri appartenenti alla sua generazione.”
    SCUSATE L’IPERBOLE peraltro incompiuta … ma ero stanco … lascio a voi la conclusione …

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