Ecco le statue cantate da Ovidio – foto
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Strano destino quello del console Mesalla e del suo collega Ottaviano. Dopo duemila anni i loro nomi sono di nuovo uniti nella odierna cronaca di Roma. Mentre la stampa ci annuncia che del primo sono riapparsi i tesori della sua villa, del secondo ci avverte che sono di nuovo scomparse le speranze di ritrovare prossimamente una degna sistemazione del suo Mausoleo e dintorni. Non ha smosso i nostri amministratori neanche la prossima ricorrenza del bimillenario della sua morte. Non dico imitare le tronfie cerimonie del Ventennio che comunque, al di là della goffa retorica imperiale, ci ha lasciato una messe di risultati storici e archeologici ma una pavimentazione, che so, una semplice ripulita Niente! I due sono infatti uniti anche dalle fosche previsioni per il loro futuro. Non ci sono soldi, ma soprattutto non c’è orgoglio, cultura, solo bassa macelleria. Sono indignato, più che delle scritte anonime che deturpano i nostri quartieri e i nostri rioni, più che degli sconosciuti vandali che se la sono presa anche con l’innocente “Acerone” e di tante altre cose che in questo blog condividiamo, dell’ignavia di chi abbiamo eletto e che si sono presentati, senza vergogna alcuna, con tanto di nome e cognome. Chi ha girato durante le festività per le strade del centro ha dovuto fendere folle di romani e stranieri per avanzare, Il Corso era un delirio senza sfoghi mentre a poche decine di metri dalle vie che ci invidiano tutto il mondo c’era un buco nero, un oscuro cratere lunare senza vita in una delle piazze più grandi della città. Senz’altro sarò noioso su questa questione ma, parafrasando in positivo e con ironia Catone Maggiore, voglio ripetermi: “Platea Augusti Imperatoris restauranda est!”. Scusate lo sfogo che è durato lo spazio di una sigaretta e adesso posso spegnere la cicca nel portacenere.
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